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TEUTONICHE SCHEGGE: breve excursus fuori dai denti

di Miriam Franchina

Pensate di esser ormai provetti conoscitori delle preposizioni tedesche nei verbi separabili, quelle che spesso spuntano alla fine di una frase e sono decisive per carpirne il significato? Una prova del nove interessante potreste farla sul lettino di un igienista dentale, durante una Zahnreinigung. Come spesso accade in ambito medico, torna utile la tendenza tutta tedesca a creare puzzle lessicali: il dentista è der Zahnarzt (medico del dente) e il dentifricio Zahnpasta (pasta per i denti). Più intuitivamente che in italiano, le gengive sono das Zahnfleisch (carne del dente), mentre il tartaro, che da noi ha un’etimologia che chiama in causa gli inferi greci e i residui vinicoli, è molto più prosaicamente lo Zahnstein (pietra del dente). 

Lingua tedesca: mettiti alla prova parlando di denti!

Durante i lunghissimi tre quarti d’ora della seduta, mi sono dilettata con un piccolo “domino lessicale” e sono arrivata a incasellare Zahnzusatzversicherung, l’assicurazione integrativa per le prestazioni dentistiche. Ma ci si può sbizzarrire con formazioni ben più ardite, specie se non si temono effetti da scioglilingua — parola che, con ammirevole sincerità, i tedeschi rendono con Zungenbrecher (spaccalingua).

Ma torniamo alle preposizioni, corte ma infide. Immaginatevi stesi, con lo sguardo fisso su un soffitto impietosamente vuoto, mentre cercate di non far cader l’occhio sugli strumenti acuminati che un perfetto sconosciuto sta per infilarvi in bocca. Il tutto con un sottofondo di fresa annesso. L’igienista di turno vi dirà: “Machen Sie bitte den Mund...”, e solo alla fine arriverà il cruciale auf o zu. Eh sì, perché non sempre la bocca (der Mund) s’ha da aprire: per alcune fasi della pulizia bisogna “mostrare i denti”, in senso qui, strettamente letterale. Per quello figurato, anche i nostri colleghi teutonici usano l’espressione “die Zähne zeigen”. Se poi i denti li stringiamo per superare la paura che ci incutono tenaglie e punteruoli del professionista in camice, o per quella inflitta dalla fattura finale, possiamo tradurre letteralmente  con “die Zähne zusammenbeißen”. 

La dieresi di Zähne ci ricorda che il tedesco non è lingua dai plurali proprio scontati. Se anche a voi capita che tali amene regolette rimangano “sulla punta della lingua”, potete consolarvi: succede paro paro anche ai tedeschi — “auf der Zunge liegen”. Zunge al plurale aggiunge una n, mentre la bocca, der Mund, al plurale, hoplà, diventa Münder.

Similitudini e differenze, tra proverbi ed espressioni figurate

Tutti noi, prima o poi, ci siamo messi di buona lena a imparare plurali e generi, tentando, come si suol dire, di “toglierci il dente” della grammatica tedesca. Ma attenzione: in tedesco, “togliere il dente” (“jemandem den Zahn ziehen”) si può fare solo al prossimo, e non significa affrontare qualcosa di impegnativo, bensì smontare un’illusione, convincere qualcuno a lasciar perdere. Io covo ancora quella, pur velleitaria, di poter un giorno lasciar gli astanti tutti a bocca aperta (vederli “mit offenem Mund dastehen”) per il mio tedesco impeccabile. 

Sarebbe bello potersi sempre far capire senza malintesi dovuti agli sgambetti di una lingua appresa da adulti, dicendo anche le cose “fuori dai denti” alla bisogna — o senza foglio davanti alla bocca, come si diceva già ai tempi di Lutero (“kein Blatt vor dem Mund nehmen”). Una persona che dice tutto quello che pensa, sia perché genuina, sia perché ingenua o impulsiva, “porta il cuore sulla lingua” (“das Herz auf der Zunge tragen”). Attenzione a non inciampar sui peli, perché da noi non averli sulla lingua è sinonimo di non mandarle a dire, di non “mordersi la lingua” (“sich auf der Zunge beißen”). Il concetto si rende in tedesco con “aver i peli sui denti” (“Haare auf den Zähnen”), pare per l’atavica quanto stantia correlazione fra peluria, mascolinità e determinazione. Altre volte, invece, non trattenere osservazioni taglienti porta grane, “ci si brucia la lingua” (“sich den Mund verbrennen”). 

Ad interrompere i miei voli pindarici ci pensa l’igienista, che per fortuna mi rassicura; il mio superstite dente da latte (Milchzahn), pur giocando ormai da tempo i supplementari, si aggrappa ancora tenace alla sua radice. Prima o poi, inesorabilmente, cederà all’usura del tempo, che in tedesco si descrive come “il dente del tempo rode” (“der Zahn der Zeit nagt”). Speriamo di non dover mai, però, “andar sulle gengive” (“auf dem Zahnfleisch gehen”) — che rende bene l’idea di essere allo stremo delle forze.

Darsi un dente o fare le cose con un dente di scimmia!

So che il conto finale mi lascerà vagamente l’amaro in bocca (“ein bitterer Nachgeschmack”), ma per ora mi godo il retrogusto di gel al fluoro, mentre cerco di rientrare in tempo al lavoro. Mi sono data una mossa — in tedesco “mi son data un dente” (“ einen Zahn zulegen”). L’espressione, curiosa, pare derivare dalle vecchie stufe: aggiungendo un dente alla cremagliera si avvicinava il paiolo al fuoco e, quindi, si accelerava la cottura (qui un’immagine che val più di mille spiegazioni). Altrettanto pittoresco è far le cose “con un dente di scimmia” (“einen Affenzahn draufhaben”), ovvero a grandissima velocità. 

Nemmeno oggi, tuttavia, mi riuscirà un rientro rapido — complice l’ormai proverbiale inefficienza di qualsiasi mezzo pubblico berlinese o federale (che è sulla “bocca di tutti”; “in aller Munde”). Sperando che nessuno degli altri passeggeri si esibisca in uno “spettacolo da scimmia”. Nel tardo XVIII secolo, le bestiole in costume venivano fatte esibire in teatri itineranti per il diletto di avventori alla ricerca di distrazioni “esotiche”. Povere scimmie, dovevano incazzarsi parecchio, tanto da lasciare in eredità alla lingua l’espressione “ein Affentheater machen”, che equivale a fare scenate.

Dal canto mio, spero di riscoprirmi stoica all’ennesimo inghippo dei mezzi. Stringere i denti, peraltro, è l’arte della sopravvivenza del pendolare. Serbando sempre un gran dente avvelenato per potersi lamentare, ogni qualvolta l’etichetta del “small talk” lo richieda. 

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