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Anita Berber, la grazia dell’eccesso: storia di una diva del Kabarett

© Waldemar Titzenthaler
Anita Berber (© Waldemar Titzenthaler)

di Attilio Reinhardt
(post tratto da Kabarett.it)

La vita mondana della Berlino degli anni ’20 viene spesso raccontata come decadente, frequentata da personaggi ambigui e debosciati, alla costante ricerca del piacere sfrenato, tra droga, orge e prostituzione. Se, in parte, quest’immagine ben poco edificante è frutto della propaganda nazista e delle stigmatizzazioni americane (ne accenniamo qui), è necessario riconoscere che la fine dell’impero, il superamento di molte problematiche relative al primo dopoguerra e delle conseguenze dell’iperinflazione, portarono i tedeschi a reagire in modo decisamente entusiastico. Walter Laquer, nel suo saggio La Repubblica di Weimar (edizione italiana BUR, 1979), spiega che

Per un certo tempo fu molto attivo il commercio della droga […], Berlino acquisì la reputazione di città estremamente corrotta. […] Le prostitute occupavano ampio posto nella letteratura e più ampio ancora nel cinema, ma in realtà non è che fossero più numerose in Germania che in altri Paesi europei. […] In poche parole, a Berlino non vi era più dolce vita di quanta ve ne fosse in altri capitali, ma qui era più pubblicizzata.

Quale migliore pubblicità di Anita Berber, talentuosa ballerina, scatenata e irascibile artista, chiacchieratissimo personaggio dai molteplici amanti e dalle diverse dipendenze. La stampa tedesca non si è mai risparmiata sulla Berber: se gli articoli di cultura e spettacolo trattavano delle sue esibizioni, quelli di cronaca mondana illustravano le sue follie, per finire con i servizi di moda che la acclamavano in quanto icona di stile. L’artista pareva essere proprio il paradigma della corruzione berlinese; ma, tutto sommato, i casi come il suo erano ben pochi.

Resta il fatto che il fascino di Anita Berber, anche a distanza di quasi un secolo dal suo periodo di massimo successo, prosegue a mietere vittime in tutto il mondo anche in epoca contemporanea. Come nel caso degli studenti del Master of Arts in Fashion and Textile Design della NABA di Milano che, proprio quest’anno, hanno lavorato su un progetto ispirato proprio alla ballerina tedesca e alla Berlino dell’epoca di Weimar. Il risultato è messo in scena in due videoTräume durch den Nebel e Convergence in blank, che vi proponiamo qui.

Anita Berber, biografia di un’icona

Da piccola Anita Berber, all’età di 10 anni, venne portata nel collegio femminile di Jacques-Delacroze nelle vicinanze di Hellerau. Gli insegnanti davano molta importanza alla disciplina fisica, tanto da insegnare un tipo di coreografia estetica chiamata Eurhythmics (tra la danza e la recitazione astratta).

anita_berberNel 1915, la coreografa Rita Sacchetto, mentre radunava un piccolo corpo di ballo di giovani attrici per una coreografia basata su movimenti plastici, trasgressivi e provocatori, vide Anita, le piacque e la fece diventare la sua pupilla. Lo spettacolo debuttò nel 1916 in una location prestigiosa, ma subì una certa censura dalle autorità anche a causa delle giovani artiste coinvolte. Oltre ad Anita, tra le soliste c’era anche Valeska Gert. Nel 1916, la compagnia ormai professionista di Rita Sacchetto fece un tour di successo, in particolar modo per Anita Berber, che fu oggetto di interviste, elogi dalla critica, ammiratori, ecc.

Nell’inverno del 1917 interpretò un piccolo ruolo nel film muto The Nixen Queen. Nel 1918 fece da modella per una serie di ceramiche Rosenthal. Nel 1918 si esibì per l’ultima volta con la compagnia di Rita Sacchetto. Una rivista mensile le riservò un’aspra critica artistica. Anita rispose con una lettera al direttore della rivista, dando ragione alle critiche del giornalista (troppo acerba, incapace di esprimere la spiritualità, ecc.) ma pregandolo anche di non perderla di vista, perché sarebbe sicuramente migliorata. Intanto i critici cominciarono a dividersi in modo netto a proposito delle sue performance.

Anita Berber

Nel 1918 Anita Berber partecipò al primo dei 9 film per il grande pubblico diretti da Richard Oswald, il più controverso e prolifico registra cinematografico viennese del primo dopoguerra. La ragazza era perfetta per interpretare i suoi personaggi femminili ribelli, pronti a sfidare le tradizioni, che combattevano in modo selvaggio per liberarsi dal giogo dei vincoli familiari del XIX secolo. The Story of Dida Ibsen fu un successo di pubblico e l’interpretazione della Berber nel ruolo della irrequieta protagonista fu convincente. Una scena fece relegare il film tra quelli per adulti: in un gioco sadico tra i due protagonisti, l’uomo fa avvolgere la donna da un cobra.

Nell’autunno del 1918, il coreografo Pirelli diede una sterzata alla carriera della Berber, lavorando sulla sua immagine pubblica, sul suo stile, mettendone a fuoco la sensualità adolescenziale. Le selvagge feste dell’entourage di Pirelli (artisti, aristocratici, militari, ecc.) le fecero scoprire il suo mondo ideale.

Prima della Repubblica di Weimar, ci furono pochissimi esempi di danza in totale nudità. Ma dal ’19 le cose cambiarono, creando il terreno perfetto per le esibizioni della Berber. Il 23 e 29 gennaio di quell’anno, l’artista si esibì in un lungo spettacolo da solista in 8 quadri. Il 6°, Eliogabalo, ottenne un successo tale che l’interprete venne descritta come “la nuova meraviglia dell’arte della danza”.

Nella primavera del 1920, Anita Berber si esibì sul palco del secondo Schall und Rauch. Il compositore Mischa Spoliansky apprezzò il personaggio e scrisse alcune musiche per lei, tra cui il tango Morphine.

La vita privata della ballerina, al tempo, era segnata dall’abuso di droghe e dalla totale, sfrenata libertà sessuale. Tra i suoi partner occasionali ci fu anche il sessuologo tedesco Dr. Hirschfeld. Divenne la donna più chiacchierata di Berlino e non solo, tanto che molti giornali, soprattutto maschili, parlavano di lei in continuazione. Se la vita dissoluta poteva avere un rientro positivo in termini di visibilità sui media, ma talvolta metteva a rischio la sua professione: un giorno arrivò sul set di un suo film in preda agli effetti degli stupefacenti e dell’alcool, finendo per sparare di proposito alla gamba del regista con il quale aveva discusso. La fortuna era comunque ancora dalla sua parte: nell’ottobre del ’21 apparve nell’edizione americana di “Vanity Fair” e prese parte al varietà Bitte Zahlen di Rudolf Nelson, nel quale appariva vestita da uomo, in giacca, cravatta, bombetta e pantaloni, lanciando una moda che sarebbe stata imitata da molte donne berlinesi e persino da Marlene Dietrich. Nello stesso periodo lavorò nel film Mabuse di Fritz Lang.

Anita Berber e Sebastian Droste

L’incontro fatale fu con Sebastian Droste: un ambiguo e galcialenackttänzer membro del corpo di ballo Celly de Rheidt, che faceva uso di cocaina per stimolare l’ispirazione di nuove coreografie.  I due si trovarono subito in sintonia e crearono uno spettacolo dal titolo Tänze des Grauens, des Lasters und der Ekstase (Le danze della depravazione, dell’orrore e dell’estasi). A causa del lavoro e dell’abuso di droghe, la Berber finì in ospedale, ma ne uscì in tempo per lo spettacolo, che ricevette critiche entusiastiche, soprattutto per la sua interpretazione (Droste invece, per alcuni, era solo un bravo mimo).

Cominciarono, però, i problemi economici: le spese folli in droghe, divertimenti, ma anche quelle sanitarie, portarono i due alla bancarotta. Droste tentò una piccola truffa, venne incriminato ma senza condanna. Lo scandalo ebbe una sua eco positiva in termini di pubblicità, ma lasciò seri strascichi legali. In seguito, i due si separarono.

Nel 1923, la ballerina fondò un suo corpo di ballo al femminile: la Troupe Anita Berber.

Un anno dopo, la Berber sposò il ballerino americano Henri Châtin-Hoffmann e, nel mese di ottobre, si esibirono insieme nello spettacolo di Rudolf Nelson Confetti, ma senza successo. In quello stesso periodo la coppia fece amicizia con Klaus Mann.

La carriera della Berber era in fase discendente, di conseguenza tentò di reinventarsi, lasciando da parte lo stile maledetto che l’aveva resa celebre, ma non riuscì nell’impresa. Inoltre, gli eccessi degli anni precedenti cominciarono a farsi sentire sulla salute.

Henri e Anita crearono un nuovo spettacolo di danza del quale erano assoluti protagonisti. I riscontri negativi del pubblico berlinese portò la coppia a tentare altre città, con risultati discontinui. Nel 1926, la coppia tentò di nuovo la via del palco con un secondo spettacolo che portarono in alcune località europee, poi in Egitto e in Libano.

La notte del 13 luglio 1928, Anita Berber crollò sul palco di un locale di Beirut.

Châtin-Hoffmann la riportò in Germania, dove morì pochi mesi dopo di tubercolosi.

– Post tratto da Kabarett.it –

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