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Elisabeth Selbert – la lunga e dura via verso la parità tra uomo e donna in Germania

di Alessandro Bellardita, giudice e docente universitario

3 dicembre 1948. Siamo a Bonn, in una delle sale della Pädagogische Akademie, dove da settembre dibattono i sessantacinque membri della Costituente, del cosiddetto Parlamentarischer Rat. Elisabeth Selbert, una delle quattro donne che fanno parte dell’Assemblea Costituente, durante la seduta della commissione istituita per discutere sui diritti civili, si alza e con i pugni serrati minaccia a gran voce di mobilizzare migliaia di donne pur di ottenere quello che oggi sembra essere un diritto sacrosanto: la parità di genere.

La battaglia per l’articolo 3 della Costituzione

Ma cosa era successo? Perché tanta rabbia? Elisabeth Selbert aveva appena appreso di aver perso per la seconda volta la votazione relativa all’art. 3 della nascente Costituzione tedesca, che prevedeva il diritto di parità tra uomo e donna. Sapeva, dunque, di avere un’ultima possibilità, visto che per ogni articolo proposto erano previste soltanto tre votazioni. I voti favorevoli alla sua proposta erano insufficienti. Prevalevano coloro che volevano semplicemente lasciare tutto come prima – prima dell’ascesa di Adolf Hitler –, quando ancora era in vigore la Costituzione di Weimar.

Hans Weingartz, CC BY 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/3.0>, via Wikimedia Commons

Elisabeth Selbert: la carriera legale nonostante il divieto dei nazisti

E nessuno meglio di lei conosceva le condizioni precarie delle donne nel Terzo Reich e nel secondo Dopoguerra: la Selbert era a Francoforte sul Meno una dei pochi avvocati donne che poteva esercitare la sua professione. Alle donne, da parte del Führer, era stato infatti vietato di fare l’avvocato. Suo marito, un importante esponente socialdemocratico, fu recluso in un campo di concentramento a causa della sua militanza politica e lei dovette occuparsi di sfamare i suoi due figli – da sola e contro la volontà dei nazionalsocialisti, che la volevano radiare dall’albo professionale. Ma, fortunatamente, nella Camera degli Avvocati del capoluogo dell’Assia c’era chi aveva ancora buonsenso: e così la Selbert ottenne una dispensa in quanto era una delle poche ad occuparsi di diritto matrimoniale, una specialista alla quale non si poteva rinunciare.

Elisabeth Selbert non era solo un ottimo avvocato, ma anche una donna forte e decisa. Lungo la strada che portò all’attuale art. 3 della Costituzione tedesca, superò con furbizia i grossi macigni che le avevano posto quelli contrari alla sua idea di società. In realtà bastavano cinque parole: “Männer und Frauen sind gleichberechtigt“. Uomini e donne hanno parità di diritto. Niente di più e niente di meno. Queste cinque parole, tuttavia, facevano paura.

La resistenza al cambiamento

Ad opporsi c’erano soprattutto i colleghi conservatori e liberali della Costituente. Uno di loro, colui che sarebbe diventato il primo presidente federale: Theodor Heuss. L’autorevole politico liberale voleva che i privilegi degli uomini restassero invariati. Ecco un paio di esempi per capire di quali privilegi si trattava: se una donna voleva licenziarsi, vale a dire semplicemente liberarsi da un rapporto lavorativo magari opprimente, aveva bisogno del consenso del marito. Una donna che voleva pernottare in un albergo, poteva farlo solo con l’assenso del marito. E se tra marito e moglie vi era un conflitto su come educare i figli, l’ultima parola spettava al marito.

Il diritto di famiglia vigente nel 1948 conteneva talmente tante discriminazioni nei confronti delle donne, che Elisabeth Selbert, una donna che durante il Terzo Reich difendeva a spada tratta soprattutto i diritti delle mogli che volevano separarsi dai mariti violenti, non poteva far finta di niente. Scrisse una dozzina di articoli, sia per i quotidiani che per numerose riviste giuridiche. Chiese l’appoggio dei sindacati e mobilitò molte associazioni che si battevano per i diritti delle donne. Ma tutto questo non fu sufficiente.
Ecco perché, dopo la seconda votazione persa in commissione il 3 dicembre ’48, dovette inventarsi qualcosa.

Statua di bronzo si Elisabeth Selbert davanti all’edificio della Camera dell’Artigianato su Scheidemannplatz, a Kassel
Hl74de, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

L’idea geniale di Elisabeth Selbert

La sua idea fu geniale: nel bel mezzo della pausa natalizia, tra la metà di dicembre del 1948 e gli inizi di gennaio del 1949, Elisabeth Selbert scrisse una lettera di quattro pagine e la fece stampare 61 volte. La lettera conteneva un messaggio chiaro e nitido: dopo la Seconda Guerra mondiale, tra il 1945 ed il 1948, chi ha ricostruito le case distrutte, le strade bombardate e i ponti pericolanti? Sicuramente non gli uomini, per la maggior parte feriti gravemente, prigionieri di guerra o, addirittura, morti e sepolti.

Dunque, se non gli uomini chi allora? Le cosiddette Trümmerfrauen, le donne che umilmente rovistavano tra le macerie di una Germania devastata, erano la vera forza motrice della ricostruzione del paese. “E adesso”, scrisse la Selbert in quella lettera piena di pathos, “che ci meritiamo più che mai la parità di genere, non ce la vogliono dare”. La lettera la fece pervenire alle mogli dei 61 colleghi dell’Assemblea Costituente, con la speranza che tra l’albero di Natale e la festicciola di Capodanno, avrebbero discusso con i mariti sui diritti delle donne. Theodor Heuss, quando seppe della lettera, commentò l’iniziativa della Selbert con ironia: “beh, si tratta di un quasi-temporale”.
Il 18 gennaio 1949, poche settimane dopo, si tiene a Bonn la terza seduta della commissione: arriva il Wunder, il miracolo. La proposta di Elisabeth Selbert passa. La sua gioia fu incontenibile.

La lunga strada verso la parità

Quello che accade dopo, tuttavia, è una tipica storia fatta di tatticismi politici e temporeggiamenti. La parità tra uomo e donna sarà per molti anni solo un miraggio: a cambiare le leggi semplici (ma importanti), quelle che riguardano ad esempio il diritto di famiglia e quello ereditario, dovrà pensarci il Parlamento. E il Bundestag a Bonn si lascia molto tempo, nonostante la nuova costituzione, il Grundgesetz, prevedeva una legge sull’uguaglianza entro il 31 dicembre 1953.


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Ci vorranno, però, molti anni: solo agl’inizi degli anni ’60, grazie ad un monito della Corte Costituzionale di Karlsruhe, il governo conservatore del cancelliere Adenauer mette nero su bianco la parità tra uomo e donna.

E la Selbert? Tenta invano di farsi nominare Giudice presso la Corte Costituzionale. I suoi colleghi di partito (era iscritta nella SPD) le negheranno l’appoggio necessario per vestire la prestigiosa toga rossa. Il suo ruolo in politica resterà, dunque, anche all’interno del partito socialdemocratico, marginale. Ma oggi, a distanza di ormai 73 anni dall’entrata in vigore del Grundgesetz, il suo operato resta indelebile nella storia dell’emancipazione delle donne: molte, infatti, sono le scuole a lei dedicate nel territorio federale e la sua tesi di dottorato di ricerca – che consegnò nel lontano 1930 – resta un baluardo del diritto di famiglia: fu lei ad architettare il principio secondo cui un divorzio non dev’essere causato dalla colpa di un coniuge (in tedesco: Zerrüttungsprinzip), un principio modernissimo, che cambierà negli anni ’70 l’intero diritto di famiglia tedesco.

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