Resistenza tedesca al nazismo: intervista con Tommaso Speccher

Nel racconto collettivo della Germania durante la Seconda guerra mondiale, la narrazione dominante è stata – comprensibilmente – quella degli orrori compiuti dal regime nazista. Molto meno spazio è stato dedicato a chi, dentro quel sistema, ha cercato di opporsi. Con il suo nuovo libro “Storie della Resistenza tedesca” (Laterza, 2025), Tommaso Speccher restituisce voce e importanza a quei tedeschi che si sono ribellati, pur in condizioni difficilissime.
Il volume sarà presentato lunedì 28 aprile alle ore 19 da Mondolibro a Berlino, in un incontro moderato da Mirna Campanella. Il 26 aprile, invece, Tommaso Speccher sarà ospite dell’Anpi di Colonia, sempre per parlare del libro, in occasione di un evento di celebrazione degli 80 anni dalla fine del nazifascismo, che includerà anche musica e momenti di festa.
In occasione del 25 aprile, abbiamo parlato con l’autore.
Resistenza tedesca al nazismo. Un concetto che non ci è familiare e che, anzi, in anni di narrazione degli orrori del nazismo è rimasto sempre in ombra. Perché è importante raccontare anche questa parte della storia?
La Germania non visse l’8 settembre italiano, ovvero non visse lo sviluppo di uno spazio collettivo di attivismo, autogestione e condivisione di un nuovo spirito sociale, basato sull’autodeterminazione del popolo e sulla lotta contro l’occupazione nazifascista. L’aver combattuto fino all’ultimo minuto nella “Guerra totale” non permise a questo Paese lo sviluppo di un’idea alternativa della propria identità collettiva rispetto al nazismo, identità collettiva subito “occupata” con l’arrivo degli alleati.
La prima memoria a subire un oblio negli anni della liberazione, occupazione e poi divisione della Germania negli anni della Guerra fredda fu proprio la memoria della resistenza, ovvero la storia delle migliaia di persone che si erano opposte al regime, venendo confinate, uccise e sterminate. Solo negli anni novanta si è sviluppata una riflessione completa e onesta di quella complessità resistenziale.

Il mio lavoro mette assieme molte delle vicende e delle riflessioni storiografiche emerse grazie alla storiografia e allo spazio politico degli ultimi trent’anni. Quello che emerge è la storia dell’altra Germania, che accompagna molte delle vicende di questo Paese, in realtà sin dal 1933.
Quali sono gli esempi di resistenza tedesca che ti hanno più colpito?
Il libro nasce dall’approfondimento delle vicende attorno al gruppo della Rote Kapelle (Orchestra Rossa), grazie all’amicizia con Saskia von Brockdorff, figlia di Erika, condannata a morte e giustiziata il 13 maggio 1943 a Plötzensee, il carcere dei condannati a morte sotto il nazismo.
Quello che ricorre in moltissime di queste biografie è veramente il tema della scelta, ovvero dell’aver deciso di agire, muoversi e costruire rete per opporsi ad un regime codardo e distruttivo, scelta fatta da migliaia di donne e uomini, sin dai primi giorni dell’avanzamento del regime. Di storie esemplari ce ne sono tante, come quella di Liane Berkowitz, attivista ventenne di origine russa che si spese macinando chilometri nella Berlino del 1942 per connettere varie cellule di resistenza, impegnate nel volantinaggio antifascista. A volte mi è sembrato di inseguirne i passi tra il Ku’damm, la Dorotheenstadt, dietro alla Friedrichstrasse e di ritorno sulla Uhlandstrasse.

Liane Berkowitz verrà giustiziata il 5 agosto 1943, due mesi dopo aver dato alla luce in carcere la figlia Irene. La sua salma di Liane, come quella di migliaia di altre prigioniere e prigioniere, verrà consegnata al famigerato Dott. Hermann Stieve, direttore dell’Istituto di anatomia della Friedrich Wilhelm Universität (oggi Humboldt Universität), per i suoi studi di anatomopatologia.
Quanto è importante continuare a parlare di resistenza, di antinazismo e di antifascismo?
È fondamentale per difendere la società in cui viviamo, per condividere i valori fondamentali che caratterizzano il nostro vivere comune, con tutte la contraddizioni e complessità che pur dobbiamo condividere. Il parlamentarismo democratico, il pluralismo, la parità di genere, la lotta alla povertà, il diritto di ognuno di potersi emancipare come meglio gli pare… sembrano tutti elementi scontati, ma non lo sono per nulla.

L’errore fatto dal dibattito pubblico, soprattutto negli ultimi trent’anni, è stato quello di avere relegato il fascismo e nazismo all’olio di ricino e manganello, quando invece dietro a questi due orientamenti politici si nasconde, allora come oggi, un programma politico ben preciso il cui decalogo è presente in tutti i manifesti delle destre estreme in Europa, inclusa quella italiana: la lotta al parlamentarismo in senso presidenzialista, la dichiarazione di guerra alle minoranze, alla diversità, ai più indifesi, l’idea di un liberismo radicale che sostenga le politiche economiche più aggressive, il sostegno a un’economia antisindacale la “fiamma” che continua ad ardere, fin dentro i palazzi del potere.
La “cultura della memoria” è, in Germania come in Italia, una “battaglia per la memoria” in cui si deve comprendere come l’antifascismo debba diventare una cultura trasversale e collettiva.