Morena Rossi, Donne all’ultimo grido: “Aiutiamo le donne a farsi sentire di più”
Morena Rossi è la presidente di “Donne all’ultimo grido”, Associazione di Promozione Sociale che si occupa di empowerment femminile e che ha dato vita insieme, al Comites di Dortmund, al progetto “Un urlo ci salverà“, progetto finanziato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Copywriter, autrice e conduttrice radiofonica per Radio24, Morena Rossi è coautrice del libro nato dalla trasmissione “Destini Incrociati” (Cairo Editore) e nel 2016 è uscita in libreria con un romanzo tutto suo dal titolo “Che m’importa che tu faccia la brava” (Tralerighe).
Da sempre si occupa di tematiche femminili e in questo momento è impegnata nella diffusione di “Un Urlo ci salverà“, libro che racconta 10 donne italiane in Germania alle prese con il Coronavirus, illustrato dal famoso e misterioso collettivo Lediesis. Un progetto che parla di donne e resistenza in un momento in cui a resistere è tutto il mondo.
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Morena, parlaci di questo progetto. Come nasce e perché?
Il progetto nasce dallo stesso spirito che anima l’Associazione “Donne all’ultimo Grido”, ovvero quello di dare più voce alle donne. L’incontro di questo desiderio con quello del Comites di Dortmund di raccontare le italiane in emigrazione, ci ha fatto nascere l’idea. Quale momento migliore della pandemia per farci alzare la voce su tematiche che sembravano assodate, come la parità di genere, e che invece si ripresentano in tutta la loro fragilità? L’emergenza da lockdown ha colpito soprattutto noi donne, questo vale a ogni latitudine, e però alla fine ce l’abbiamo fatta attingendo a risorse che sembravano esaurite. “Un Urlo ci salverà” vuole raccontare di questo, dell’infinita rigenerazione cui il nostro genere è costretto, e lo fa attraverso le esperienze di dieci donne che vivono in Germania, esperienze che, in un modo o in un altro, ci riguardano tutte.
Con che criterio avete scelto le donne da intervistare?
Abbiamo cercato di dare una fotografia che fosse il più varia possibile delle donne italiane che vivono in Germania, una specie di carotaggio dell’universo femminile in termini di età, professione, passioni e costruzione famigliare. Così facendo abbiamo avuto la possibilità di raccontare diversità e somiglianze delle donne in emigrazione.
Cosa è emerso durante le interviste e che idea ti sei fatta del modo in cui queste donne stanno affrontando la pandemia?
Le interviste sono state in realtà delle chiacchierate. Dopo un primo contatto via mail ci siamo date appuntamento su zoom e ci siamo guardate negli occhi, che non guasta mai soprattutto ora che viviamo di distanziamenti sociali. Tutte mi sono sembrate molto serene e propositive, che è un prerequisito fondamentale se si vuole tirare fuori la voce per farsi ascoltare. E tutte con una grande voglia di raccontarsi.
Il concetto di “Urlo” ricorre spesso nella tua vita. Con il tuo gruppo “Donne all’ultimo grido” hai lanciato su Instagram la prima “urloteca“, hai parlato del potere dell’urlo in un TEDx talk e adesso sei assorbita da “Un urlo ci salverà”. Che tipo di urlo ci può salvare?
Sì, come dico spesso io sono una che parla tanto ma che urla poco, anche se l’urlo mi ha sempre affascinato. Ho fatto vari esperimenti nella mia vita legati all’urlo, però sempre all’urlo costruttivo. E credo che quello che ci può salvare sia solo questo, un urlo corale costruttivo, che dia carica ed energia, come quello degli atleti che tagliano il traguardo o degli attori che salgono sul palco. Dobbiamo abbandonare i vittimismi e lanciarci alla conquista dei nostri traguardi o dei nostri palchi, perché tutte ne abbiamo almeno uno. La voce e il saperla usare, anche in sottrazione se necessario, è quanto di più potente ci abbia fornito la natura. Non ce lo dobbiamo dimenticare mai.
Vogliamo parlare più nel dettaglio del libro? Quando uscirà, dove sarà disponibile, chi lo ha illustrato e magari menzionare anche la particolarità che lo rende in qualche modo “interattivo”?
Il libro sarà disponibile a partire dall’8 marzo e si potrà richiedere gratuitamente scrivendo a info@comites-dortmund.de
Lo abbiamo definito un libro urlato perché ad ogni storia di donna corrisponde anche un QRcode attraverso il quale si avrà accesso immediato a un video dove le nostre protagoniste si sono cimentate nel proprio “urlo”, che non è solo l’emissione sonora di una fonema. L’”urlo” è anche una frase che una psicologa ha individuato per ognuna di loro. Una specie di mantra nel quale si sono riconosciute. La stessa psicologa ha redatto un libro nel libro, un documento molto prezioso sullo stato dell’arte nel mondo delle donne in pandemia che si trova in appendice alla pubblicazione. Lediesis, infine, hanno trasformato le protagoniste in donne con i superpoteri – il che non è molto distante dalla realtà – con un ritratto molto tipico per il loro format e che racconta visivamente un pezzo della storia di ognuna di loro e di ognuna di noi.
Durante le interviste, una psicologa ha sottoposto queste donne al test di Lüscher, che collega le emozioni ai colori. Perché questa scelta?
Ci piaceva che il progetto avesse una lettura su più fronti: quella narrativa che è legata al racconto scritto da me sulla base delle informazioni ricevute dalle dieci donne, quella visiva legata al ritratto che Lediesis hanno fatto sulla base di fotografie ricevute dalle protagoniste, quella sonora, che è nell’urlo che si può sentire con il QRcode e quella psicologica per dare profondità e spessore a questo archivio umano. I colori perché sono immediati e giocosi, due requisiti di cui c’è tanto bisogno.
Cosa ti ha portato a occuparti di temi relativi all’empowerment femminile? Una riflessione mirata? Esperienze personali? Insomma, come hai deciso di voler comunicare con forza in questa direzione?
Sono nata in una famiglia dove mi è sempre stato concesso di essere quella che volevo, fin da bambina. Sono l’ultima di cinque figli e le mie sorelle e i miei fratelli sono stati dei grandi facilitatori in tutte le questioni con i genitori che comunque erano illuminati, pur se di un’altra generazione. La libertà che ho avuto modo di sperimentare mi ha fatto capire, una volta adolescente e poi donna, che non era così scontato che l’avessi. Lo era per i maschi, ma non per le femmine. Le mie coetanee non avevano la stessa mia facilità di autodeterminazione e l’ho sempre trovato profondamente ingiusto. Avere avuto, inoltre, un figlio maschio mi ha fatto riflettere su una cosa, che se da una parte c’è da bisogno di aiutare concretamente le donne ad usare la voce per farsi sentire di più, dall’altra c’è la necessità di educare le orecchie degli uomini ad ascoltarle di più. E anche qui, un compito enorme che spetta sempre alle donne.
Hai ora la possibilità di farci sentire il tuo urlo:
E mettiamocela un po’ di leggerezza in questa vita. Ché leggeri si viaggia meglio