Senza prospettiva? 22 migranti africani, dall’Italia a Francoforte in cerca d’asilo.
Francoforte – Un’ingombrante videocamera dalle dimensioni sproporzionate rispetto allo spazio ristretto disposizione in cui una ventina di ragazzi africani e qualche bianco europeo sono seduti in cerchio. Si parla inglese ma poi, allo sciogliersi della seduta, l’italiano diventa la lingua franca. Hr 1, il primo canale televisivo dell’Assia, punta la telecamera sull’oratore di turno. L’accecante luce da ripresa irrompe nella luce fioca della sala e aumenta il disagio causato dall’annuncio della data in cui la ex-chiesa evangelica Gutleutkirche cesserà di fungere da casa: la fine del mese di marzo.
Da novembre dello scorso anno un gruppo di ventidue ragazzi africani ha trovato asilo in una chiesa francofortese, dopo aver trascorso innumerevoli notti al riparo di un ponte sul fiume Meno, in centro città. Provengono dal Ghana, dalla Nigeria e da altri paesi dell’Africa occidentale. Hanno alle spalle un lungo itinerario di fuga, la cui penultima tappa è stata a lungo l’Italia, da cui sono stati costretti a fuggire, per una seconda volta.
Lampedusa è stata per la maggior parte di loro il primo luogo di approdo in Europa. L’Italia è odiata e osannata allo stesso tempo, quale paese poco capace di fare tesoro delle risorse culturali e umane, tra cui quelle non autoctone, ovvero immigrate, di cui è dispensata.
La carica negativa che ha lasciato il vissuto in Italia si percepisce nell’effetto alienante che scaturisce nel rievocare le esperienze, soprattutto quelle lavorative, che hanno stroncato la speranza in una prospettiva di vita migliore da quella lasciatasi alle spalle. L’aver pagato anni di contributi e tasse non ha offerto un terreno stabile su cui poter costruire un futuro. Uno stato ben poco solidale quello italiano, che con ammortizzatori e sussidi sociali inesistenti conduce inevitabilmente ad una nuova fuga. La disoccupazione dilagante non fa altro che aumentare il disagio e la marginalizzazione sociale di coloro che non godono di un tessuto familiare di supporto alle spalle.
Proprio l’Italia ha attrezzato molti immigrati di un visto per l’Europa e 500 euro di mancia, in seguito alla chiusura, su pressione dall’Unione Europea, di diversi centri di accoglienza per richiedenti asilo non a norma. Tanti immigrati africani hanno scelto la Germania per ricominciare tutto daccapo. I gruppi più cospicui si trovano ad Amburgo e Berlino, dove si sta ancora cercando una compromesso tra le varie frazioni politiche e della società civile.
Un gruppo minore ha trovato casa provvisoriamente a Francoforte, nella ex-chiesa evangelica Gutleutkirche appunto, ora adibita a dimora provvisoria. Qui si riunisce ogni venerdì sera il gruppo di africani e i loro sostenitori. A tenere la moderazione due pastori protestanti della chiesa evangelica di Francoforte, Sabine Fröhlich e Ulrich Schaffert. Tra i partecipanti e uditori diversi volontari e giornalisti, tra cui Anke Petermann corrispondente in Assia della radio nazionale Deutschlandradio. All’ordine del giorno questioni logistiche e organizzative riguardanti il corso di tedesco, l’allenamento di calcio, l’estrazione casuale per aggiudicarsi un piccolo lavoretto, ma soprattutto il futuro a breve termine dell’accampamento nella Gutleutkirche.
I ventidue ragazzi percepiscono il passaggio inesorabile del tempo e lo spreco di talenti e potenzialità. Qui in Germania si sono ridotti alla passività poiché lavorare non gli è consentito. Eppure è questo ciò di cui piú di ogni cosa sono desiderosi e capaci. Tra loro ci sono dei veri tuttofare, valenti artigiani dalle molteplici e svariate esperienze di lavoro, accumulate in gran parte in Italia.
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Le istituzioni sia nazionali che europee, ma anche quelle di livello comunale, tardano o addirittura mancano nel dare risposte costruttive e di ampio respiro. Una soluzione politica che guardi alla volontà e al desiderio dei singoli rimane la più auspicabile sebbene il tessuto legislativo europeo abbia maglie troppo strette per una loro attuazione. La legge tedesca ruota attorno ad un circolo vizioso che prevede il permesso di soggiorno esclusivamente in caso di lavoro e viceversa un permesso di lavoro solo in presenza di permesso di soggiorno. Inoltre il regolamento di Dublino deliberato dall’Unione Europea, obbliga gli stati membri a ricondurre i richiedenti asilo e le persone in possesso di un documento rilasciato da un altro stato europeo nel primo paese di arrivo. La maggior parte dei ventidue africani accampati nella chiesa di Francoforte sono destinati pertanto a fare ritorno in Italia, dove dispongono di documenti di soggiorno ancora validi o da rinnovare, ma dove non dispongono né di una casa né di un lavoro.
Il sindaco francofortese Peter Feldmann, durante una visita alla comunità dei 22 africani lo scorso 2 gennaio, fece accenno al gemellaggio di Francoforte con la città italiana di Milano, quale punto di partenza per una soluzione condivisa tra i due paesi. Fino ad ora pare che tale proposta non sia in grado di soddisfare le attese. Intanto alcuni volontari, giovani italiani residenti a Francoforte, si sono messi in contatto con una rete di comuni solidali, i quali potrebbero offrire un alloggio, nonché un percorso di supporto e integrazione. All’interno di questa rete vi è anche il comune di Riace, diventato famoso anche in Germania per i suoi programmi di accoglienza solidale nei confronti degli immigrati.
La dedizione e l’impegno dei cittadini sono notevoli. La società ha già fatto una scelta di campo in virtù dell’ospitalità e della solidarietà. I corsi di tedesco si tengono due volte al giorno grazie al folto gruppo di volontari “teachers on the road”. Un ex-calciatore della prima squadra Eintracht Frankfurt ha dato la sua disponibilità come allenatore, mettendo in piedi un apparato organizzativo che include una fitta rete di sponsor.
Un gruppo di avvocati, anch’essi volontari, ha passato al vaglio le situazioni legali di ciascuno, sondandone le possibilità di permanenza in Germania. Solo tre dei ventidue ragazzi sono in possesso di un permesso di soggiorno a lungo termine in Italia che gli consente di rimanere in Germania muniti di un permesso di lavoro. Intanto, i contributi in tasse pagati in Italia rimarranno a fondo perduto.
Il desiderio di fare ritorno in Africa può sembrare un miraggio, rimane tuttavia il fine ultimo per la maggioranza: tornare un giorno dalla propria famiglia e, possibilmente non a mani vuote. In particolare coloro che hanno lasciato nei loro paesi d’origine moglie e figli raccontano di essersi visti costretti a prendere la via dell’Europa perché appartenenti all’etnia “sbagliata” o perché non gli è stato possibile sostenere economicamente la loro famiglia in altro modo.
Una volta in Europa l’incertezza nel futuro non è cessata e prosegue tuttora. Per molti è la fede in Dio, cristiana o musulmana che sia, a sostenere i loro passi e a concedergli la giusta dose di fiducia e pazienza per affrontare le lotte quotidiane. Da questo l’Europa avrebbe solo da imparare, affermava uno di loro, di fede cristiana, durante la riunione del venerdì. Intanto la prospettiva di rimanere in Germania è diventata per una minimissima parte realtà, per tutti gli altri rimane un miraggio. Per questi ultimi sembra che per ora non ci sia altra possibilità che fare ritorno più o meno speranzosi, più o meno a malincuore, più o meno senza prospettiva, in Italia.