Potrebbe piovere: The Wolf of Warschauer Straße

ponti
La vista da Warschauer Brücke al tramonto
di Riccardo Coradeschi

“Cocaina?” Sono le 6.30 di una domenica mattina primaverile a Warschauer Straße. Attorno a me avviene la celebrazione liturgica della walk of shame a cui tutti partecipano, senza distinzione di età, sesso o etnia. I requisiti sono molto più bassi di quelli necessari per la messa domenicale, ma la tendenza a giudicare e giudicarsi è parte integrante di entrambe.
Perfino lo spaccino che ho davanti ha un viso tra l’assonnato ed il colpevole. Probabilmente non ha venduto quanto avrebbe voluto la scorsa notte. Forse si chiede se non è arrivata l’età di trovare un lavoro che ti permetta di passare il sabato notte sotto le coperte.
“No, grazie. Sto andando in ufficio.”
“Appunto! Ti da la carica e lavori meglio. Te ne do un po’ gratis, poi ti lascio il numero e se ti piace mi chiami!”

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Mi sembra di essere piombato in una pubblicità progresso Reaganiana. L’avanguardia della fidelizzazione del cliente passa da Kreuzberg.
Per una volta, la mia non è una balla. Il mio ufficio si trova nel cuore del quartiere della vita notturna berlinese, tra Warschauer e Schlesisches, in un vecchio palazzone riconvertito in alveare startup. Lo stereotipo da startup, con spazi aperti – area ricreativa – vetro e legno – cucinini – vista sulla Sprea è stato compiutamente realizzato. Sulle colonne portanti, a lettere cubitali con un retrogusto orwelliano, ci sono i pilastri della compagnia: TEAMWORK, DEVELOPMENT, ADAPTABILITY. Se ci fosse stata una quarta colonna probabilmente ci sarebbe stata “STRENGTH THROUGH PURITY”.
La compagnia che mi ha assunto produce videogiochi. Di quelli con la pubblicità che ti spamma mentre stai cercando di guardarti qualcosa in streaming. Non esattamente un prodotto di qualità, ma paga bene. L’importante è vederli come un innocuo passatempo videoludico, e non come una subdola forma di gioco d’azzardo, il che talvolta risulta difficile, dato che il mio compito è quello di addetto al controllo delle transazioni. Vedere giocatori che investono una cifra sufficiente a comprare un piccolo appartamento sicuramente mi fa venire dei dubbi sul mio lavoro, ma ehi, ci sono i massaggi shiatsu per gli impiegati!

In tutta sincerità il fatto che io sia finito a lavorare come contabile contro le frodi ha aspetti da contrappasso dantesco. Il colloquio era stato rapido e poliglotta, la mia buona conoscenza di svariate lingue (tedesco non pervenuto) era un punto a mio favore. Poi, a tradimento, mi avevano messo davanti un foglio per scorporare una percentuale, ed il sorriso si cristallizzò sulle mie labbra. Era dalla quinta superiore che non svolgevo calcoli che non fossero tramite calcolatrice. La seconda superiore aveva segnato la fine del mio impegno nello studio dell’aritmetica.
Calmati Riccardo, ce la puoi fare. Rifletti. Cerca di ricordare le lezioni. Valvassini. Barbabietole da zucchero. Il manierismo. La tipa in terza B con cui volevi provarci ma forse meglio di no tanto andrà male ma chi prendo in giro sono un fallito rimarrò solo tutta la vita. Le proporzioni.
Bingo!
Con un notevole sforzo (chi dice che la matematica non serve meriterebbe un esilio a Flatlandia) riesco a risolvere il quesito. Il primo periodo di 6 mesi è di prova, poi possibilità di indeterminato, che a 23 anni non va male.

“Hai problemi a fare turni di notte?”
“Nnnno… Certo che no!”
Il controllo frodi non dorme mai. Un impiegato deve stare sempre di vedetta, nell’ufficio silenzioso e buio, 24 ore al giorno, sette giorni su sette. Il turno 23.00-07.00 è un’esperienza onirica, soprattutto quando c’è poco da fare. Dopo poche settimane ho iniziato a portarmi le casse; la musica a tutto volume ha il duplice effetto di tenermi sveglio ed inquietarmi oltremodo, con l’eco che rimbalza nel grande spazio vuoto. Una volta, per un breve momento, sono stato convinto di aver trovato un fantasma. La mancanza di sonno ha questo ed altri entusiasmanti effetti su di me, il più tipico è la risata isterica ed immotivata. Una mattina ho passato tutto il tragitto sulla U-Bahn sghignazzando tra me e me; un paio di persone si sono fisicamente spostate all’altra estremità del vagone. Che diamine, non saprei come dar loro torto.
Non parliamo poi degli strambi che alle sette di domenica vogliono attaccare bottone in metro. Si potrebbe pensare che un rottame sghignazzante scoraggi tali approcci casuali, ma a quanto pare il tasso etilico è l’ultima vera livella sociale: siamo tutti uguali agli occhi di un ubriaco.
Ma la paga è buona, i colleghi simpatici, il lavoro non troppo impegnativo. Non potrebbe andare meglio.

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E infatti il declino aspettava dietro l’angolo. Quando ero stato assunto la compagnia aveva 130 lavoratori, nel giro di due anni era arrivata ad impiegarne 310. Un’espansione fulminante, rapidissima, sotto una nuova classe dirigente con mire ambiziose verso il mercato asiatico. Una bolla pronta ad esplodere, ma con il sorriso e le rassicurazioni come facciata ufficiale. Spese folli per feste aziendali ed attività per rinforzare lo spirito di squadra lasciavano buchi nei bilanci. Serate in attici con vista su Alexanderplatz, open bar e cena inclusa, escape rooms per testare la nostra abilità nel lavoro di gruppo, autobus privati per andare in club riservati. Vedevo il volume delle transazioni diminuire lentamente, e le spese aumentare.
Poi, la bomba.
Eravamo stati acquisiti da un’altra compagnia più grossa, i cui emissari avrebbero tenuto colloqui individuali con tutti gli impiegati. Il panico prendeva diverse forme, su uno spettro che andava da “Se do il massimo in questi giorni darò un’impressione migliore” a “Siamo tutti fottuti comunque, via libera allo sciacallaggio!”. Nel frattempo, i dirigenti in uscita continuavano a rassicurarci che tutto sarebbe andato per il meglio, che nessuno sarebbe stato licenziato e che la compagnia avrebbe mantenuto la propria identità.

Una settimana prima dell’entrata in vigore dell’acquisizione, iniziarono i colloqui. Tre giorni prima, i massaggiatori, il trainer e l’insegnante di tedesco vennero licenziati discretamente, per non causare il panico. Il giorno dell’entrata in vigore ufficiale, appena arrivati in ufficio, poco più di 100 persone furono convocate al piano superiore. Arrivammo lì, trovando tutti i tavoli vuoti e spostati lungo i muri. Il CEO uscente, il sorriso svanito, ci annuncia che dobbiamo fare dei sacrifici per la compagnia. È come un’amputazione, dice. È necessario che qualcuno rimanga a casa perché gli altri continuino a lavorare. Il nostro sacrifico darà vita ad una compagnia più salda e di successo.
Io mi aspettavo che da un momento all’altro apparissero balestre mandando i saluti dei Lannister. L’esito era atteso da settimane, ma mentirei se dicessi che reagii stoicamente.
Il mio computer era già stato bloccato, per paura che io rubassi segreti aziendali, e non fu nemmeno richiesto che finissimo la giornata di lavoro. Un centinaio di persone licenziate allo stesso momento fornisce una varietà notevole di emozioni ed esternazioni, in un certo senso il sogno e l’incubo di ogni scrittore.
Secondo statistiche di un paio di anni fa oltre il 90% delle startup fallisce, spesso nei primi 3 anni di vita. Tra queste più del 70% fallisce a causa di un’espansione scriteriata. In definitiva sono perfettamente in linea con la media mondiale, ma la cosa non mi consola.
Per fortuna, il caldo abbraccio della burocrazia tedesca mi aspetta all’Arbeitsamt.

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