ANTEPRIMA – Da Kabul a Roma, cinque domande ad Andrea Angeli sulla professione di peacekeeper

andreaangeli Ciao Andrea Angeli, il 6 ottobre verrai a Francoforte a presentare il tuo ultimo romanzo “KABUL – ROMA  Andata e ritorno (via Delhi) ” (Rubettino, 2016). Gli amici tedeschi ed italiani desiderano sapere in ANTEPRIMA qualcosa dell’ospite. Se sei d’accordo, quindi, vorrei proporti 5 domande perché tu possa incuriosire le nostre lettrici e i nostri lettori, prima di averli con noi al ciclo di incontri con le autrici e gli autori italiani dal titolo  “ Un libro al mese”. Iniziamo?

 

 

 

Intervista ad Andrea Angeli

Chi è Andrea Angeli? Un funzionario internazionale, uno scrittore, un giornalista o anche qualcosa di più?

E’ una bella domanda. Le dinamiche delle carriere internazionali sono talvolta complesse e non sempre facili da seguire dall’esterno. In Italia il sistema è abbastanza rigido, sporadici i passaggi da un’amministrazione all’altra. Con gli organismi internazionali invece è facile trovarsi a dover transitare da uno all’altro, nel mio caso… ho chiuso il cerchio: da Onu a Nato, passando attraverso Osce e Ue. Essere stato per tanti anni addetto stampa dei contingenti ha a volte generato confusioni, gli stessi militari spesso e volentieri mi chiamavano giornalista. Ed anche l’aver scritto libri – sono al terzo – alimenta interrogativi. Non è comune (e neanche facile, per vari motivi) pubblicare volumi quando si è ancora in servizio. Mi è capitato spesso che un amico presentandomi a qualcuno mi abbia detto “spiega tu che lavoro fai”. In definitiva penso di essere stato un giovane funzionario che si è trovato suo malgrado a vivere le missioni di pace dagli albori, trovandosi poi sempre più coinvolto in tanti momenti che hanno segnato la storia recente. Avendo servito sotto quattro bandiere internazionali, oltre che per il proprio Paese gli orizzonti si sono ampliati a dismisura.

“Kabul-Roma” è il tuo nuovo libro, perché questo titolo? Quali sono i fatti salienti e i  personaggi principali ?

Trovare il titolo adatto non è impresa semplice. Il mio primo “Professione peacekeeper “ credo abbia venduto molto anche per quelle due parole in copertina. Kabul-Roma via Delhi forse è un po’ fuorviante e poco chiaro, d’altronde non era facile per un volume dai temi diversi, dal Kosovo alla Farnesina, dal caso Marò all’Afghanistan. Ma forse è anche un titolo che incuriosisce il potenziale lettore. Racconto le storie poco note di un diplomatico di frontiera – l’attuale capo dell’Osce Lamberto Zannier, della Farnesina insieme a Staffan de Mistura ai tempi del governo tecnico di Mario Monti, del caso – quello dei Marò –  che per quattro anni ha polarizzato l’opinione pubblica italiana ed infine del mestiere assai particolare e poco conosciuto di “political adviser” Nato.

Il fascino della scrittura, perchè… ?

Ho scritto il primo libro anche per avere una pausa dopo una quindicina d’anni in missioni tormentate. Ma sicuramente non mi sarei imbarcato in quella impresa senza la certezza di aver storie di un certo peso da raccontare. Confesso che mai avrei pensato di fare il bis e tantomeno il tris. Poi la vita mi ha portato a fare altre esperienze di rilievo e sono giunto a Kabul-Roma. Al di là dei contenuti, ritengo fondamentale per una pubblicazione di successo tuffarsi a tempo pieno nell’impresa – io ho fatto così -, concentrandosi totalmente (possibilmente barricandosi in qualche paesino sperduto) sul testo. Scrivere un buon libro part-time riesce solo ai geni.

Cosa ti stimola e ti incuriosisce quando ti confronti con il pubblico sia in Italia che all’estero?

Guardi, ho fatto qualcosa come centocinquanta presentazioni e sempre ho incontrato persone interessate a saperne di più su varie tematiche o avvenimenti, all’estero poi – ho fatto New York e Bruxelles – la voglia di sapere è amplificata. Ho ricevuto moltissime email – le conservo tutte – anche da lettori che non conoscevo, nelle quali mi evidenziavano taluni aspetti. Per molti reduci e congedati i miei libri sono stati un po’ come “il richiamo della foresta”, pensi che un ex casco blu italiano emigrato a Manila e costretto a letto da una malattia ha voluto che “Professione peacekeeper” rimanesse sul comodino fino alla fine dei suoi giorni; l’immagine di paracadutisti di scorta a un monaco ortodosso sotto la neve gli ricordava i suoi anni migliori. Ma senza ombra di dubbio lo stimolo maggiore è stato ed è tuttora l’attaccamento ai libri di molti familiari dei caduti. Purtroppo è alto il numero delle vittime italiane in  missioni di pace e col passare degli anni il ricordo di certe tragedie può affievolirsi. Un libro che tratteggia la figura di un soldato scomparso o che ricostruisce il tale incidente è qualcosa che rimane e va custodito gelosamente.

Dopo Francoforte ci puoi svelare i tuoi prossimi impegni letterari e non?

Come accennavo prima, per scrivere dei saggi occorre aver vissuto qualcosa di forte e dubito che mi capiterà ancora. D’altronde, il lavoro dei peacekeepers è mutato nel corso degli anni. Il rischio di attentati e sequestri, unitamente allo scarso rispetto del ruolo super partes di chi è chiamato a frapporsi fra i contendenti, ha fatto sì che i contatti con le popolazioni locali si siano ridotti, complici anche i nuovi mezzi di comunicazione. Sono venute a mancare tante occasioni d’incontro da cui scaturiscono poi episodi singolari da raccontare. La vita blindata non si confà a un aspirante scrittore. Che poi io torni in missione non la vedo facile, a Herat insieme al decano degli incursori del Comsubin eravamo gli unici due classe 1956, poi si passava direttamente a una pattuglia ristretta del ’59. Largo ai giovani quindi, ma . . .  never say never.

Grazie Andrea Angeli, ti aspettiamo giovedì 6 ottobre, alle ore 19.00, alla sala eventi ENIT di Francoforte (Barckhausstr. 10)  per continuare a dialogare con te.

Andrea Angeli ha iniziato a lavorare per le Nazioni Unite nel 1987. Il primo incarico è stato a Santiago del Cile, nel delicato passaggio dal regime di Pinochet alla democrazia. Nel tempo, il suo lavoro lo ha portato in Namibia, in Iraq sul finire del decennale conflitto con l’Iran, a New York, in Cambogia, nei Balcani dove ha vissuto l’assedio di Sarajevo dall’Holiday Inn, bunker della stampa e dei funzionari internazionali, posto lungo l’arteria cittadina ribattezzata Sniper Alley, “viale dei cecchini”. Transitato alla pubblica informazione, come addetto stampa e poi portavoce nel 1998 per l’Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) a Tirana, in Albania, tornando poi in forza alle Nazioni Unite. Nel 2003 era di nuovo in Iraq, testimone della strage di Nassiriya e vittima egli stesso degli attacchi alla sede locale della Cpa (Coalition Provisional Authority) dell’anno successivo. Dal 2011 collaboratore alla Farnesina del sottosegretario De Mistura  per poi divenire political adviser della NATO a Herat.

Michele Santoriello

(Consolato Generale d’Italia Francoforte – Ufficio Cultura)

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La strada delle fiabe

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