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Abuso dei dati personali da parte della polizia: poliziotto tedesco acquisiva foto di donne per “valutarle”

Fornire i propri dati a un pubblico ufficiale, in occasione di un controllo di routine, è un’esperienza piuttosto comune. In alcuni contesti specifici, è vero, può assumere tinte più fosche, ma nella maggior parte dei casi, in uno Stato democratico, non dovrebbe generare ansia e timore delle conseguenze. Questo in teoria, perché nella pratica, per diverse donne in Germania, un semplice controllo di routine si è trasformato in un abuso di potere. Gli abusi riguarderebbero soprattutto l’acquisizione e l’utilizzo di dati personali da parte delle forze di polizia ben oltre quanto giustificato dall’esercizio delle loro funzioni.

Abuso dei dati personali: l’agente di polizia acquisiva le foto delle donne fermate durante i controlli per “valutarle” su una scala di attrattiva estetica

Un caso eclatante riguarda un agente del Baden-Württemberg che aveva creato una “scala di bellezza”, in base alla quale valutava le donne fermate in occasione di semplici controlli stradali. L’uomo utilizzava i dati anagrafici così acquisiti per recuperare le fotografie delle donne in questione dal registro civile. Dopo un’indagine, che ha verificato il suo comportamento illecito, l’ufficiale è stato multato per 3.500 euro.

Di questo episodio si è occupata, fra gli altri, la testata WDR online, citando le testimonianze di esperti sollevano preoccupazioni serie. Clemens Artz, fondatore dell’Istituto di ricerca per la sicurezza pubblica e privata di Berlino, definisce questi episodi un “folle abuso di fiducia”. L’esperto sottolinea la necessità di limitare e giustificare con precisione l’accesso ai dati personali, cosa che, al momento, non avviene. Le forze dell’ordine, infatti, hanno accesso a milioni di dati e il modo e le ragioni che portano i singoli agenti a reperire tali dati non sono quasi mai oggetto di analisi.

Altri casi in Nord Reno-Westfalia: dati utilizzati per scopi personali

Oliver Huth, presidente regionale dell’Associazione investigatori criminali, riconosce che milioni di interrogazioni sono legittime, ma ammette che “ogni singolo caso di abuso è un abuso di troppo”.

Bettina Gayk, Commissaria di Stato per la protezione dei dati e la libertà di informazione nel Nord Reno-Westfalia, riferisce casi allarmanti: giovani poliziotti che ottengono indirizzi di donne conosciute in servizio, o agenti che utilizzano archivi per ricerche personali, per avvicinarsi a loro con l’intento di ottenere un contatto intimo o magari di perseguire un interesse personale, come nel caso di un poliziotto che ha cercato informazioni su potenziali inquilini per conto della moglie, che amministrava immobili.

Lena Löwen, consulente di un centro antiviolenza di Düsseldorf, definisce questi episodi “una forma massiccia di abuso di potere” che compromette la fiducia nelle istituzioni.

L’appello è alla trasparenza e al controllo: implementare sistemi di verifica più rigorosi, limitare l’accesso ai dati e prevedere conseguenze serie per chi viola la privacy dei cittadini. Questi appelli, che vengono dalla società civile, non si sono tradotti, per ora, in nessuna azione concreta a livello sistemico: pochissimi casi vengono scoperti, meno ancora denunciati, quasi nessuno perseguito. Quella dell’agente multato in Baden-Württemberg è un’eccezione e, al momento, non si conosce neppure la reale estensione del fenomeno.

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