Backstage della performance AUREA: intervista al coreografo italo-berliner Emanuele Soavi

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© E. Soavi

di Emma Minarelli

Ho incontrato il coreografo Emanuele Soavi nel caffè del Dock11, spazio che ha ospitato la sua performance AUREA già recensita in precedenza.

Come descriveresti la tua formazione ricevuta in Italia in tre aggettivi?

Eccitante, piena di fantasia, estetica.

Dopo il tuo trasferimento in Germania nel 1998 quale situazione o personalità ti ha più ispirato?

Ogni esperienza mi ha portato qualcosa, forse perché sono molto curioso e credo in un continuo processo di crescita. Al Dortmund Ballet, partendo dalla mia formazione fortemente classica-accademica, ho avuto il mio primo scontro con la danza contemporanea in Europa, rischiando quasi di pormi già la domanda “Ma questa è danza?”. Quello che in seguito mi ha convinto di più è avvenuto durante il passaggio in Olanda, dove sono venuto a conoscenza del repertorio olandese. Scegliendo un coreografo, io arrivo sempre a W. Forsythe, perché mi sono ritrovato molto nell’approccio fisico e nel modo di creare il movimento, ciò mi permette di scoprire cosa mi piace fare sia come ballerino che come persona. Così sono riuscito a rientrare in relazione con settori a me vicini, probabilmente anche perché ho fatto studi universitari, quali la filosofia, la matematica e la musica, settori che avevo temporaneamente trascurato.

Come nasce un tuo nuovo progetto?

Non entro in sala ed incomincio a muovermi, questo mi serve per mantenere un certo livello di performance fisica, ma non è stato il primo elemento a cui ho pensato negli ultimi anni. Nel processo di creazione, ci sono tante possibili partenze per giungere ad un unico traguardo. Per definire una struttura entro cui iniziare a comporre, utilizzo varie fonti per esempio, quelle letterarie, quelle quotidiane, quelle urbane, anche musicali o cinematografiche. Le colleziono, annotandole in relazione ad un determinato tema. Quello che cerco è un lavoro che porti ad influenzare il mio movimento e il mio corpo nello spazio in cui agisco; intendendo per spazio non solo quello architettonico ma soprattutto quello che risulta dalla mia raccolta d’informazioni. Io cerco di dar vita ad un linguaggio che è prima di tutto un qualcosa tra me stesso e il mio corpo, poi tra il mio corpo e l’esterno, ed infine tra lo spazio esterno e l’ulteriore spazio esterno, rientrando in un ciclo di grande dialogo tra tanti valori interni ed esterni che continuamente interagiscono. Sono per la contaminazione con altre forme d’arte, nel mio lavoro non si trova solo movimento ma anche una decisa presenza delle arti visive, bildende Kunst, portando nei miei progetti un qualcosa che richiama il pittorico, l’installazione, la scultura e la presenza di materiali in scena.

Come si è articolata la tua collaborazione con Susanne Linke nella creazione di AUREA?

L’incontro con S. Linke per me doveva segnare l’inizio di un nuovo ciclo triennale di produzione chiamato HABIT CYCLES, a Colonia dove ha sede la mia compagnia. Le ho proposto di leggere le prime righe della Genesi, testo che per quanto nel mondo occidentale esso abbia un significato prettamente religioso, per me è stata la lettura ottimale per individuare lo stato embrionale del progetto, ovvero per scovare quell’approccio che dal nulla/caos inizia a dar vita ad una struttura/ordine. Abbiamo poi trascorso quasi sei mesi scambiandoci possibili valori e fonti d’ispirazione per questo tipo di lavoro. In una seconda fase, abbiamo definito i nostri rispettivi ruoli: dopo aver creato una sorta di libretto, come sequenza di idee ed immagini selezionate dalla collezione di informazioni derivata dalla prima fase, ho iniziato la mia prima ricerca di composizione del movimento creando la coreografia. Nel terzo momento, a quattro settimane dalla prima, ritrovandoci insieme, Linke si è occupata della regia integrando le mie sequenze di movimenti ed inserendo progressivamente oggetti in scena, come la carta, i metronomi e la struttura dei neon. Pur avendo uno scarto generazionale forte, ci siamo sentiti a nostro agio nel lavorare insieme, attraverso un reciproco scambio di forza creativa, fino a sovvertire i ruoli che ci eravamo assegnati per diventare all’unisono performer-coreografo-regista.

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© fotogramma tratto dal video dello spettacolo di Mathias Prause

 

Perché siete arrivati al Principio di Sectio Aurea, che dà il titolo alla performance?

A partire dall’analisi del testo della Genesi, abbiamo estratto la nostra chiave di lettura ovvero l’idea di origine e di ordine traslandola nello sviluppo della storia umana sino ai giorni nostri. Dalla Genesi si entra direttamente nella quotidianità attuale, per esempio, quando ci si sveglia al mattino, dobbiamo ordinarci di fronte a noi stessi, agli altri e alla società in generale, operando una trasformazione in noi per creare una immagine che ci permetta di raggiungere se non la perfezione, almeno la sensazione di sentirci a nostro agio, e quindi l’immagine diviene una sorta di idealizzazione. Se la Genesi ci ha fornito lo stimolo per individuare una domanda di vita quotidiana, occorreva però ritrovare un nesso all’interno di questo lunghissimo periodo della storia umana: quel nesso è il Rinascimento nel quale l’uomo conferma nuovamente la sua ricerca di perfezione e di intelletto per progredire sia a livello spirituale-filosofico sia quotidiano. E qui si inserisce la Sezione Aurea, che sin dalle sue origini in Grecia, trova appunto, nel Rinascimento il suo culmine, spingendo ancora in avanti l’ideale di perfezione. Si finisce pertanto per idealizzare il criterio che regola una società, la definizione di buon governo ovvero il politically correct, la costruzione di una città che funzioni sia come architettura sia come habitat e possa consentire una vita a dimensione di uomo. In tutto questo io vedo la Sezione Aurea, una forza di ricerca, anche se utopica, di perfezione.

Come è avvenuta la corrispondenza tra i movimenti e la scelta musicale?

Bach era già stato pensato in quanto compositore ideale per questa tipo di lavoro grazie alla struttura matematica di composizione musicale. Abbiamo deciso di porre in scena uno strumento e un performer, garantendo una proporzione tra le varie discipline artistiche. La Courante scelta, tratta dalla French Suite BWV 812, è della durata di 3 minuti circa ma viene suonata per più di un’ora. Questa dilatazione è ottenuta riproponendo continuamente il canone musicale della partitura secondo differenti tempi di esecuzione: suonando all’indietro o in avanti, si formano nuove prospettive che richiamano nuovamente i concetti di proporzione e di Sezione Aurea. E per certi versi, anche nella coreografia esiste un’unica struttura di movimento che viene riletta in differenti direzioni e dimensioni di spazio.

Cosa cerchi oggi nel tuo percorso artistico?

Creare una emozione in chi sta guardando. Un’emozione piacevole o non, di commozione, d’ironia, di gioia, di libertà, di costrizione, di paura, di ansia: qualunque essa sia, mi interessa creare una emozione esclusiva che può essere evocata solamente vedendo uno spettacolo di danza in teatro.

Bellydance 09/2009
© Joris Jan Bos