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La Germania valuta i centri di permanenza per il rimpatrio in Paesi terzi: politica migratoria sempre più rigida

La scorsa settimana, il ministro dell’interno tedesco Alexander Dobrindt (CSU) ha incontrato a Monaco di Baviera diversi colleghi europei per discutere una questione che sta estremamente a cuore alla destra tedesca: come gestire i richiedenti asilo respinti. Su questo tema, il governo di Berlino sembra interessato a prendere esempio dai piani di quello italiano, nonostante tali piani non abbiano funzionato. A interessare particolarmente Dobrindt è l’idea dei centri di permanenza per il rimpatrio in Paesi terzi, fuori dall’UE, che si facciano carico di coloro le cui richieste di asilo non sono state accettate e che i Paesi di origine non sono pronti ad accogliere in modo sicuro. Il risultato potrebbe essere una detenzione dai contorni poco definiti.

All’incontro di Monaco hanno partecipato rappresentanti dei governi di Belgio, Danimarca, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Svezia e Svizzera.

L’incontro si inserisce in una strategia più ampia. Già il 18 luglio scorso, sulla Zugspitze, Dobrindt aveva convocato omologhi di paesi confinanti per concordare una linea comune: rafforzare i controlli alle frontiere esterne, estendere le espulsioni, intensificare la cooperazione con i summenzionati Stati terzi.

Il progetto dei centri di permanenza per il rimpatrio

“Siamo all’inizio di un processo”, ha dichiarato Dobrindt dopo l’incontro: il ministro sa benissimo che questa soluzione non può essere immediata, dal momento che le resistenze nella società civile e gli ostacoli giuridici non sono pochi. I centri di permanenza per il rimpatrio, i cosiddetti “Return Hubs” situati in Paesi terzi al di fuori dell’Unione Europea dovrebbero detenere i richiedenti asilo respinti quando i loro Stati d’origine si rifiutano di ri-accoglierli. Il che, a voler interpretare alla lettera le denominazioni scelte, renderebbe particolarmente inappropriato il termine “rimpatrio” o “ritorno” per questo tipo di strutture.

Giuridicamente, si tratta di un’operazione estremamente controversa e la soluzione di Dobrindt non è adattare l’operazione in sé alle leggi esistenti, ma creare il quadro giuridico europeo per renderla fattibile sul piano pratico.

Il primo progetto realizzato (e fallito) è proprio quello italiano di gestire procedure d’asilo in Albania: l’intera operazione ha incontrato resistenze legali significative, i centri, per i quali si stima un costo complessivo di oltre un miliardo di euro e la cui operatività supera di misura i 100.000 euro al giorno, hanno ospitato pochissime persone per pochissimo tempo e sono rimasti per lo più vuoti. Recentemente i Paesi Bassi hanno reso pubblici piani per espellere richiedenti asilo verso l’Uganda e a Dobrindt l’iniziativa interessa non poco “Vedremo se l’iniziativa dei Paesi Bassi è una di quelle che si possono sostenere”, ha commentato il ministro.

Magnus Brunner, commissario europeo per la migrazione appartenente al partito conservatore austriaco ÖVP, ha sottolineato l’importanza della pressione tedesca su questo progetto e ha lamentato il fatto che solo una persona su cinque, fra quelle la cui richiesta d’asilo è stata respinta e che sono quindi soggette all’obbligo di lasciare l’Europa, viene realmente espulsa dall’Unione.

Le proposte tedesche per inasprire il sistema d’asilo

Dobrindt ha messo sul tavolo una serie di misure che modificherebbero profondamente le procedure europee, soprattutto al fine di renderle più rapide. Se una domanda viene respinta perché inammissibile, ricorsi e azioni legali non avrebbero più effetto sospensivo. La possibilità dei ricorrenti di far valere il proprio diritto, quindi, potrebbe essere attivata quando ormai le persone sono già state espulse. Non è difficile vedere quali obiezioni giuridiche possano essere sollevate su questo punto in particolare.

Per le persone con precedenti penali o che sono considerate pericolose e per le quali è stato determinato l’obbligo di espulsione, potrebbe scattare una custodia cautelare a tempo indeterminato. Le espulsioni, inoltre, potrebbero essere eseguite da qualsiasi paese membro dell’Unione Europea, non solo da quello che ha emesso il provvedimento.

Un altro elemento che ha spesso messo in difficoltà le autorità durante i tentativi di espulsione sono le barriere linguistiche: spesso la ricerca di interpreti per le lingue specifiche dei richiedenti asilo, che si rendono necessari perché i diretti interessati possano comprendere quanto sta avvenendo e anche spiegare la propria situazione, si rivela lunga e complessa, specie nel caso di idiomi poco diffusi in Europa. Dal momento che la ricerca di interpreti umani ha spesso rallentato le procedure, fra le proposte avanzate in questo ultimo incontro c’è quella di approvare l’utilizzo di strumenti di traduzione digitale basati sull’intelligenza artificiale. Su questo punto, permangono dubbi di non poco conto legati al fatto che la traduzione in contesti legali richiede un livello di precisione che gli strumenti automatici raramente sono in grado di garantire, soprattutto fra lingue provenienti da ceppi e culture molto diversi. 

La pressione migratoria e i contatti con Bruxelles

“La pressione in materia di migrazione è elevata in Germania come in tutti i paesi vicini”, ha affermato Dobrindt. Ed è vero: l’attenzione dei media, dell’opinione pubblica, dell’elettorato così come rappresentato dai sondaggi è altissima su questo tema, nonostante i numeri degli ingressi siano inferiori rispetto agli anni passati. La percezione del fenomeno è indubbiamente distaccata dalle statistiche in materia.

Il ministro, intanto, ha dichiarato di essere in contatto con la Commissione europea e altri Stati membri interessati al progetto. L’obiettivo è costruire una coalizione sufficientemente ampia da modificare le normative esistenti.

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