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“Come pagina bianca”, Pasquale Esposito: lettere da un ospedale psichiatrico

Mentre passa i giorni in un ospedale psichiatrico, un uomo scrive lettere a una donna, raccontandole la sua storia, i suoi sogni, le sue passioni, la sua voglia di libertà. Di questo parla “Come pagina bianca”, una sorta di “confessione epistolare” in cui il protagonista si mette a nudo completamente, lanciando un richiamo forte come il suo desiderio di vita.

L’autore, Pasquale Esposito, è nato a Napoli, ma vive a Roma dal 1980. Già autore di diverse antologie e libri, tra cui “I pensieri degli altri” (2001, L’Autore Libri). Qui potete trovare “Come pagina bianca (già edito nel 2004 dalla Aletti Editore).

Ciao Pasquale, ti va di presentarti? Chi sei e qual è, brevemente, la tua storia?

Io sono un giovane maturo uomo che ha attraversato un terremoto, un bisogno di famiglia e di paternità adottiva verso umani e animali, che è passato indenne attraverso gli ultimi decenni non distogliendo mai lo sguardo dall’altro. Mi affascinano le persone con le loro complessità, ma anche con le loro ingenuità. Sono napoletano, ho vissuto a Salerno, di fronte al mare, i miei anni fino all’adolescenza, poi ho scelto di trasferirmi a Roma per cercare delle opportunità e lavoro spesso a Milano ed in altre città italiane. Nelle mie vacanze sono quasi sempre all’estero perché ho bisogno di conoscere altri luoghi, ma soprattutto altre culture.

Convivo col “bambino fuori di me” scoprendo ogni giorno di cosa ha bisogno. Leggo, scrivo, parlo con la gente. Amo il basket e la diversità. Mangio qualunque cosa, ma sempre in compagnia e con un buon vino. Mi chiedo spesso come essere migliore.


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Parlaci del tuo libro, “Come pagina bianca”

Sentivo il bisogno di parlare del bisogno di attenzione tanto endemico in tutte le società evolute da risultare pressoché indistinguibile, eppure capace talvolta di produrre effetti nefasti. Per farlo sono partito da una diversità, una delle tante. È facile trovarne perché una società che ragiona per grandi gruppi omologati produce quasi naturalmente “scarti” di produzione. In questo caso la differenza dai più è di natura culturale, è indotta da ciò che si sceglie di approfondire e da come si costruisce la conoscenza.

Per chi legge, sa e parla di cose molto diverse è facile diagnosticare una forma di follia. Abbiamo testimonianza soprattutto di donne che non si “comportavano come dovevano”, qualunque fosse il comportamento, dunque ritenute meritevoli, solo per questo, di essere internate. In questo caso il protagonista è però un uomo, perché ho ritenuto di non essere capace di descrivere un immaginario femminile, ma un “immaginato” femminile quello sì. La forma che ho adottato è quella epistolare, forse anche perché di lettere, ormai, non ne circolano più.

Fin dal titolo viene delineata la centralità dell’assenza, del vuoto come cardine della narrazione, eppure le pagine sono tutt’altro che bianche. La storia è densa, ricca di riferimenti e testimonianze che compongono il mondo creato dalla mente e dalla scrittura della voce narrante.

Come descriveresti il protagonista?

Il protagonista è internato in un ospedale psichiatrico e per preservare la percezione di sé scrive lunghe lettere alla donna amata, in cui le racconta la sua vita, il suo passato, le sue speranze, tutto quanto ha fatto di lui l’uomo che è, e che avrebbe voluto essere.

Sono assai poco celati i miei archetipi: da principio l’”Ulysses” di Joyce e più avanti “Romeo and Juliet” di Shakespeare. Quelle lettere non esisterebbero, se non esistessero le parole scritte e il protagonista concepisce la sua vita solo in funzione della scrittura, del suo esistere in quanto parola.
Nemmeno la donna ha un nome: «Dovrei decidere come chiamarti e già questo mi risulta complicato, dal momento che qualunque nome mi sembrerebbe inadatto a rappresentarti. Eppure devo dare un nome a chi riceverà queste lettere, un nome per chiamarti, un nome per pensarti. Non he hai bisogno per esistere. Tu sei quello che sei, qualunque nome io ti dia, ma è importante per me. Devo riconoscerti in quel nome, poter indicare il pensiero di te e riconoscerti con esso».

L’attore unico del tuo libro è recluso fisicamente, ma soprattutto sembra isolato nella sua stessa mente. Cosa lo tiene lontano dalla vita?

La mancanza di iconicità è una delle sofferenze del protagonista che, pur consapevole dell’impossibilità per il significante di rappresentare iconicamente il significato, trova, nel fissare le parole sulla pagina, la sua unica missione, il suo unico scopo. Rivendica «la possibilità di usare quella parola come una icona della sua presenza», chiama la sua amata «mia dolce parola».

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“Come pagina bianca” – Pasquale Esposito

Il protagonista reclama un’attenzione senza la quale non esisterebbe, vuole che il suo amore conosca tutto di lui: si percepisce chiara tra le pagine l’ansia, quasi soffocante, di esprimersi, di gareggiare con quello che a lui è stato sottratto, il tempo, quello di scrivere ogni giorno, fin quando nell’ospedale psichiatrico non avranno spento le luci.
In quelle lettere si tenta di preservare tutto quello a cui il protagonista si è dedicato ed ora, mantenuto vivo solo dalla straordinaria memoria e da quelle lettere, nell’utopia che non gli potrà essere sottratto, emerge con elementi propri di quasi ogni campo della scienza e dell’arte: l’alchimia, la chimica, la pittura, la mnemotecnica, la musica, per citarne solo alcuni.

Alle parti in prosa si alternano intarsi poetici proprio per celebrare quella che considero la forma più alta di parola, quella poetica. I versi tuttavia sono stati vergati con la penna del protagonista e non con la mia e li sento come espressione autentica non del narratore, ma solo di quelle poesie.

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Pasquale Esposito, autore del libro “Come pagina bianca”

A parte la destinataria delle lettere che il protagonista scrive, e che sembra non avere contorni definiti, i veri “amici” del tuo personaggio sembrano essere le grandi menti del passato: filosofi, musicisti, scrittori. Quali sono i tuoi preferiti e che rapporto hai con la letteratura, con la musica e in generale con l’arte?

Io sono un curioso mai appagato. Non esiste argomento con il quale venga in contatto che non mi spinga ad approfondire, a capire le relazioni con altri temi. Sono attratto da una conoscenza trasversale” che si sottrae alle categorizzazioni. Mi piace leggere narrativa, ma altrettanto saggistica. Passo da una storia della matematica al testo di un filosofo, alla lirica greca o all’ascolto della musica, nell’ambito della quale prediligo rock e classica, meno la musica pop. La poesia nel mio testo è come la nota alta, il “do di petto” del protagonista che ricorre ad essa quanto la tensione emotiva raggiunge l’acme. Il verso è l’aria del “Vincerò”, che tenta di reagire alla sopraffazione dell’esistenza.

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“Come pagina bianca”, di Pasquale Esposito

Il protagonista non ha potuto realizzare i suoi sogni perché la cultura dominante sceglie il significato della diversità, la sua e ciò a cui si è dedicato. Persino suo padre, figura dominante del terzo capitolo, nel quale viene presentato un lungo flashback, al pari del “convitato mozartiano” decide le sue sorti. Il riferimento all’opera musicale serve al protagonista a scandire il tempo del quale successivamente sarà deprivato, ma al tempo per anticipare al lettore una deriva distopica nel quale potrà scegliere di riconoscersi o meno.

È il racconto di un tempo passato e al quale sono appartenuto. Un racconto che devo scrivere in tre ore, prima che spengano la luce nelle stanze. Ho bisogno di una misura. Cosa useresti per misurare il tempo che passa? Qualunque cosa che duri quanto basta.
Devono passare circa tre ore, prima dell’interruzione della luce. Scorro velocemente la piccola raccolta di musica che conservo nella mia mente:

Tchaikowsky, “Sinfonia numero 6“, 71,49 minuti, troppo breve. Posso abbinare una Selezione de L’anello del Nibelungo di Wagner, 72,30 minuti, ma non coprirebbe l’intera durata. In alternativa a Wagner potrei usare Mozart, Selezione da Così fan tutte“, 74,22 minuti. Il libretto mi indica una traccia. Meglio un’opera completa, senza variazioni. Meglio il “Don Giovanni“, dramma giocoso in due parti di Wolfgang Amadeus Mozart, in tre dischi, rispettivamente 55,50 minuti, 51,48 minuti e 58,48 minuti. Circa tre ore. La durata che mi serve, proprio quella.

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“Come pagina bianca”, di Pasquale Esposito

L’Ouverture dura 6,15 minuti. È una composizione a sé stante, diversa dal resto dell’opera. Il libretto è nella mia memoria. Verso dopo verso. Da Ponte e Wolfgang saranno i miei compagni per le prossime ore, la loro opera misurerà per me il tempo. Ma ora veniamo a quello che devo raccontarti. È così che facevo quando ero nella mia casa, suddividevo e contavo il tempo usando i brani musicali che mi piaceva ascoltare”.

La musica, dunque, può rappresentare la grande metafora dell’esistenza, la vera scansione del nostro tempo ed il più compiuto dialogo tra le anime. Talvolta si impone il diritto di protestare, ma cos’è la musica se non la più gentile ed eversiva forma di protesta? Come la poesia!

C’è qualcosa che vorresti aggiungere?

Dal quinto capitolo: “Scambierei il mio corpo con i tuoi pensieri, le mie mani con i tuoi desideri. Vorrei essere ovunque per non farti voltare lo sguardo”.

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