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Padellaro su Vannacci: colpa del “politicamente corretto”. Quando il giornalismo sbaglia tutto

Una riflessione seria sulle dinamiche che ci portano a essere una società profondamente reazionaria sarebbe più che mai salutare, ma anche oggi ci pensiamo domani, come si suol dire. A mancare il bersaglio, stavolta, è Antonio Padellaro, che sul “Fatto Quotidiano” attribuisce al “politicamente corretto” la responsabilità del successo di “Un mondo al contrario”, il controverso libro scritto dal generale Roberto Vannacci, già a capo dei paracadutisti della Folgore.

L’imbarazzante libro di un generale che imbarazza persino il ministro della Meloni

Nel libro, che Vannacci si è autopubblicato, il generale non si risparmia nulla: la rivendicazione del “diritto all’odio e al disprezzo”, gli omosessuali “anormali”, la lobby gay che vieterebbe termini che una volta erano nei dizionari, le minoranze che starebbero imponendo “discutibili regole di inclusione e tolleranza” e la dichiarata volontà di opporsi al “pensiero unico” e al “lavaggio del cervello” di chi vorrebbe eliminare “ogni differenza, compresa quella tra etnie, per non chiamarle razze”.

Il generale rivendica di avere “gocce del sangue di Enea, Romolo, Giulio Cesare, Mazzini e Garibaldi nelle vene”, attacca gli ambientalisti e definisce un’attivista “una meteoropatica che frignava di fronte al ministro Gilberto Pichetto Fratin”, consigliandole, con rara eleganza, di “utilizzare meglio le scariche di andrenalina indotte da questa sua paura per i cambiamenti climatici”.

Roberto Vannacci. Hockler73, Public domain, via Wikimedia Commons

Ce n’è persino per l’azzurra di Volley Paola Egonu: “italiana di cittadinanza, ma è evidente che i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità”. Interpellato in seguito su questo passaggio, Vannacci ha dichiarato che le sue parole sono state travisate e che vorrebbe Egonu addirittura come figlia. Una dinamica piccola piccola e prevedibile come la morte, quella delle provocazioni rettificate nell’eterno minuetto con i media, ma transeamus.

Paola Egonu. Osvaldo Telese, CC0, via Wikimedia Commons

Le considerazioni di Vannacci sono talmente estreme da essere state definite farneticanti e non da un fan club di Michela Murgia, ma addirittura dal ministro della difesa del governo Meloni, Guido Crosetto. Su Twitter, Crosetto ha inoltre dichiarato che le posizioni di Vannacci “screditano l’Esercito, la Difesa e la Costituzione“.

Nel frattempo il generale è stato rimosso dalla direzione dell’Istituto geografico militare di Firenze, anche se resta all’interno delle Forze Armate, che però si sono affrettate a prendere le distanze, dichiarando di non aver mai conosciuto i contenuti del libro e di riservarsi di intraprendere provvedimenti per tutelare l’immagine dell’esercito. Ma veniamo a Padellaro.

Di fronte a un successo editoriale che ha portato questo libro a essere primo nella classifica dei best seller di Amazon, il giornalista del Fatto sceglie di dire la sua e che fa? Quale punto di vista adotta? Quale emergenza ravvisa?

Commentando il caso Vannacci, Padellaro riesce a sbagliare tutto

Padellaro sostiene che il libro di Vannacci vada a intercettare una “non marginale domanda fondata su omofobia, sessismo e razzismo, sedimentata nei bassifondi della società e inespressa per quieto vivere” e che per questo abbia avuto successo. Che questo tipo di intolleranza abiti la società italiana, anche a livello strutturale, è pacifico, ma è la conclusione del ragionamento a sconcertare. “Non sarà per caso che l’egemonia del politicamente corretto abbia generato un fallo di reazione di una fetta di opinione ormai insofferente ai dettami del catechismo etico-politico calato dall’alto?” scrive il giornalista.

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Una verità rivelata travestita da domanda retorica, quella di Padellaro, che cala dall’alto esattamente con le modalità che critica, in poco più di due righe e senza sviluppare alcun ragionamento. Altro che il “catechismo” degli altri, qui siamo al dogma. Ad ogni modo interrogarsi è una buona cosa, quando lo si faccia davvero. E non necessariamente nella direzione di Padellaro.

Di chi è la colpa dell’intolleranza della nostra società? Sicuri che sia del “politicamente corretto”?

Si potrebbe ad esempio riflettere sul fatto che abbia fatto carriera nell’esercito una persona le cui attuali dichiarazioni sono ritenute screditanti dal suo ministero di riferimento e chiedersi se abbia, in precedenza, già reso manifeste le tendenze che oggi esprime con orgoglio. Sarebbe inoltre interessante interrogarsi su quanto spazio possa ritagliarsi l’estrema destra nei corpi dello Stato e chiedersi se esista una risposta immunitaria efficace. Sarebbe infine altrettanto utile analizzare proprio quella base che accoglie con gratitudine il libro di Vannacci e che sui social lo difende, scagliandosi contro Crosetto.

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Padellaro scrive anche che in Italia ogni tanto rialza la testa una destra che “affonda la radici nella subcultura da cui lo stesso fascismo seppe attingere intolleranza e pregiudizio”. Giustissimo, ma avrebbe potuto analizzarla meglio, questa subcultura. E magari avrebbe potuto parlare anche di chi la promuove attivamente: dai nostalgici del vecchio fascismo a quelli che lo rivisitano, saldandolo a nuovi movimenti internazionali nelle galassie nere di Telegram, dai gruppi di estrema destra che occupano abusivamente edifici pubblici da vent’anni a quelli che vanno in live su Youtube, tra un attacco ai “clandestini” e un santino di Brasillach.

E invece niente, nessuna analisi di decenni di odio e oppressione sistematica delle minoranze. Padellaro ha scelto un’altra strada e cioè buttarla su quel “politicamente corretto” ormai evocato a pappagallo in ogni conversazione, ridotto a slogan, moltiplicato all’infinito sui social e destituito ormai di ogni significato, nonché argomento principe di ogni “sòr Mario” o “sòra Maria” del web e Babau di tutti i boomer. Ormai si dice “politicamente corretto” e “cancel culture” a caso e a spron battuto, come “scopa” o “asso pigliatutto” quando si gioca a carte, soprattutto quando non si sa argomentare in altro modo.

Il problema dei professionisti dell’informazione di fronte a nuovi temi

Che lo faccia Capobranco1975, che parla di complotti e “pensiero unico” su Facebook, è un conto, che lo faccia un giornalista come Padellaro è un altro ed è un esempio plastico di come le vecchie generazioni di professionisti dell’informazione abbiano difficoltà ad adeguarsi ad alcuni nuovi temi al centro del dibattito internazionale.

Non lo dico da “giovane”, non essendolo, ma da persona che di quei temi si occupa e che vede un’Italia talmente tanto politicamente corretta che probabilmente Vannacci avrà molto spazio in tv e sui giornali, quest’autunno. Anche perché a costruire questo fenomeno, molto più della presunta “sinistra woke”, sono stati i media. Oggi lo facciamo anche noi del Mitte, purtroppo, ma ormai “il danno è fatto” e libro e personaggio hanno l’attenzione di tutti.


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In Italia si “epura” solo chi bestemmia nei reality

C’è però ancora margine, forse, affinché giornalisti affermati come Padellaro o anche Enrico Mentana, che ha rilanciato con entusiasmo l’articolo su Facebook, capiscano che al di là degli oltranzismi di alcune forme di attivismo prevalentemente statunitense (che però bisognerebbe conoscere…), in Italia, di politicamente corretto non c’è neanche l’ombra e le uniche vere epurazioni senza appello sono quelle che colpiscono i concorrenti dei reality che bestemmiano.

Quanto al resto, sessismo, razzismo e omofobia continuano gloriosamente a identificarci in tv, al cinema, nel mondo dello spettacolo, nel repertorio dei nuovi comici e in politica. Forse perché, in fondo, ci somigliano. Scegliere di criticare chi quelle ingiustizie le denuncia, anche se in modo a volte imperfetto, significa fare più danni della grandine, in un panorama come quello attuale.

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Padellaro aggiunge infine, come ciliegina sulla torta, che dal lato di chi si dovrebbe interrogare sulle colpe del politicamente corretto continuano invece a fioccare richieste di radiazioni, punizioni e censure, che al giornalista fanno venire in mente la bambina di un noto spot, che davanti a uno scaffale di dolciumi e alla domanda della mamma su quale preferisca “risponde con un insopportabile: tutti!”. Che ottimista, Padellaro. Ragionando dalla prospettiva delle minoranze oppresse, è già tanto se in Italia si riesce a ottenere qualcosa.

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