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“Con le forze del bene non si deve scherzare”: intervista allo scrittore Riccardo Pro

Da pochi giorni è uscito il libro “La spiga e il fauno“, di Riccardo Pro, pubblicato dalla casa editrice romana Edizioni Progetto Cultura e recensito dalla nostra Maria Mazzocchia. Abbiamo deciso di intervistare l’autore, per parlare di alcuni particolari aspetti del libro e del suo approccio alla cultura.

Rompiamo il ghiaccio con la domanda più semplice: perché questo titolo?

Due elementi di valore simbolico a cui ogni persona che legga può dare il peso e il senso che percepirà. Rileggendo la bozza, li ho scelti perché individuavano bene i due terminali di attrazione della volontà umana, testimoniata dai personaggi. La spiga contiene la vita, il chicco di grano da cui si ottiene il pane che sfama e risolleva lo spirito. Il fauno, più nella concezione cristiana che non in quella greca, è un aggressore, un profanatore della dignità e della purezza della vita.

La pietra di giada che uno dei personaggi, Christophe, porta al collo è a forma di spiga. E la giada, secondo la tradizione cinese, aiuta a mantenere integre anima e mente. Questa integrità è necessaria per rispettare la vita. Robespierre, e questa è storia, recava in mano una spiga di grano quando guidava il corteo di popolo che sfilava per Parigi, durante le celebrazioni dell’Ente Supremo. Disse che quello era stato il più bel giorno della sua vita. Nel romanzo, al contrario, l’immagine del fauno corre sul filo del metaforico, incarnando la totale rovina dell’anima e della mente.

Il tuo libro parla della rivoluzione francese e del terrore giacobino in modo fortemente critico, mescolando molte ombre alle luci delle letture che tendono a privilegiare gli aspetti positivi del rovesciamento dell’ancien régime. Quanto è divisivo questo tema e ti sei posto questo problema, quando hai deciso di affrontarlo?

La Rivoluzione francese è stata un passo da gigante nell’evoluzione dei diritti dell’uomo. Ma ha anche dimostrato che coloro che la guidavano erano raramente all’altezza del compito, non in quanto francesi ma in quanto esseri umani. Già dai primi cenni che si fanno a scuola, si capisce subito che la Vandea è stato un brutto, bruttissimo affare. Se d’altronde gli storici, a cominciare dagli stessi cronisti francesi che seguirono i procedimenti giudiziari post-sterminio, chiamarono questo periodo il “Terrore“, non sarò certo io a oscurare l’immagine di questa fase della Rivoluzione più di quanto abbiano fatto i diretti responsabili. L’ultima cosa che desidero è una narrazione schierata.


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Nel 2023 il romanzo storico deve costruire la narrazione su fatti incontrovertibili e su questi può sviluppare una affabulazione dai risvolti umani e disumani perché tali furono gli eventi. Sopravvive in me un’anima anarchica abbastanza critica verso ogni forma di rivoluzione violenta. Uccidi il tiranno oggi e il male tornerà domani sotto mentite spoglie. Non è scetticismo il mio, né tantomeno nichilismo: è accettazione della nostra imperfezione che l’eccesso di potere converte presto in perversione. Come scrive Penny Rimbaud, scrittore e poeta britannico e cofondatore del gruppo The Crass: “Vuoi fare la Rivoluzione? Va bene! Ma cosa farai tu quando arriverà? Avrai il coraggio di usare il mitra? Parlerai ancora di libertà quando il sangue di quelli che non hai convinto comincerà a scorrere?”

Che tipo di personaggi sono coinvolti nella “saga storica” di Riccardo Pro e quali sono le loro caratteristiche?

Ho cercato di calarli del tutto nel contesto sforzandomi di eliminare ogni tratto che partisse dal mio tempo, almeno a livello cosciente. Alcuni di loro hanno una sorta di doppia identità, sulla cui natura preferirei lasciare la scoperta al lettore. Altri sono completamente immersi nelle violenze che li prosciugano di ogni umanità, un po’ per debolezza morale, un po’ per il piacere della depravazione.

Riccardo Pro

Altri si trovano davanti a delle decisioni: da queste decisioni dipende l’emersione della loro umanità profonda che li realizza, li nobilita e li eleva di cento misure al di sopra dell’una o dell’altra fazione, al di sopra del ruolo affidato, per nascita o per costrizione. Questi ultimi sono i personaggi essenziali, questi i caratteri universali del romanzo, questi gli spiriti che ricordano a tutti che prima di essere rivoluzionari o vandeani, cittadini o immigrati, cristiani, ebrei o musulmani, bianchi o neri, siamo prima di tutto, banalmente e meravigliosamente, esseri umani. E come tali dobbiamo cercare di comportarci, secondo la citazione di Voltaire che riporto all’inizio del libro.

Che scrittori possiamo intravedere “alle spalle” di Riccardo Pro? Ce ne sono alcuni dai quali ti senti ispirato o che semplicemente ti hanno formato?

Tantissimi… ma non me li ricordo! Lasciano tracce indelebili che purtroppo diventano anonime con il passare del tempo. A parte i testi da cui ho tratto citazioni esplicite (Tommaso Moro, Ian Curtis, Marco Aurelio), “La spiga e il fauno” è figlio dei naturalisti francesi dell’Ottocento, Balzac soprattutto. “I miserabili” di Hugo, al netto di un certo pathos troppo melodrammatico per noi moderni, ha fissato le mie coordinate, così come “Guerra e pace”. Lo so, sono classico. E ne vado fiero.

Adoro Carlo Sgorlon, soprattutto “Il processo di Tolosa”, vasto e originale romanzo filosofico di avventure e idee che non veicola messaggi bensì li cerca. Niccolò Ammaniti mi piace molto, quel guizzo neo-verista, i suoi piccoli fiori che nascono dal marciume. Questo è scrivere per me. Come la generosità e la compassione che schiumano dal mare di amarezza e crudeltà dipinto da Dickens. Anche se nella vita c’è molto da patire, questi autori lanciano raggi imperituri di speranza per tutti. Ci sono poi dei saggi di storia che mi hanno aiutato a creare alcune immagini del romanzo, come “I crociati alla conquista della città santa” di Steven Runciman o “La battaglia che fermò l’Impero romano” di Peter Wells.

E poi i “Sessanta racconti” di Dino Buzzati, molto più dell’osannato “Il deserto dei Tartari”. Joseph Conrad affonda le zanne in un paio di scene. Non ultime la leggerezza di Philippe Delerm, perché al centro del romanzo non dimentichiamo che c’è una bambina, il senso del mistero dal maestro Aldous Huxley, l’azione filmica da Wu Ming, il taglio “giallo” da Fruttero & Lucentini, il languore romantico da Forster e Hardy e non mancano quadretti umoristici che forse ho mutuato da Benni o da Wodehouse, chi lo sa, perché prima o poi si deve tornare a sorridere. Insomma sono un divoratore onnivoro.

Librerie aperte a Berlino
Librerie aperte a Berlino

Come la nostra Maria Mazzocchia, che ha recensito il tuo libro, hai una forte sensibilità sociale, che ti ha portato a contribuire a progetti legati alla cooperazione nel settore educativo e a organizzare laboratori di lettura destinati a persone senza fissa dimora, pazienti psichiatrici e detenuti. Come sono state queste esperienze, sia per te che per i destinatari di questi progetti?

Le esperienze sono state formative, toccanti e divertenti per tutti. Ho inziato le letture con il mio primo romanzo “Khatru”. Alla prima presentazione ufficiale del volume, a poche settimane dall’uscita, una donna sconosciuta mi guardò dritto negli occhi e mi disse che quel romanzo aiutava le persone, che dovevo farlo “viaggiare”, dovevo regalare quella storia a chi ne aveva bisogno. Obbedii immediatamente. Dopo tre anni ho telefonato a quella persona, che mi diede quella spinta, per ringraziarla. Questo è il vero potere degli esseri umani, altro che Wall Street.

La prima sessione di lettura fu una cosa buffa: questi homeless che si guardavano increduli e io che dicevo “Ok, formiamo un club di lettura, che ne dite?”. Surreale. Volevano sapere perché lo facessi. Non risposi. Alla fine delle letture, quella domanda non me la facevano più, avevano capito. Per completare la risposta alla tua domanda, chioso con un estratto di “La spiga e il fauno”: “Con le forze del bene non si deve scherzare, baronessa de Girac. Il bene è terribile. Il male sai sempre dove ti porta, il bene no…”

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