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L’attentatore di Mannheim e l’uomo che l’ha fermato

Il 40enne Alexander S., sospettato di aver deliberatamente investito alcuni pedoni nel centro di Mannheim, causando due morti e undici feriti, presenta un passato controverso. Nonostante le autorità abbiano inizialmente escluso un movente estremista, emergono ora dettagli che gettano nuova luce sul profilo del presunto attentatore di Mannheim. Allo stesso tempo, si scopre qualcosa sull’uomo che l’ha fermato, un tassista di origine pakistana che vive a Mannheim da 15 anni.

La radicalizzazione a destra dell’attentatore di Mannheim

Nonostante le forze dell’ordine parlino di assenza di movente politico “per questo reato specifico”, si è scoperto molto presto che, nel 2018, S. era stato condannato a una multa per aver scritto “Sieg Heil dalla Germania” sotto una foto di Adolf Hitler su Facebook. Nello stesso anno, S. sarebbe stato presente a una manifestazione dell’NPD a Berlino e figurava nell’elenco dei membri di un gruppo neonazista scissionista chiamato “Ring Bund“.

Questo gruppo aveva collegamenti con figure di spicco dell’estrema destra tedesca, tra cui il militante Thorsten Heise e il leader dell’AfD in Turingia Björn Höcke. Inoltre, era collegato a una rete di traffico d’armi smantellata nel 2020.

Nonostante questi elementi, le autorità inquirenti mantengono che le indagini finora non hanno rivelato “alcun indizio di sentimenti estremisti da parte del sospettato” al momento di compiere il reato. Sottolineano invece la presenza di numerosi documenti medici e testimonianze che indicano una possibile malattia mentale di S., che in passato aveva ricevuto cure psichiatriche.

L’uomo che ha fermato Alexander S.: “non sono un eroe, mi ha spinto il sentimento religioso”

In contrasto con il profilo dell’attentatore, emerge la figura di A. Muhammad, il tassista che ha avuto un ruolo cruciale nel fermare la corsa mortale di S. Originario del Pakistan e residente a Mannheim da 15 anni, Muhammad è un cittadino tedesco dal 2017 e membro della comunità musulmana Ahmadiyya.

A differenza di S., Muhammad un movente religioso ce l’ha. Ha inseguito l’attentatore, ha aperto il finestrino gridando e suonando il clacson perché i passanti si togliessero dalla strada, lo ha fermato, ha fatto in modo che S. non si appropriasse anche del suo taxi per continuare la corsa e, così facendo, lo ha rallentato in modo tale che la polizia potesse raggiungerlo e ha fatto tutto questo specificamente perché è musulmano. L’uomo ha dichiarato di aver agito guidato dal cuore e dalla religione.

Il tassista ha sottolineato di non voler essere considerato un eroe, ma semplicemente un musulmano che ha agito per proteggere i suoi simili. Ha espresso il desiderio che Mannheim, la città che gli ha dato tantol mantenga la sua apertura e tolleranza, lanciando un messaggio contro l’odio.

Due profili a confronto

L’episodio solleva interrogativi sulla gestione delle informazioni da parte delle autorità. Il Ministro degli Interni del Baden-Württemberg, Thomas Strobl, aveva dichiarato poche ore dopo l’attentato che non vi fosse uno sfondo estremista, una valutazione che appare ora prematura alla luce dei nuovi elementi emersi. C’è un’indagine in corso, il che vuol dire che di Alexander S. si può e si deve dire soltanto che è il sospettato, il presunto attentatore di Mannheim. E di A. Muhammad si può e si deve dire solo che è un eroe che ha salvato i suoi simili, ma che non vuole essere chiamato così, perché si considera semplicemente un buon musulmano e un bravo cittadino. 

Quel che è indubbio è l’intera vicenda stia diventando, a livello nazionale un’occasione per discutere più ampiamente di come i profili di questi due uomini si inseriscano nei pregiudizi, nei preconcetti e nel bisogno di simboli, di eroi e di vittime sacrificali, di capri espiatori e di giustificazioni politiche della società europea.

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