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Miguel Gobbo Diaz sul set di “Flatmates”, a Berlino: “Viva il lupo, sempre!”

Photo by Riccardo Riande

di Lucia Conti

Miguel Gobbo Diaz è un giovane attore italiano, originario di Santo Domingo. Cresciuto a Vicenza, si è formato a Roma, al Centro Sperimentale, per poi iniziare a lavorare sia in ambito teatrale che cinematografico. Nel 2016 ha ottenuto il primo ruolo da protagonista sul grande schermo con il film “La grande rabbia”, di Claudio Fragasso, ed è attualmente molto noto in Italia per aver interpretato il ruolo di Malik in “Nero a metà”, fortunatissima serie di Rai1 pronta a essere rilanciata a breve con la seconda stagione.
A Berlino l’abbiamo incontrato durante le riprese di “Flatmates”, serie che lo vede recitare su un set internazionale al fianco di Giorgio Cantarini (potete leggere qui la nostra intervista), suo migliore amico nella serie e nella vita.  

Parliamo subito del tuo personaggio in “Flatmates”, Giorgio

Inizialmente avevo fatto il provino per Paolo, il protagonista, esattamente come il mio amico Giorgio Cantarini.

Ho intervistato anche lui e quando me l’ha raccontato gli ho detto che questa situazione poteva sfociare in uno psicodramma…

In realtà, facendo i provini e parlando con i registi, mi sono accorto sempre di più che il mio amico era perfetto per interpretare Paolo e io ero invece molto più simile a Giorgio, il personaggio, un ragazzo decisamente “artistoide”, sempre positivo ed esuberante.

È un musicista, giusto?

Sì, ha una band e suona a casa sua da anni, ma non vive di quello che ama e non ha mai avuto il coraggio di mettersi in gioco mentre Paolo, il suo migliore amico, fa la scelta di lasciare l’Italia e cambiare prospettiva. E siccome Giorgio è il più forte ed esuberante dei due, quando vede che Paolo è riuscito a spostarsi altrove, pensa che ci sia possibilità di farcela per entrambi. Per il resto è un personaggio che si butta, anche con le ragazze, fa anche decisamente delle figure di merda… è molto bimbo in certe cose, ma anche maturo in altre. I due personaggi si sostengono a vicenda.

Ti piace il tuo gruppo di lavoro?

Molto, è una realtà internazionale, tutta gente che viene dall’Inghilterra, dalla Germania, da altri Paesi. È bello perché trovi dei giovani che hanno il coraggio di fare qualcosa per mostrare il loro talento.

Il tuo amico e collega Giorgio Cantarini si sta trasferendo negli USA, tu sei stato a Londra. In generale noto che le nuove generazioni di attori tendono a ragionare sempre di più in termini internazionali

Ho vissuto circa otto anni a Roma, dove Giorgio ed io abbiamo frequentato entrambi il Centro Sperimentale. Poi abbiamo prodotto e diretto insieme “Il Calapranzi”, di Harold Pinter, che è andato benissimo, con tre sere di sold out.
In seguito ho deciso di spostarmi a Londra. Avevo bisogno di uno stimolo in più e ho deciso di perfezionare l’inglese. Sono partito nel 2016, ho cominciato a studiare e a fare dei provini lì. Nel frattempo ho trovato lavoro in un cinema, mi piaceva avere un’occupazione vicina al mio settore e amavo guardare film gratis, mentre miglioravo il mio inglese.
Sono stato a Londra un anno e mezzo ed ero in procinto di partire per una tournee teatrale quando sono dovuto tornare in Italia, perché ero stato scelto per “Nero a metà”.

Photo by Riccardo Riande

“Nero a metà” è la ragione per cui al momento sei estremamente popolare. Nella serie interpreti Mailk e sei il coprotagonista, giusto?

Esatto, sono il protagonista insieme a Claudio Amendola. Sono molto contento, perché la serie è uscita a novembre su Rai1 e ha registrato uno share altissimo, sei milioni di persone l’hanno vista tutti i lunedì ed è stata molto apprezzata, anche perché è una serie dove c’è un protagonista maschile di colore con un ruolo positivo, è un vice-ispettore.

Questa cosa mi colpisce molto. Non è una cosa molto comune, a tuo avviso?

Se guardi nella storia del cinema italiano e delle serie, non ci sono ruoli da protagonista per gli uomini di colore e spesso gli attori di colore sono stati usati per interpretare drogati o criminali. Ho amato questo ruolo, perché Malik è un personaggio cresciuto in Italia, che vive di cultura italiana e che vede nell’Italia il suo Paese… come me. Anche io sono cresciuto in Italia e ho assimilato la cultura italiana.

Hai anche un vago accento veneto

Ovvio, certamente… (scherza, accentuandolo n.d.r.)

Come è stata l’interazione con Claudio Amendola?

Ti ritrovi con un attore che fa questo mestiere da più di trent’anni, quindi c’è solo da imparare. È stato bellissimo lavorare con lui, ma anche con Fortunato Cerlino, il don Pietro Savastano di “Gomorra”, Antonia Viscova, Angela Finocchiaro e giovani come Rosa Diletta Rossi di “Suburra”, Alessandro Sperduti, Margherita Vicario. È un cast tra l’altro molto internazionale, con un sacco di persone impegnate in lavori molto interessanti. È stata un’esperienza bellissima, che ricominceremo a breve.

Photo by Riccardo Riande

Quando inizia la seconda stagione?

A maggio ricominciamo a girare per sei mesi e infatti devo iniziare i preparativi e calarmi di nuovo nel personaggio.

Dove si può reperire la prima stagione?

Adesso è anche su Netflix, con il titolo “Carlo e Malik”, si vede anche in Germania, in Brasile, in Australia, Nuova Zelanda… questa è una bella cosa. Il titolo è diverso perché tradurre “Nero a metà” in un’altra lingua non rendeva proprio.

Photo by Riccardo Riande

Ci racconti un episodio del set, il primo che ti viene in mente, per dare ai nostri lettori un contorno che non sia strettamente legato alla trama conosciuta?

Ricordo perfettamente il primo giorno… ero tesissimo! Siamo andati sul set e io non sapevo dove fossimo, eravamo in questo grande mercato a Roma e io dovevo andare a chiedere delle informazioni in macchina e non riuscivo a pronunciare le battute, perché ero troppo agitato. Alla fine della giornata ero sfinito e mi sono detto “Madonna mia, ci sono altri 300 giorni da affrontare e questo è solo il primo!”. Ricorderò sempre quel momento e quella sensazione totalmente nuova. Però poi sono entrato nel meccanismo, fino al punto che sono andato dritto fino alla fine, senza accorgermi più dei giorni che passavano.

Tu hai fatto anche un film con Fragasso, “La grande rabbia”. Si parlava di Roma, del degrado delle periferie, della facile risposta dell’estremismo, nello specifico di destra.

C’erano stati degli scontri a Tor Sapienza, in quel periodo. C’erano degli immigrati in un centro di accoglienza, uno o alcuni di loro furono accusati di aver violentato una donna e poi si scoprì che non era vero. La situazione divenne invivibile. A Fragasso venne allora in mente di fare questo film, in parte ispirato da “L’odio” di Kassovitz, che parlava delle periferie francesi.

Le classiche banlieue parigine, caratterizzate dalla segregazione razziale e sociale

Esatto. Noi abbiamo invece cercato di raccontare le borgate romane, ovviamente dal punto di vista soggettivo di due amici calati in quella realtà.

Il tuo personaggio?

Il mio personaggio è quello di Benito, detto Benny, un ragazzo con un passato di detenzione e fieramente di estrema destra, nonostante sia di colore. Orbita intorno a questo bar di skinhead ed è convinto di essere più spavaldo e di destra degli altri, in modo quasi provocatorio. Ha questa sfaccettatura quasi surreale, ma che invece è reale, perché mi hanno raccontato, mentre giravo, che c’erano diversi ragazzi di colore di estrema destra, a Roma.

Photo by Lucia Conti

Che fine fa, Benny?

Nel film Benny cerca di stare meglio, ma non prendendo la strada più giusta, più onesta, tutto il contrario. Il bisogno di migliorare la sua condizione lo portava a fare le peggiori scelte possibili.

È stato difficile calarti in questo ruolo?

Abbastanza, anche perché mi hanno fatto parlare un po’ romano e per me, da “nordico”, è difficile. Alla fine però sono entrato nel personaggio ed è stato bello anche dal punto di vista delle coreografie, perché vengono mostrati anche incontri clandestini, in cui Benny combatte. Ringrazio per questo tutta l’acrobatica e la danza che abbiamo fatto alla Scuola Nazionale. Ho avuto anche un incidente, dopo due giorni di combattimento mi è arrivato un cazzotto qui… (mostra l’esterno dello zigomo, ndr…)

Madonna!

Sì. È capitato per sbaglio, eravamo molto stanchi, dopo tre o quattro settimane di riprese. Quando è successo, alle sette di pomeriggio, sono andato in ospedale, mi hanno messo i punti e sono tornato alle undici di sera sul set, dove ho ripreso a girare. Quando fai film indipendenti non puoi permetterti di perdere neanche una giornata di lavoro.

Come hai capito che volevi recitare?

In primo superiore dovevo fare dei corsi obbligatori per recuperare alcune ore durante la settimana e non avevo voglia di fare i compiti e studiare, quindi ho scelto il corso di recitazione, che mi incuriosiva. L’ho fatto per cinque anni e un giorno, durante una chiacchierata con la bidella e l’insegnante, la bidella mi disse “Tu devi fare scuola di recitazione!” e io “Mah, non lo so…” e l’insegnante “La farà, la farà…”, con grande convinzione. Lì c’è stato come un click in me, ho deciso di iscrivermi a una scuola di recitazione e sei mesi dopo ero a Roma.

Grandi motivatrici, la bidella e l’insegnante…

Decisamente! Comunque quando fai un percorso di vita a volte non ti accorgi che quello che stai facendo è qualcosa per cui sei portato. Io mi sono accorto solo il quinto anno che volevo recitare e mi sono trovato già pronta la risposta alla domanda “Cosa voglio fare dopo?”.

È bello capirlo in tempo, ci sono persone che lo capiscono fuori tempo massimo

Io credo che se coltivi le cose che ti riguardano con passione, le risposte ti arrivano in faccia, anche se all’inizio non te ne accorgi.

Miguel Gobbo Diaz
Photo by Riccardo Riande

Tu hai fatto anche teatro e tra i lavori che hai portato in scena c’è stato anche “The pass”, di John Donnelly

Esatto, che nella versione italiana si chiama “Fuorigioco”. A febbraio ho fatto sedici repliche al piccolo Eliseo di Roma, con la regia di Maurizio Mario Pepe. “The pass” è un’opera sull’omosessualità nel mondo del calcio, che parla di due ragazzi che si ritrovano in un hotel la notte prima di una partita di Champions League. Fanno parte della giovanile e sono stati convocati anche perché la squadra è già qualificata e vogliono testarli. In quell’hotel succede qualcosa tra loro, qualcosa che cambia la loro vita.
I due ragazzi siamo io ed Edoardo Purgatori, che tra l’altro è italo-tedesco, ha lavorato anche nella serie “Baby” e ha fatto altre cose importanti. Nel cast ci sono anche Giorgia Salari, attrice di teatro molto molto nota, e Gianluca Macrì.

Torniamo ai due ragazzi, che dinamiche si innescano?

Quello che succede tra loro li porterà a non vedersi mai più. Uno deciderà di accettare la sua omosessualità e smetterà di fare il calciatore, l’altro non avrà questo coraggio e diventerà famosissimo. Si incontreranno dopo dieci anni e paradossalmente la persona a cui è andata “peggio” professionalmente, esprimerà molta più forza e determinazione del giocatore di successo, schiavo delle apparenze.

Tu chi sei dei due?

Quello che non diventa famoso.

Sullo sfondo il maschilismo del calcio

Assolutamente. Questo testo tra l’altro è stato ispirato da un giocatore tedesco che alla fine della sua carriera ha detto in una conferenza stampa: “Comunque io sono gay”. Nel mondo del calcio è ancora un tabù, il pubblico non sempre reagisce bene e il tema di “The pass” è proprio questo. E mi è piaciuto anche lavorare su un’immagine dell’omosessualità lontana dai soliti stereotipi.

Ti sei trovato a confrontarti con temi che vanno dall’omosessualità nascosta, al razzismo, al disagio sociale. Ti piace l’impegno, nell’arte?

Il fatto è che molte persone si possono rispecchiare in quello che rappresenti e questo è per me fonte di gioia, perché puoi in qualche modo aiutarle ad capirsi. Quando scegli di fare l’attore ti metti a disposizione degli altri, metti a disposizione il tuo corpo, i tuoi sentimenti, cerchi di trasmettere delle emozioni e di far sì che qualcosa cambi…

Il cinema cambia il mondo, a volte. Pensa ad esempio all’impatto colossale che ebbe un film come “Indovina chi viene a cena?”

Stai parlando di uno dei miei film preferiti di sempre! E immagina rappresentare quel tema a quei tempi. Quando ho visto quel film sentivo l’ansia, perché mi mettevo nei panni di Sidney Poitiers, a quell’epoca, in quella situazione. Nessuno era abituato a vedere una coppia interrazziale, era uno scandalo. Quel film ha cambiato tutto.

Cosa farai dopo le riprese della seconda stagione di “Nero a metà”?

In generale ho sempre voluto aprirmi più orizzonti, penso a Santo Domingo, a Londra, mi piacerebbe proiettarmi in un circuito internazionale. E poi mi piacerebbe fare un film e partecipare a qualche festival, ma, appunto, con un film giusto.

Ti faccio il mio più grande in bocca al lupo

Viva il lupo! Sempre!

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