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Muro di Berlino: le fughe più spettacolari, entrate nella storia

Tra l’erezione del Muro di Berlino nel 1961 e il suo crollo epocale nel 1989, oltre 40.000 persone sono riuscite a fuggire allo spietato controllo delle guardie di frontiera, riparando all’ovest. Molte di queste fughe sono state rocambolesche e creative e hanno segnato profondamente l’era della Guerra Fredda. Vediamo le più spettacolari.

La prima tra tutte le fughe: quella di Conrad Schumann

Un’iconica storia di fuga, la prima in assoluto, è legata a Conrad Schumann, che nell’agosto del 1961, proprio mentre il Muro di Berlino veniva eretto, saltò all’improvviso oltre il filo spinato, diventando protagonista di una foto entrata nella storia. Nel solo anno della costruzione della barriera destinata a dividere il mondo, oltre a Berlino e alla Germania, più di 200.000 persone lasciarono la DDR ed è anche per arrestare questa “emorragia” di fuggitivi che fu costruito il Muro. Nonostante ciò, negli anni successivi, migliaia di cittadini della DDR tentarono ancora di sfuggire al regime, anche a rischio della loro stessa vita.


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La leggendaria fuga dei fratelli Bethke

Quella dei fratelli Bethke emerge come una saga quasi epica, nella storia delle fughe dalla DDR, in quanto i fratelli scapparono in momenti diversi e con diverse e originali modalità.

Ingo, il fratello maggiore, sfruttò l’esperienza accumulata durante il servizio militare al confine, nel Meclemburgo sudoccidentale, per orchestrare una fuga incredibile nel 1975. Dopo aver studiato a lungo le falle del sistema di sicurezza, si aprì una via di fuga facendo un buco nella recinzione di confine, superando un campo minato e attraversando il fiume Elba per 200 metri. A quel punto la Stasi mise sotto stretto controllo i fratelli rimasti all’est, ma la loro determinazione a fuggire prevalse.

Otto anni dopo, nel 1983, fu il turno di Holger, il quale adottò un approccio di fuga diverso. Travestito da elettricista insieme a un amico, con cavi e fili appesi al collo, raggiunse un appartamento in uno stabile al confine, a Treptow. A quel punto, con un arco, tentò di lanciare delle frecce su un tetto di fronte, nella zona ovest di Berlino. Dopo due tentativi andati a vuoto, riuscì a far atterrare una freccia. Il fratello Ingo, che era dall’altra parte, la afferrò e i due riuscirono a tendere un cavo d’acciaio attraverso i tetti, creando una specie di funivia. Holger riuscì quindi a passare dall’altra parte, sospeso nel vuoto.


Peter Fechter

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L’ultimo capitolo di questa saga riguarda Egbert, il quale scappò all’ovest nel 1989, proprio l’anno in cui il Muro era destinato a cadere. A predisporre tutto furono Ingo e Holger, che organizzarono il recupero di Egbert utilizzando un aereo ultraleggero camuffato con una stella rossa sovietica, per impedire che venisse abbattuto in volo. Dopo un breve addestramento, decollarono vestiti da militari, superarono il Muro e atterrarono in un campo di calcio a Neukölln, Berlino Est. Successivamente si recarono a Treptower Park, dove incontrarono Egbert, nascosto tra i cespugli. Ripartirono quindi tutti in volo, alla volta di Berlino ovest.

La fuga in mongolfiera

Un altro episodio spettacolare fu quello del viaggio in mongolfiera di due famiglie, nel 1979. Peter e Doris Strelzyk, Günter e Petra Wetzel e i figli delle due coppie riuscirono infatti a fuggire all’ovest con una mongolfiera “fatta in casa” e nonostante indicibili difficoltà e contrattempi.

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Günter Wetzel, Doris Strelzyk and Peter Strelzyk. Ken Hively, Los Angeles Times, CC BY 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/4.0>, via Wikimedia Commons

Nell’arco di sei mesi, queste persone diedero impulso al primo tentativo e riuscirono a cucire circa 1.000 metri quadrati di tessuto, dando forma a un pallone aerostatico alto 28 metri e largo 20. Non riuscirono però neanche a gonfiarlo: avevano utilizzato un tessuto troppo poroso, da cui l’aria calda usciva troppo rapidamente.

La sola famiglia Strelzyk tentò una seconda volta, ma ci fu un ulteriore problema tecnico e la mongolfiera atterrò su un campo minato. Il suo ritrovamento vicino al confine portò la Stasi a cercare freneticamente i responsabili. Non si poteva più restare all’est, neanche volendo, era diventato troppo rischioso. Le due famiglie organizzarono così un terzo tentativo di fuga, nel settembre del 1979.

Stivale Wellington modificato con ganci metallici per consentire al suo proprietario di scavalcare le recinzioni di confine. In mostra al Grenzmuseum Schifflersgrund. ChrisO, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

Mentre la gonfiavano, improvvisamente la mongolfiera prese fuoco. Per fortuna, le fiamme vennero subito spente con un estintore e il pallone aerostatico riuscì a decollare con le due famiglie a bordo, nella notte, a 8 gradi sotto zero, raggiungendo i 2000 metri di altezza. La situazione divenne nuovamente critica quando il gas del bruciatore si esaurì e la mongolfiera cominciò a scendere a gran velocità.

L’atterraggio fu brusco, ma per fortuna nessuno riportò danni. Solo Günter Wetzel subì una leggera lesione muscolare al polpaccio destro. Subito dopo, le due famiglie incrociarono una pattuglia della polizia bavarese e la loro prima domanda agli agenti fu chiara e diretta: “Siamo all’Ovest, vero?”.

Placca che indica il punto in cui iniziava il Tunnel 57, in del tunnel di fuga 57 in Bernauer Straße, Berlino. Dettaglio della foto di N-Lange.de at German Wikipedia, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

Il Tunnel 57

Sotto il Muro di Berlino furono scavati numerosi tunnel, utilizzati come vie di fuga da molti cittadini dell’est, intenzionati a raggiungere l’occidente a ogni costo. Tra questi, uno dei più noti fu il celebre Tunnel 57: un passaggio sotterraneo lungo 145 metri e profondo dodici, che il 3 e il 4 ottobre del 1964 consentì a un gruppo composto da 57 persone, tra uomini, donne e bambini, di fuggire a Berlino ovest.

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La realizzazione di questo tunnel iniziò ad aprile per concludersi a ottobre e fu opera di circa 35 berlinesi dell’ovest, tra cui Wolfgang Fuchs, il futuro astronauta Reinhard Furrer e molti studenti della Freie Universität, la Libera Università di Berlino. I lavori si protrassero per sei mesi di scavi, con un punto di ingresso situato all’interno di una panetteria al numero 97 di Bernauer Straße, nella parte occidentale di Berlino, e che giungeva, attraversando il confine, fino al cortile del numero 55 di Strelitzer Straße, nella parte orientale.

Dopo i primi due giorni di fughe, il canale fu scoperto dalla Stasi e ne seguì una sparatoria che si concluse con la morte di una delle guardie di confine, Egon Schultz, di 21 anni. La Repubblica Democratica Tedesca definì l’evento come un atto terroristico, ma nel 2000, dopo l’apertura degli archivi della Stasi, venne alla luce che la guardia di confine era stata colpita letalmente da una raffica di colpi sparata da uno dei suoi stessi compagni.

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Una “bubble car” BMW Isetta, modificata per portare all’est persone nascoste in un vano ricavato accanto al motore. ChrisO, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

La “mucca di Troia”

Un tentativo particolarmente ingegnoso è quello divenuto noto come il trucco della “Mucca di Troia“, chiamato così perché richiama alla mente l’astuto stratagemma concepito da Ulisse e attuato con il celebre cavallo di legno. Nel 1969, per ben due volte, due persone alla volta riuscirono a nascondersi all’interno di una mucca in legno cava, trasportata da una parte all’altra della città, con la scusa che fosse un elemento da esposizione.

Tuttavia, durante il terzo tentativo, la sorte non aiutò la diciottenne Angelika B., di Karl-Marx-Stadt (Chemnitz), che fu scoperta all’interno della mucca e condannata a due anni e dieci mesi di reclusione per “attraversamento illegale della frontiera”. Questo sancì la fine delle “fughe omeriche” all’ovest.

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 Windsurf attraverso il mar Baltico: tra le fughe più audaci

Un altro episodio restato nella storia è il coraggioso tentativo di fuga messo in atto da Karsten Klünder e Dirk Deckert. Utilizzando il windsurf, i due attraversarono il Mar Baltico per 70 chilometri, nel tentativo raggiungere la Danimarca. Tentarono la sorte in acque aperte, di notte, affrontando le onde con niente più di una muta da sub, una bussola, un orologio e delle tavole da surf di fabbricazione artigianale. Furono e restarono gli unici a fuggire all’ovest con questa modalità.

Un DOWA 81 costruito dal Dr. Gerhard Wagner nel 1981 per consentire a lui e alla sua famiglia di fuggire dalla Germania Est. Cplakidas, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

I due presero il largo il 25 novembre del 1986. A un tratto, però, Klünder si rese conto che il suo compagno era scomparso. Lui stesso cadde più volte nelle acque gelide, riuscendo infine a toccare le le coste danesi, felice di avercela fatta, ma sconfortato per il compagno perduto. Appena giunto in Danimarca, avvisò la guardia costiera danese della scomparsa di Deckert in mare e si diede quindi il via operazioni di ricerca, con l’invio di elicotteri, ma senza successo.

Tuttavia, la storia ebbe fortunatamente un lieto epilogo: due giorni dopo, infatti, Deckert si presentò presso il Centro di Accoglienza per Rifugiati di Gießen: era riuscito a sopravvivere. Deckert spiegò che la sua muta si era lacerata, costringendolo a tornare indietro per ripararla, poiché consapevole che senza non sarebbe riuscito a sopravvivere alla traversata. Aveva ritentato la fuga la notte successiva, raggiungendo infine le coste danesi.

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