TEUTONICHE SCHEGGE – “A”: variazioni sul tema

Passeggiata notturna tra la Sprea e l’isola dei musei, ovvero, l’illusorio antidoto alla troppa pizza casereccia preparata da un amico danese e al concerto che è seguito. In un centro culturale ungherese, dove strimpellavano crucchi ed americani, mentre sedevo con una lituana.

Il cuore turistico di Berlino è taciturno sotto una luna pallida e nell’aria che ancora sa d’inverno e, mentre punto la torre della televisione come un naufrago un lembo di terra all’orizzonte, penso.

Alle vocali. Anzi, alla A. E all’uso polivalente che ne fanno quassù.

Innanzitutto, “ha“, con la H davanti. Mettete un non italico davanti al nostro “ah”, e sarà arduo convincerlo che non si tratta di un refuso.

“Ha” è di norma un suono negativo. Potrebbe voler significare “bè, no”, oppure “ah, ecco, lo dicevo io”. Oppure “non faccio nemmeno finta di dimostrarti entusiasmo”. Si pronuncia di solito monotono, tendente al basso. Meglio girare al largo, quando se ne captano le frequenze.

Poi c’è il raddoppio, “ha-ha“, che di solito, invece, vira al positivo. Accezioni contemplate: “ah però, mica male” (eventualmente accompagnato da “ach, so“) o un generico “sì”. Per cui, ad una proposta come “domani ti va di farti una birra”, si potrebbe avere un diniego, seppur con riserva, espresso da un singolo “ha”, oppure una partecipazione quando la combo h + vocale raddoppia.

Quando la A prende la dieresi, è d’obbligo l’accoppiata con un bel punto di domanda: “hä?” indica, infatti, una incomprensione con una punta di incredulità, eventualmente anche una modulazione di sbalordimento. Ad una battuta, è probabile che vi ritroviate davanti a questo muro di aspirazione e dieresi, che prolunga la A in una E che non lascia scampo a dubbi: avete toppato. La melodia ricorre spesso, complice il sistema binario su cui sembra impostato il sistema nervoso crucco.

Ma il mio suono preferito resta “na“. Con un impercettibile movimento verso l’alto della testa e un guizzo delle sopracciglia nella direzione del destinatario. Si traduce con: “allora, dì un po’, come butta?”. Tutto condensato in una sillaba, come se il teutone di turno fosse troppo esausto dalla pronuncia di parole di 15 lettere di media e dalla costruzione di periodi con un ordine interno assolutamente masochistico per formulare una domanda. Attenzione, però, se poi ci infilano un “und”, solo apparentemente è la congiunzione “e”. “Na, und“, infatti è uno scocciatissimo “eh, e quindi?” ( per i bergamofoni anche: “eh, sa ölet po?”) .

Ho caricato una lavatrice e cerco disperatamente quell’infingardo di Morfeo, che da giorni mi sussurra di abbracci infiniti per poi sgambettare via con una risata beffarda.

Aaaah. (sospiro, italico sospiro)