“Born to die”, il documentario sulla gentrificazione di Berlino. Resistere è possibile?

“Born to die” è un documentario sulla gentrificazione di Berlino nato dalla collaborazione tra Maurizio Spagliardi (regista), Paola Guazzo (autrice) e Francesco Longo (produttore).
In questo lavoro, non ancora presentato ufficialmente, non solo si affronta il tema della crisi degli alloggi, ma si mostra anche lo stravolgimento di una città, un tempo famosa proprio per la sua vivacità e diversità urbana, progressivamente livellata dall’ombra grigia del business della speculazione immobiliare.
Il vostro film parla della gentrificazione come di un rullo compressore che sta spianando Berlino rendendola impersonale, unidimensionale e gelida. Volete condividere le vostre considerazioni a riguardo?
Maurizio e Francesco
Berlino è una città unica, capace di far innamorare chiunque l’abbia vissuta, nonostante non sia particolarmente bella dal punto di vista architettonico. Ricostruita frettolosamente dopo le devastazioni della Seconda Guerra Mondiale, divisa e segnata da orrori e tragedie, non è mai tornata agli splendori degli anni ’20 del Novecento. Ma ciò che ha sempre conquistato era l’atmosfera: un’aria di libertà che si respirava in ogni angolo, dove ognuno poteva essere ciò che desiderava essere.
Oggi, però, questa essenza sta cambiando. La speculazione economica, in particolare nel settore immobiliare, sta trasformando Berlino, normalizzando lo stile di vita dei suoi abitanti. Case introvabili, affitti alle stelle e un costo della vita in costante crescita stanno soffocando l’anima della città. L’atmosfera unica di Berlino si sta facendo sempre più cupa.
Eppure, c’è qualcosa che resiste: l’amore incondizionato che molti provano per questa città. È questo che mi dà speranza: Berlino, come ha fatto tante volte in passato, saprà rinascere dalle sue ceneri.

Paola
Intanto è bene fare qualche precisazione. La gentrificazione è un fenomeno di “sostituzione”: un quartiere popolare, con prezzi accessibili, diventa il centro di uno stile di vita alternativo, per questo poi diventa di moda, le sue case vengono man mano acquistate da fondi d’investimento che sull’altare del quartiere basano le loro speculazioni atroci. Ma, come fa notare lo scrittore italiano expat Vincenzo Latronico nel nostro docufilm, Berlino è stretta anche nella morsa della turistificazione e di un’espansione edilizia e di infrastrutture inutili fuori misura. Diventare vetrina delle multinazionali nonché nodo di società finanziarie e immobiliari di incerta origine non è stato un bene per la città, che si avvia a diventare un sepolcro marmoreo per ricchi americani e internazionali.

Come è nata l’idea di questo film e come ci avete lavorato? È stato difficile farlo da “indipendenti”?
Maurizio e Francesco
Inizialmente, il progetto aveva un focus diverso: volevamo raccontare i cambiamenti nella scena clubbing attraverso le voci di chi ci lavora, dei clubbers e dei ravers. Col tempo, però, ci siamo resi conto che le problematiche erano molto più complesse di quanto immaginato. Alla base di tutto c’era la gentrificazione: quel processo urbano che riqualifica i quartieri popolari, ma finisce per escludere i loro abitanti originari a causa dell’aumento dei prezzi e degli affitti.

Così abbiamo deciso di ampliare il progetto, trasformandolo in un atto d’amore verso Berlino. È diventato una sorta di “lancia di Don Chisciotte” contro i mulini a vento del potere economico e politico che sta trasformando la città. Per mantenere la libertà creativa, abbiamo scelto di essere totalmente indipendenti e di auto-produrlo. Questo ha reso il documentario artigianale e grezzo, ma crediamo che proprio questa autenticità sia il suo punto di forza: crediamo che sia diretto, potente e privo di inutili fronzoli.
Paola
È nata in un certo senso come “costola” di Adamo. Adamo era un progetto originario intitolato Alice in Wunderland, sulla storia e sulle suggestioni della città dai primi del ‘900 ai giorni nostri. Ci siamo però domandati il perché tante delle strutture urbanistiche che volevamo filmare fossero sparite o in via di sparizione. Dal desiderio di cercare qualche causa è nato “!”Born to die in Berlin”.

Il vostro lavoro attacca frontalmente la speculazione immobiliare, ma attribuisce anche precise responsabilità politiche, senza fare sconti neanche alla sinistra, per esempio l’SPD. Al di là dei partiti che sostengono più direttamente le immobiliari, cosa poteva fare la sinistra, che non è stato fatto?
Maurizio e Francesco
La situazione politica berlinese è complessa, riflettendo dinamiche simili a quelle che vediamo altrove. Dopo la riunificazione, gran parte della zona orientale della città era di proprietà comunale. Per ripianare i debiti, il Senato decise di vendere le abitazioni, in particolare a grandi società immobiliari e a privati stranieri, che acquistarono a prezzi impensabili rispetto ad altre capitali europee. Successivamente, fu venduta anche una buona parte del patrimonio immobiliare della Berlino occidentale. Questo ha portato a una concentrazione di proprietà nelle mani di gruppi interessati esclusivamente al profitto.
Il principale errore dei partiti di sinistra, a mio avviso, è stato sottovalutare la portata di questo problema e non fare abbastanza per proteggere i cittadini. Die Linke ha perso gran parte della sua forza nelle ultime tornate elettorali, ma il caso più emblematico è quello dell’SPD. La sindaca Giffey ha deciso di ignorare l’esito del referendum in cui la maggioranza dei berlinesi si era espressa a favore dell’espropriazione degli appartamenti sfitti detenuti da grandi gruppi immobiliari con più di 3.000 unità. Questo avrebbe riportato sul mercato circa 243.000 appartamenti, risolvendo in gran parte la crisi abitativa.

Gli effetti di questa mancata azione sono visibili ovunque: gli appartamenti sfitti continuano a far salire i prezzi in modo incontrollabile. Anche nel mio palazzo ci sono tre appartamenti vuoti da anni, lasciati lì a far lievitare artificialmente i valori di mercato. È una politica incomprensibile, soprattutto considerando che la Costituzione tedesca definisce la Germania come uno stato sociale, e garantisce il diritto alla casa.
Pensate che il vostro approccio diretto e poco edulcorato abbia creato ostacoli al vostro film, nei percorsi tradizionali? Ditemelo con sincerità.
Maurizio e Francesco
Penso che sia un po’ presto per dirlo, ma temo di si. Ormai il mainstream vince su tutto, si stanno restringendo anche gli spazi sociali. Ma non crediamo che il nostro film sia stato fatto per un pubblico che si nutre di solo di belle immagini. Il nostro film vuole essere una denuncia sociale e sappiamo già che andremo incontro a ostacoli. Stiamo organizzando alcune proiezioni con i gruppi di attivisti che abbiamo incontrato durante la produzione del film e con la rappresentante de Die Linke che abbiamo intervistato, vorremmo, riuscire a mostrare il nostro lavoro prima delle elezioni politiche del 23 Febbraio. Contemporaneamente stiamo lavorando a due progetti che ci stanno appassionando molto, sempre legati alla nostra città.

Paola
Non possiamo ancora saperlo del tutto, dato che stiamo facendo domande per alcuni festival. Sicuramente non abbiamo un prodotto mainstream, ma è presto per giudicare.
Quali aree di Berlino stanno venendo uccise dalla gentrificazione? Cosa “si perderanno” i nuovi expat e le nuove generazioni?
Maurizio e Francesco
Non parlerei di aree “uccise” dalla gentrificazione, perché sarebbe una condanna definitiva, e credo fermamente che questa città abbia la capacità di risollevarsi. Tuttavia, le zone più colpite sono senza dubbio Mitte, Kreuzberg e Friedrichshain. Il nostro racconto prende avvio proprio da un luogo emblematico di quest’ultimo quartiere: il grattacielo mostruoso costruito davanti alla stazione di Warschauerstrasse, l’Edge East Side Tower. Con i suoi 65.000 metri quadrati di superficie, questo orrore architettonico, una volta aperto, porterà un afflusso di migliaia di impiegati, trasformando radicalmente la zona e facendo schizzare in alto i costi degli affitti residenziali.

Quello che temo maggiormente, però, è che sarà l’intera città a rischiare di perdere ciò che la rende speciale: la sua attrattiva per giovani, artisti e, come dice Vincenzo Latronico nell’intervista che ci ha concesso per il documentario, quei “scappati di casa” che trovano a Berlino uno spazio per reinventarsi.
Quali scenari avete amato e sono spariti? Vi va di condividere qualche ricordo? E c’è qualche spazio che amate particolarmente e che è attualmente a rischio?
Maurizio e Francesco
Ci sono tanti scenari di Berlino che abbiamo amato e che, purtroppo, non esistono più nella loro forma originale. Uno dei ricordi più vividi è il Tacheles, un centro artistico occupato nel cuore di Mitte, simbolo della Berlino creativa e ribelle del post-Muro. Era un luogo dove artisti di tutto il mondo si incontravano e collaboravano, ma oggi è stato sostituito da un complesso di lusso, perdendo completamente il suo spirito originale.

Un altro spazio che ricordiamo con affetto è il Bar 25, una leggenda della scena club berlinese sulle rive della Sprea. Era molto più di un locale: rappresentava una comunità, uno stile di vita, e un’idea di libertà. Oggi quell’area è stata trasformata nel MediaSpree, un polo commerciale che ha completamente cambiato il volto della zona.Tra i luoghi che amiamo particolarmente e che sono attualmente a rischio, c’è il RAW-Gelände a Friedrichshain. Questo spazio unico, con i suoi graffiti e il suo mix di mercati, eventi e vita notturna, è continuamente sotto la minaccia della speculazione immobiliare. Speriamo che la città trovi un modo per preservare l’anima autentica di questi luoghi, perché sono parte integrante dell’identità di Berlino.
Paola
Senz’altro il Tacheles, che viene ricordato anche dal senzatetto Karl M. nel nostro documentario, e il Palast der Republik, sede negli anni 80 del primo concerto di band dell’ovest a est. I Tangerine Dream, di cui Karl, che conserva una locandina dell’evento, ci ha parlato con gli occhi velati di commozione.

Il vostro documentario apre anche un’interessante finestra sul mondo queer, quello che serba memoria e al tempo stesso resiste in spazi culturalmente significativi che rischiano di sparire. Volete spendere due parole su questo tipo di comunità?
Maurizio e Francesco
ll nostro documentario non si concentra sul mondo queer maggiormente colpito dal pink-washing, ma su quello che ancora lotta per preservare la propria autenticità e sopravvivenza. Il pink-washing è un fenomeno che, purtroppo, rischia di appiattire la complessità e la profondità della comunità queer, trasformandola in una vetrina commerciale per fini di marketing e profitto. In questo processo, le lotte reali vengono spesso ignorate, e gli spazi che un tempo erano autentici rifugi per la comunità vengono sostituiti da luoghi che servono più l’immagine che il sostegno concreto.

L’incontro con Jil e Plutonia della Tuntenhaus è stato uno dei momenti più significativi e piacevoli del nostro lavoro. La loro storia incarna resistenza e speranza: eravamo di fronte all’ennesimo caso di “soluzione di forza” da parte dei proprietari del palazzo, occupato da questa meravigliosa comunità queer dal 1990. Tornando a casa dopo l’intervista, eravamo scoraggiati, temendo che anche in questo caso la speculazione edilizia avrebbe avuto la meglio. Poi, a sorpresa, un paio di mesi dopo, Jil e Plutonia ci hanno contattati con una notizia straordinaria: “Tuntenhaus Bleibt!” Grazie a una donazione anonima di 1.500.000 euro, la casa ha potuto continuare a essere quello che è sempre stata: un rifugio per persone queer in difficoltà, un centro di conferenze, studi e assistenza sociale, oltre che uno spazio di incontro e libertà.

Questo lieto fine ci ha resi incredibilmente felici e ci ha permesso di chiudere il documentario con una nota di speranza.Tuttavia, episodi come questo ci ricordano quanto sia difficile proteggere gli spazi autentici dalle pressioni del pink-washing e della speculazione immobiliare. Ci auguriamo che il nostro documentario possa contribuire a portare attenzione su questi temi, invitando a riflettere su come supportare la comunità queer in modi concreti e rispettosi delle sue radici e del suo futuro.
Paola
Una comunità creativa, al centro della vita berlinese, spesso nel bene ( per esempio nel caso delle Tunte e della loro Haus di accoglienza), a volte invece in una sorta di ignavia godereccia fine a se stessa, e collegata a un clubbing sempre più meramente commerciale. Addio ribelli? Non crediamo a questo. Le forme di impegno queer sono molteplici e una comunità politica alternativa è ben viva a Berlino.