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QTI BIPOC Pride: l’attivismo queer intersezionale colora Kreuzberg

Sabato 26 giugno a Berlino si sono svolte diverse manifestazioni sotto l’ombrello del CSD Berlin Pride. Partendo da Neukölln, Kreuzberg e Prenzlauerberg, tre cortei, ognuno organizzato intorno a temi specifici, hanno attraversato la città per poi culminare in una manifestazione comune. Noi abbiamo seguito quello di Kreuzberg, partito da Oranienplatz e organizzato dal collettivo QTI BIPOC United. Per chi non avesse familiarità con questa sigla, il nome dell’organizzazione, che contiene anche le linee guida della manifestazione, è l’acronimo di “Queer Trans Intersex Black Indigenous People Of Color” (persone di colore, nere, indigene, queer, transessuali e intersessuali). Ovvero, raccoglie al suo interno tutte le identità che spesso si perdono nelle pieghe di un movimento LGBT che tende a vedere una predominanza di maschi bianchi cisgender.


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Omofobia in Germania: siamo sicuri che sia solo d’importazione?

Mentre la folla inizia ad assembrarsi, viene da pensare alle dichiarazioni, recenti e non, di alcuni politici tedeschi che vorrebbero il tema dell’omo-transfobia ormai completamente risolto in Germania e che alimentano la narrativa di un’omofobia “d’importazione”, attribuibile agli immigrati che si rifiutano di integrarsi con i valori laici e progressisti del Paese.

La coloratissima folla che si va raccogliendo intorno al carro degli organizzatori non sembra turbare più di tanto gli abitanti di Kreuzberg: dai bar delle strade intorno arrivano sguardi disinteressati, le conversazioni in turco e in arabo proseguono come se non stesse accadendo nulla, con al massimo un sorriso e un cenno del capo al passaggio di giovani e meno giovani dall’abbigliamento sgargiante.

Passa un’auto: al suo interno due ragazzi bianchi, che urlano dal finestrino, in un tedesco privo di inflessioni straniere, un paio di rapidi insulti. Non sembrano omofobi d’importazione. Poco prima, due uomini di mezza età, altrettanto bianchi, altrettanto tedeschi, si sono soffermati qualche secondo a guardare il carro che veniva allestito in piazza. Uno dei due, dando di gomito all’altro, ha commentato “Ci toccherà andarcene in Ungheria“. Neanche loro sono d’importazione, ma sembra mirino all’esportazione.

Il collettivo QTI BIPOC.
Foto © Angela Fiore

Una comunità queer multietnica e intersezionale

A essere davvero multiculturale e multietnica, invece, è la manifestazione che si snoda per le vie del quartiere in direzione di Alexanderplatz, dove i tre cortei convergeranno. Dal carro, si invitano le persone queer, trans e soprattutto non bianche a stare alla testa del corteo, dal momento che questo è il Pride delle identità che la comunità gay occidentale continua a marginalizzare. Le questioni centrali dell’evento sono il dibattito sul razzismo all’interno della scena queer, la visibilità delle persone trans, intersessuali e non binarie, i diritti dei/delle sex worker e di tutte le altre minoranze che scompaiono nell’ondata arcobaleno dei grandi CSD degli ultimi anni.

La prima a salire sul palco allestito sul carro, per una performance di danza, è la danzatrice del ventre Dalaa Alsham, una donna trans di origine palestinese e siriana che fa parte del collettivo di rifugiati queer QueerBerg.

La performance dell’artista siriano/palestinese Dalaa Alsham, del collettivo QueerBerg, che unisce i rifugiati queer a Berlino.
Foto © Angela Fiore

Dagli altoparlanti si susseguono gli inviti a tenere sempre la mascherina e a mantenere la distanza. I manifestanti, molto disciplinati, ci provano come possono: nessuno si toglie la maschera, ma la quantità di partecipanti rende molto difficile garantire costantemente la distanza interpersonale di un metro e mezzo fra le persone.

Un Pride familiare, ma anche molto diverso

Per chi ha pratica di Pride, specialmente in Italia, questo tipo di manifestazione è allo stesso tempo familiare e nuova: l’atmosfera è euforica, il volume della musica è alto, proprio come avviene in qualsiasi Pride di qualsiasi città occidentale (anche se è prevalentemente musica elettronica, perché siamo pur sempre a Berlino), ma l’attenzione ai temi politici è diversa, così come diversi sono i corpi e il modo di esibirli.

I riflettori non sono sulla bellezza convenzionale, sulla commercializzazione del desiderio: non ci sono giovanotti muscolosi coperti d’olio né modelle in bikini. Ci sono invece persone di etnie diverse, bandiere con il logo di Azione Antifascista, corpi di tutte le dimensioni, che si muovono a piedi, in bicicletta o in carrozzina, identità che non si prestano all’incasellamento binario di genere. I messaggi più importanti vengono scanditi sempre in tedesco e in inglese: “Indossate la mascherina, mantenete la distanza, se parlate con qualcuno, chiedete a quella persona quali pronomi preferisce e rispettate la sua scelta e soprattutto non toccate nessuno senza il suo consenso esplicito”.

La folla durante il discorso di Antonella Lerca Duda.
Foto © Angela Fiore

Uno sguardo all’Ungheria, alla Polonia e a George Floyd

Anche gli interventi politici hanno un respiro più ampio e diverso da quello che ricorda chi ha frequentato i Pride europei negli ultimi vent’anni. D’altra parte in Germania le famiglie arcobaleno godono di molte tutele, il matrimonio egualitario è legge e questo potrebbe far pensare che ci sia solo da festeggiare e non più da lottare. Tuttavia lo slogan della manifestazione è “Nobody’s free until everybody’s free“.

Lo ricorda nel primo discorso l’attivista trans e sex worker roma Antonella Lerca Duda: nella civilissima Unione Europea ci sono ancora leggi che opprimono le persone queer, come quelle recentemente approvate in Ungheria, ci sono paesi, come la Polonia, che si vantano di avere intere zone “LGBT-free” e, nello stesso mese in cui l’assassino di George Floyd, negli USA, è stato condannato a 22 anni e mezzo di prigione, in Repubblica Ceca un poliziotto ha ucciso, con le stesse modalità, Stanislav Tomas, un quarantaseienne di etnia Roma.

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La comunità queer: dalla celebrazione all’attivismo

Qui entra in gioco l’intersezionalità: le persone LGBTQ+ Roma e Sinti sono fra le più marginalizzate e discriminate in assoluto, così come lo sono i/le sex worker, che hanno attraversato l’intera pandemia senza tutele e spesso senza reti di sicurezza sociale di base.

Se i grandi CSD degli anni passati sono celebrazioni, quello che si vede in azione a Kreuzberg è attivismo. D’altra parte, come ricorda il messaggio stampato su molte t-shirt, Stonewall fu una rivolta.

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