Il ministro Franceschini alla Fiera del Libro: eventi, meno IVA e copyright, la ricetta ministeriale per il comparto dell’editoria

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Il ministro Franceschini in conferenza stampa. Foto © ActuaLitté/ Flickr / CC BY-SA 2.0

Bannerino_FrancoforteFrancoforte – L’inaugurazione del Punto Italia alla Fiera del Libro di Francoforte si apre come ogni anno con la consueta conferenza stampa tenuta dall’AIE, Associazione Italiana Editori, sullo stato dell’editoria in Italia. A differenza degli altri anni però, quest’anno, a presenziare per conto delle istituzioni non è nientemeno che Dario Franceschini, ministro dei beni e delle attività culturali della decadente Repubblica Italiana.

La presenza di un ministro porta con sé un po’ più di vivacità rispetto al solito, più interesse, più giornalisti, più chiacchiericcio, più tutto. Un successone per l’AIE che però per il quarto anno definitivo, durante la conferenza stampa, ha poche buone notizie.

Il primo intervento ad illustrare le prospettive grigie dell’editoria è di Marco Paolillo, presidente dell’AIE. I numeri sono impietosi. Cala il bacino dei lettori: -6,1%, solo il 43% degli italiani legge almeno un libro in un anno. Quindi per facile deduzione ben il 57% non legge neanche un libro. Il che, dice Paolillo, ci mette al penultimo posto in Europa, dopo la Grecia e prima del Portogallo. Il mercato si rimpicciolisce: -4,7%. Calano i libri pubblicati: -4,1%. Continuano a scendere le vendite: -7,3% del numero di libri e 36 milioni in meno di fatturato. Nel complesso dal 2011 il settore ha perso circa il 20 per cento.

Paolillo spiega che la crisi economica si sovrappone a una crisi strutturale del settore, destabilizzato dall’avvento di internet e nuovi portentosi player che si muovono come ghepardi nella savana. Si sofferma sulla questione ebook e, lanciando la campagna un libro è un libro richiede l’abbassamento dell’IVA sui libri in formato digitale dal 22 al 4 per cento. A dimostrazione della centralità del mercato di internet sottolinea la necessità della tutela del copyright preannunciando la morte della creatività con la morte del diritto d’autore. La previsione ci sembra un po’ esagerata, ma Franceschini non pare essere in disaccordo.

Quando è il turno del ministro della cultura a parlare, dopo averci fatto sapere di essere portatore di una “malattia ereditaria, cioè l’amore per la lettura e i libri”, comincia il suo intervento puntando tutto sulla scuola: “bisogna riavvicinare i giovani alla lettura e bisogna farlo a partire dalla scuola”.  L’idea di una prossima iniziativa del ministero, in collaborazione con l’omologo per l’istruzione, è quelladi creare una serie di eventi – “bisogna dare agli studenti la sensazione di essere dentro un evento” –  in ambito scolastico con testimonial di eccezione – autori ma anche cantanti e registi – che dimostrino ai giovani quanto è bello leggere.

Dopodichè Franceschini sottolinea la necessità per l’Europa intera di escludere l’ambito culturale dalle trattative per il libero scambio intercontinentantale tra Europa e Nord America. Affermazione lodevole, non fosse che subito dopo questo slancio amorevole per la cultura in sè, il ministro si fa subito ricatturare dalle logiche economiche.

Con un argomento alquanto discutibile si riallinea agli editori sul diritto di copyright facendone il garante della “libertà creativa dell’autore”, la quale, senza copyright, subirebbe il ricatto dei grandi poteri economici. A prima vista sembra un argomento convincente, ma pensandoci bene sfideremmo chiunque ad affermare che al giorno d’oggi, in pieno regime di copyright e tutele, le grandi aziende che producono cultura non abbiano alcun controllo sul sistema produttivo e sull’indirizzo che la cultura debba prendere.

Infine si chiude con l’IVA, anche in questo caso, in sintonia con gli editori.

Il sunto del programma ministeriale è quindi: logica dell’evento (nelle scuole), copyright e IVA. Tre provvedimenti tutti orientati alla dimensione economica della produzione culturale. Certo il contesto era quello della conferenza stampa sullo stato dell’editoria, ma da un ministro alla cultura ci si sarebbe forse aspettato un accenno al problema della qualità della cultura prodotta e dell’accesso alla cultura stessa.

Vendere milioni di copie di Albert Camus non è come vendere milioni di copie delle barzellette di Totti, con tutto il rispetto per il Capitano giallorosso. Le linee discusse dal ministro sono quelle che voleva sentire l’associazione degli editori, attori sì della produzione culturale ma vincolati al giogo della logica economica.

Troppo candidamente Franceschini pretende di salvare la cultura sottraendola al libero mercato intercontinentale, ma lasciandola in balia del libero mercato interno che non è certo governato da logiche differenti. L’effetto strano di un ministro che promette di realizzare gli interessi di una forza economica ci costringe a chiederci ma è un ministro alla cultura o all’industria culturale?

alessandro grassi

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