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Caso Tesla: boicottare funziona?

I boicottaggi funzionano? Cominciamo col dire che non troverete la risposta a questa domanda in questo editoriale. Troverete una risposta, basata su circostanze specifiche. In questi giorni si è parlato moltissimo dei boicottaggi contro Tesla e del crollo disastroso del valore del marchio. Non sono pochi gli utenti dei social che, in tutto il mondo, hanno espresso soddisfazione per questo risultato. C’è anche da dire che Elon Musk si boicotta benissimo anche da sé: X, rispetto al valore di mercato che aveva quando si chiamava ancora Twitter, è precipitato ben prima che qualcuno si prendesse la briga di boicottarlo attivamente e tantomeno di invocarne il boicottaggio generalizzato*. 

L’unica risposta che posso dare alla domanda iniziale è: dipende. Nel senso che dobbiamo metterci d’accordo sul concetto di “funzionare”.

elon musk ride testicoli doge
Elon Musk. Foto: JD Lasica from Pleasanton, CA, US, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons

Quello che l’uomo più ricco del mondo non può comprare

Facciamo un passo indietro: chi e perché sta boicottando Tesla? La risposta è “tutto il mondo” e “perché Elon Musk è la cosa più vicina all’incarnazione di un cattivo dei cartoni che si sia vista da generazioni”. È uno che si sveglia tutte le mattine con la possibilità materiale di essere Batman o Iron Man e sceglie consapevolmente di essere Lex Luthor.

Quella che inizialmente sembrava un’impresa dalla vocazione ecologica, tesa a far crescere la mobilità elettrica e sostenibile, guidata da un tizio un po’ strano, che solo per puro caso era l’erede di una fortuna mineraria sudafricana, è diventata il simbolo di quello che Varoufakis chiama “tecnofeudalesimo” – un termine che descrive in maniera impeccabile il tipo di oligarchia che prevale in quasi tutto il mondo, ormai con pochissime distinzioni fra Oriente e Occidente, fra Nord e Sud. E certo, la categoria “ricchi sudafricani bianchi che possiedono miniere di pietre preziose” non partiva benissimo sulla scala dei “buoni”, in un’ipotetica narrativa della storia, ma Elon Musk è stato capace di fare in modo che l’origine della sua fortuna non sia neppure fra i dieci principali motivi per i quali milioni di persone in tutto il mondo dedicano almeno qualche minuto della loro vita, ogni giorno, a ricordarsi attivamente di detestarlo.

Quelle che inizialmente erano soltanto boutade da “genio matto” sono diventate azioni che hanno la pretesa di influenzare le politiche del mondo e che spesso ci riescono. Oggi, dopo aver investito milioni nella campagna elettorale di Donald Trump, Musk siede alla Casa Bianca esercitando, senza essere stato eletto, un potere esecutivo che va molto oltre quello di un “consulente”. Qualcuno lo definisce addirittura il “vero” presidente, poiché detta politiche, stabilisce senza contraddittorio e senza iter parlamentare tagli miliardari a quel poco che resta del welfare statunitense, infila le sue aziende nei contratti statali. E anche così riesce a perdere miliardi a una velocità ineguagliata.

Dibattito immaginario con l’Amico che Mette Ansia™

Cambiamo un attimo prospettiva, per riportare il focus sulla domanda iniziale: i boicottaggi funzionano o no? Quando ci si fa questa domanda ci si scontra spesso con una figura che esiste nella vita di quasi tutt*: L’Amico che Mette Ansia™. E dico “L’Amico” perché, nella mia esperienza, si tratta quasi sempre di uomini. L’Amico che Mette Ansia™ esiste soprattutto nei contesti di sinistra ed è uno che “ne sa”. Si tratta di una persona sempre molto ben informata, che parla con competenza, che legge e approfondisce, che non si esprime per luoghi comuni, che sa sempre motivare le proprie posizioni portando dati e argomentazioni ragionevoli.

L’Amico che Mette Ansia™, però, mette ansia. Perché? Perché in lui il pessimismo dell’intelligenza prevale sempre sull’ottimismo della volontà. Io ho in particolare due Amici che Mettono Ansia™ ed entrambi hanno sostenuto, di fronte agli entusiasmi sui boicottaggi di Tesla e sul crollo del suo valore azionario, che nulla di tutto questo serva ad alcunché. Perché a Elon Musk non importa: Tesla è ormai una parte piccolissima del suo portfolio di asset per la dominazione del mondo e le aziende diventano sempre meno importanti, ora che si preoccupa di possedere interi Stati, interi governi.

E io c’ho creduto, non ho festeggiato, perché io ho moltissima stima dei miei Amici che Mettono Ansia™. E invece avevano torto e io insieme a loro. Perché l’Amico che Mette Ansia™ è a rischio costante di cadere nella cosiddetta “fallacia del Nirvana”, ovvero quell’errore di ragionamento per cui, se un’azione non risolve tutti i problemi relativi a un determinato ambito, allora non serve a nulla, se il risultato non è perfetto, allora è meglio non agire. E invece non è così, altrimenti non la chiameremmo “fallacia”.

Elon Musk azione legale
Elon Musk. Photo credits: EPA-EFE/SARAH YENESEL

I boicottaggi funzionano, quando hanno obiettivi sensati

Perché? Perché i boicottaggi funzionano quando ottengono il risultato che si prefiggono. Il famoso boicottaggio della Nestlé, iniziato negli anni ’70 per la campagna del latte in polvere definito “baby killer” venduto in India, Filippine e Africa Subsahariana, per esempio, portò a una sospensione almeno temporanea di tale campagna. Nel 2023, il boicottaggio del marchio Puma lanciato dal movimento BDS ha spinto il brand a smettere di sponsorizzare l’associazione calcistica israeliana. Questo vuol dire che Nestlé non abbia più alcuna pratica anti-etica o che Puma abbia smesso di produrre i propri capi in condizioni di sfruttamento in Cambogia? Assolutamente no, ma questi due singoli boicottaggi non avevano quegli obiettivi, ne avevano altri, molto precisi e li hanno raggiunti.

Questo vuol dire che i boicottaggi funzionano quando hanno obiettivi ragionevoli, ovvero non “mettere a posto il mondo”, ma semplicemente ottenere un effetto circoscritto e preciso. Anche perché non sarebbe possibile misurare il successo di un’azione che non avesse un obiettivo di per sé misurabile.

Qual è l’obiettivo del boicottaggio di Tesla? È forse fare in modo che la gigafabbrica del Brandeburgo non si espanda radendo al suolo una foresta o che smetta di consumare mostruose quantità di acqua della falda locale? È forse che Elon Musk dissolva il dipartimento “DOGE” e la smetta di mandare squadracce di incel tardoadolescenti a svuotare gli uffici del settore pubblico appropriandosi di quantità ingenti di dati sensibili? O che si astenga in futuro dal salutare nei comizi in una maniera che ricorda in modo imbarazzante un mediocre pittore austriaco? No. Lo scopo è fargli male. Lo scopo è pensare che Elon si svegli, guardi le quotazioni in borsa e soffra. E questo scopo è stato raggiunto.

Il boicottaggio di Tesla funziona. Parola di Elon Musk

E non lo dico io, lo dice Musk. E lo dice compiendo il gesto più disperato che si possa immaginare: spendere il suo “asset” più importante, ovvero la possibilità di dettare l’operato del presidente degli Stati Uniti, per fare uno spot a quel marchio di auto che, secondo i miei Amici che Mettono l’Ansia ™, non gli interessa poi così tanto. 

Il CEO di Tesla e Senior Advisor del Presidente degli Stati Uniti Elon Musk (S) guarda il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump (D) tenere un discorso davanti ai veicoli Tesla alla Casa Bianca a Washington, D.C. Foto: EPA-EFE/SAMUEL CORUM / POOL

Quello che è successo nel giardino della Casa Bianca in questi giorni non è normale. Il leader della massima potenza mondiale ha fatto uno spot pubblicitario a un’azienda privata, come una Chiara Ferragni qualsiasi, mostrandosi a favore di telecamera nell’atto di provare e poi comprare una Tesla e di commentare, con il solito eloquio forbito, che il cruscotto è “all computer”. Se una cosa del genere l’avesse fatta Berlusconi sulla piazza di Montecitorio, nemmeno il miglior Emilio Fede sarebbe stato capace di farla passare per un esercizio accettabile delle funzioni di un capo di governo. L’apice è stato raggiunto con quello che può essere definito solo uno slogan: I love Tesla, che ricorda tantissimo le pubblicità che un Trump pre-politica faceva per Pizza Hut. E anche questo tentativo di salvare il marchio sembra destinato a fallire e non solo perché Trump non è riuscito a pronunciare correttamente il nome del brand, dicendo invece “Teslur” (generando ilarità per l’assonanza con il termine “slur”, che vuol dire “insulto”), ma anche perché, come al solito, ha voluto strafare.

Poco dopo, infatti, Trump ha annunciato l’intenzione di punire tutti coloro che stanno “boicottando Tesla illegalmente”. Questa dichiarazione di intenti è fallimentare da due punti di vista. La prima è che Trump, il quale ha appena dichiarato l’inglese lingua nazionale ufficiale degli USA, non conosce la differenza semantica che c’è fra “boycott” e “protest” e si riferiva, evidentemente, alle tante manifestazioni, peraltro tutte legali, presso gli stabilimenti Tesla negli Stati Uniti.

La seconda è che ha attirato l’attenzione su quanto sia ridicolo il concetto di “boicottaggio illegale”, dal momento che non può essere in alcun modo illegale non acquistare un prodotto né utilizzare il termine “Wankpanzer” (“carro armato da s*gaioli”) per commentare la bruttezza estetica del famoso cybertruck, né chiamare qualsiasi Tesla una “Swastikar” e neppure condividere le notizie dei malfunzionamenti ripetuti dei veicoli Tesla. Queste sono tutte azioni che rientrano nelle pratiche di boicottaggio, nessuna è illegale.

Perché è proprio questo il punto: boicottare non è illegale, perché non può esserlo. Scegliere di non comprare un prodotto non può essere illegale, perché il capitalismo stesso si basa sul potere del mercato, cioè sulla libertà del consumatore di spendere dove e come vuole. Ed è proprio lì che risiede l’unico vero tallone d’Achille di aziende come Tesla – se così non fosse, i principali colossi tecnologici statunitensi non si starebbero affannando per raggiungere livelli di monopolio degni dell’epoca d’oro dell’Unione Sovietica.

Zentrum für politische Schönheit

Shock and Awe

E sì, è vero che “non esiste consumo etico sotto il capitalismo”, perché ogni singolo prodotto che acquistiamo e utilizziamo è legato a sistemi di oppressione dai quali non possiamo svincolarci, ma questo non deve portarci a pensare che le scelte di acquisto non possano avere un effetto su chi vende. Questo perché mai, nella storia, la relazione fra chi produce e chi compra è stata di tale interdipendenza. E, se l’uomo più potente del mondo, che decide i destini di Gaza e dell’Ucraina e che ha fatto del proprio superomismo un marchio di fabbrica appare quasi in lacrime in un’intervista tutt’altro che incalzante su Fox News (nella quale ovviamente ha suggerito che dietro i boicottaggi ci siano i democratici, perché l’idea di poter essere inviso a mezzo pianeta continua a essergli impossibile da contemplare), il boicottaggio ha già raggiunto il suo obiettivo. Perché l’obiettivo era solo quello, era personale, era vederlo soffrire. E Musk soffre, visibilmente.

Ora, questo vuol dire che il mondo è una virgola più giusto? Nemmeno per sogno. Vuol dire che Tesla adotterà i contratti collettivi per i suoi operai in Germania? Certo che no. Vuol dire che Tesla o altri produttori di auto elettriche abbiano risolto il problema del ciclo di vita e smaltimento delle loro batterie e dei gravissimi rischi ambientali che questo comporta? Neppure, o meglio, in futuro questo potrebbe accadere, ma certo non perché una manciata di persone che potevano permettersi una Tesla non l’hanno acquistata. Vuol dire che gli effetti sociali ed economici devastanti delle politiche che gli USA mettono e metteranno in atto come conseguenza diretta della presenza di Musk al governo, in un ruolo indistinguibile dall’esecutivo, verranno mitigati? Neppure lontanamente.

Elon Musk AfD
La co-presidente del partito Alternativa per la Germania (AfD) e candidata alle elezioni federali Alice Weidel parla online con Elon Musk durante il suo discorso di lancio della campagna elettorale a Halle, Germania, il 25 gennaio 2025. Foto: EPA-EFE/HANNIBAL HANSCHKE

Per tutti questi obiettivi non basterebbero mille boicottaggi, perché non è quella la strada per raggiungerli. Cercare di ottenere cambiamenti politici strutturali con un boicottaggio è davvero come cercare di abbattere una sequoia con un cucchiaino. E allora? A che serve? Serve a quello per cui è stato pensato: serve a colpire. Serve a veicolare il messaggio che, proprio come Elon Musk, grazie alla sua colossale potenza economica, può avere un impatto negativo su milioni di vite, così milioni di persone, nonostante la loro miserrima capacità economica, possono avere un impatto negativo sulla sua. Serve a stabilire che, in una retorica ampiamente promossa dal fronte dell’ultradestra liberista, nella quale è previsto vedere l’altro come “nemico” e gioire delle sue sofferenze, anche chi non ha potere può segnare qualche punto.

E non è solo una questione simbolica. Una delle strategie militari riconosciute che si applicano anche all’instaurazione dei regimi autoritari è la cosiddetta “Shock and awe”, ovvero “sgomento e stupore”. Consiste nel tentativo di intimidire e sconfiggere un avversario prima ancora dello scontro, attraverso gesti eclatanti, grandiosi, che lasciano a bocca aperta, che travolgono e fanno sentire impotente la controparte. Molti di questi atti finiscono per rivelarsi meno impattanti di quanto non sembrassero all’inizio, ma la loro funzione è soprattutto legata alla manipolazione psicologica: hanno lo scopo di far sorgere nell’avversario un senso di rassegnazione che porta, inevitabilmente, alla sottomissione a un potere che si percepisce invincibile.

Un boicottaggio come questo è l’equivalente “dal basso verso l’alto” dell’approccio “shock and awe”. Ha lo scopo di far sentire chi sta “in alto” circondato, di obbligarlo a cercare di arginare molteplici crisi contemporaneamente, in un bilanciamento di potere pericolosissimo, che vede da una parte la resistenza cocciuta di una moltitudine senza volto che continua ostinatamente a non spendere i propri soldi per le tue auto e il proprio tempo sul tuo social network, ma dall’altra la concorrenza di tutti gli altri pretendenti alla corona, che girano intorno alla preda più ambita (Donald Trump) aspettando che il predatore capo si distragga per sfilargliela da sotto il naso. 

Tornando al principio, quindi, l’importante è farsi le domande giuste. I boicottaggi sono la soluzione a tutti i problemi del mondo? No. I boicottaggi funzionano? Sì. 


*Un po’ di dati: quando Musk comprò Twitter, a metà aprile 2022, il valore dell’azienda era stimato intorno ai 56 miliardi di dollari. Entro ottobre di quell’anno, sempre sotto il nome Twitter, era precipitata a 26 e risalita faticosamente fino a 38. Alla data del 12 marzo di quest’anno, X aveva una capitalizzazione stimata di 8,57 miliardi di dollari (fonti: companiesmarketcap.com e  public.com). Questo solo per dire che non bisogna mai confondere la capacità di restare in piedi dopo una perdita spettacolare, perché si partiva da una posizione di vantaggio inossidabile, con la capacità di gestire con successo un’impresa commerciale.

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