Charlotte von Mahlsdorf: la donna trans che uccise il padre nazista e fondò un museo

Foto: Birkho, CC BY-SA 4.0 , via Wikimedia Commons [cropped ]

Perché si conosce così poco la storia della dona trans berlinese, nata negli anni 20, che uccise il padre nazista e poi diventò un’icona, impegnandosi nella tutela del patrimonio architettonico e del design tedesco? Non sappiamo rispondere a questa domanda, ma oggi vogliamo contribuire a diffondere la sua storia. Stiamo parlando di Charlotte von Mahlsdorf, nata il 18 marzo 1928 a Berlino-Mahlsdorf.

L’identità e l’eredità di Charlotte von Mahlsdorf

Considerando l’epoca della quale stiamo parlando, va premesso che l’esperienza di una donna trans e, in generale, di qualsiasi persona non cisgender, era molto diversa da quella che è oggi. Secondo alcune fonti, Charlotte non si identificava in modo completamente femminile, ma interpretava un personaggio in un modo più simile a quello che oggi conosciamo come una drag queen. Va però anche notato che, appena ebbe modo di farlo, Charlotte scelse di indossare abiti femminili e di utilizzare un nome e pronomi femminili nella vita di tutti i giorni e nella sua attività di curatrice museale e non in un contesto performativo. Per questo, qui ci riferiremo a lei esclusivamente con il nome che scelse in vita.

Charlotte von Mahlsdorf (2)
Foto: Bundesarchiv, Bild 183-S0303-015 / Katja Rehfeld / CC-BY-SA 3.0, CC BY-SA 3.0 DE <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/de/deed.en>, via Wikimedia Commons

Un inizio drammatico

Avere un padre nazista non doveva essere facile per nessuno, meno che mai per una persona come Charlotte. Max Berfelde – del quale Löttchen rifiutò anche il cognome – era un uomo estremamente violento, che aveva aderito con entusiasmo all’ideologia nazionalsocialista, si era iscritto al partito verso la fine degli anni ’20 e aveva assunto un ruolo di leadership politica a Mahlsdorf. Max desiderava avere un figlio maschio, che si dedicasse alla carriera militare e che si iscrivesse alla gioventù hitleriana. Charlotte, ovviamente, non ne voleva sapere e subiva terribili violenze fisiche da parte del genitore. La tensione familiare raggiunse il culmine nel 1944, quando la madre abbandonò la famiglia. Il padre, durante una lite, minacciò Charlotte con la sua pistola d’ordinanza, ma non sparò. Capendo di non avere alternativa, una notte, Charlotte lo picchiò a morte nel sonno con un mattarello. Dopo un periodo in un reparto psichiatrico, nel gennaio 1945, fu condannata a scontare quattro anni in un riformatorio come “giovane antisociale”. Fu liberata solo dopo la caduta del regime.

La rinascita e la scoperta di una grande passione

Uscita di prigione, trovò conforto e sicurezza presso il prozio Josef Brauner, che la accolse con affetto. In quel periodo, potè finalmente dedicarsi alla propria passione: l’antiquariato e, in particolare, l’arredamento dell’epoca guglielmina. Nel 1946, aveva già messo insieme cinque set di arredi completi. Tra il 1946 e il 1948 si dedicò alla salvaguardia del palazzo di Friedrichsfelde, che era abbandonato e a rischio di atti di vandalismo: il suo talento stava emergendo e anche il resto della Germania iniziava a notarlo.

Nel 1958, Charlotte von Mahlsdorf, che nel frattempo aveva preso anche il cognome “geografico” che sentiva suo, prese in carico appunto la casa padronale di Mahlsdorf, minacciata di demolizione. Il 1° agosto 1960, aprì finalmente il suo museo, il Gründerzeitmuseum, dedicato alle meraviglie dello stile stile guglielmino, e con estrema cura restaurò la casa padronale riportandola all’aspetto del 1780, salvaguardando solo alcune modifiche del 1869. Nel 1972, l’edificio fu riconosciuto come monumento della DDR.

Il successo, il declino economico e l’addio alla Germania

La collezione di Charlotte continuò a espandersi, arrivando a comprendere 23 stanze completamente arredate e collezioni speciali. Tuttavia, nel 1974, la sua situazione economica non era rosea. Charlotte, sottoposta a pressioni fiscali eccessive, iniziò a smantellare la sua collezione, cedendola ai visitatori, piuttosto che cedere allo Stato la proprietà del museo. Grazie all’intervento dell’attrice Annekathrin Bürger e dell’avvocato Friedrich Karl Kaul, l’azione di esproprio che era stata avviata fu fermata nel 1976.

Charlotte continuò a condurre personalmente le visite guidate all’interno del suo museo fino al 1995, quando il museo fu chiuso. Nel 1992, le fu assegnata la Croce Federale al Merito, come riconoscimento per il valore del suo lavoro.


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Purtroppo, nel 1991 fu vittima di un brutale attacco da parte di un gruppo di neonazisti. Nello stesso anno, le difficoltà finanziarie la indussero a lasciare la proprietà: il museo venne definitivamente chiuso. Le collezioni rimaste a Mahlsdorf furono acquisite dalla città di Berlino. Nel 1997, la Förderverein Gutshaus Mahlsdorf e.V. riaprì il museo.

Foto:
Bundesarchiv, Bild 183-S0303-016 / Katja Rehfeld / CC-BY-SA 3.0, CC BY-SA 3.0 DE <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/de/deed.en>, via Wikimedia Commons
Birkho, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

Nel frattempo, Charlotte von Mahlsdorf, si era trasferita in Svezia, dove aprì un museo dedicato all’antiquariato e allo stile di fine secolo. Charlotte morì il 30 aprile 2002 durante una visita a Berlino. In suo onore, nel 2003, la Förderverein Gutshaus Mahlsdorf eresse un monumento commemorativo.

La sua autobiografia “Ich bin meine eigene Frau” fu adattata in un film da Rosa von Praunheim nel 1992.

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