Care Terf, la cancellazione delle persone trans da parte di Trump sarà la vostra Gilead

Ce l’hanno fatta. Dopo una caccia alle streghe durata anni, Donald Trump ha dato alle terf quello che chiedevano insieme all’estrema destra e agli integralisti religiosi: la cancellazione delle persone trans e non binarie. Nello specifico invisibilizzandole, patologizzandole, negando la loro esistenza.
Tuttavia, questo apparente “successo” non può che trasformarsi in una vittoria di Pirro, perché prelude inesorabilmente a un ulteriore smantellamento di diritti fondamentali. Inclusi quelli delle donne.
Donald Trump e la cancellazione delle persone transgender e non binarie
Con l’ordine esecutivo 14168 emesso il 20 gennaio 2025 e denominato “Difendere le donne dall’estremismo dell’ideologia gender e ripristinare la verità biologica nel governo federale”, la nuova guida del Paese più influente del blocco occidentale fa sapere che questo è solo l’inizio.
Ed è un inizio già abbastanza agghiacciante, visto che si annuncia l’imposizione della “verità biologica” dell’esistenza di due sessi immutabili, l’eliminazione di ogni riferimento all’identità di genere nei documenti ufficiali (inclusi passaporti, tessere sanitarie e patenti) e l’invio delle donne trans nelle carceri maschili. Anche tutti i fondi federali destinati a diffondere la fantomatica “teoria gender” saranno cancellati, sbarrando di fatto l’accesso a supporti educativi e sanitari e invertendo i progressi fatti finora nelle politiche di inclusione e nella sensibilizzazione sociale verso le persone trans. Una folata d’inferno.

Contemporaneamente, tutte le cosiddette femministe radicali transescludenti sono arrivate alla fine del ciclo che le ha portate da posizioni di sinistra negli anni settanta a fare fronte, oggi, con la peggiore destra e il peggior radicalismo religioso, in un’inversione ad U(tero) che le vede nutrire una fissazione ormai patologica alimentata da ossessioni e deliri, pericoli inesistenti e fantasmi.
L’ossessione per le persone transgender e lo spostamento a destra delle terf
Nei loro discorsi sono comparsi riferimenti a fantomatiche “lobby trans” e “Queer Pharma”, pronte a manipolare la mente dei minori per bieco tornaconto personale. Per anni hanno prospettato visioni post-apocalittiche di aggressioni sessuali nei bagni pubblici e negli spogliatoi delle palestre, dipingendo le donne trans come predatori con il discontrollo degli impulsi e inventando un’emergenza inesistente. Hanno inoltre saccheggiato le vite delle persone tornate a identificarsi con il genere assegnato alla nascita (dette “detransitioner”), usando le loro storie come prova di una presunta “follia trans”, quando tra l’altro, secondo una meta analisi di 27 studi diversi, parliamo di una percentuale che si aggira intorno all’1%. Dopotutto, quando del cherry picking si fa un’arte, chi ha bisogno della realtà?

In uno spostamento progressivo della finestra di Overton, sono passate dal riconoscere l’esistenza e i diritti delle persone trans a considerare l’essere transgender un disturbo psichiatrico da curare, suggerendo l’utilizzo di quello strumento di tortura che sono le terapie di conversione.
Nel frattempo, hanno assunto toni sempre più aggressivi, in pubblico e sui social, arrivando persino al cyberbullismo e a volte addirittura rilanciando i motteggi con merchandising ad hoc. Famigerato è lo shop con le spillette “Sorry about your d*ck, bro” (mi dispiace per il tuo ca**o, fratello), “F**k your pronouns” (‘fanc*lo ai tuoi pronomi), “Peak Trans Yet? (I can help)” (Hai raggiunto il limite con le persone trans? Io posso aiutare).

Nel fare questo, hanno cominciato a posizionarsi sempre più a destra, perché nessuno, a sinistra, si riconosce nelle loro posizioni, in nessun Paese democratico. Si sono allora buttate tra le braccia di chi dice che si nasce uomini o donne e non si va contro natura e siccome questo è il brodo di coltura degli ultraconservatori, hanno cominciato a scoprire che anche i fanatici religiosi e i post-fascisti in fondo “fanno cose buone”. Nello specifico, ogni volta che si mostrano transfobici.
A chi fa notare, nel dibattito pubblico, che se dopo una vita a sinistra ti ritrovi dal lato opposto della barricata forse qualcosa non va, queste signore rispondono che a volte si possono condividere battaglie anche se non si è d’accordo su tutto. E per questo, tra l’altro, sono diventate la foglia di fico dei governi di destra, che le usano per dimostrare di essere moderni e paritari, in quanto al fianco di “femministe”, a volte persino lesbiche.
Solo che le femministe sono quelle transescludenti e le lesbiche quelle che hanno voluto eliminare la T dalla sigla LGBT, come in LGB Alliance. Tradendo Silvia Rivera, Marsha P. Johnson e tutte le donne trans, per giunta indigenti e marginalizzate, che a Stonewall sono state pestate dalla polizia per aver iniziato una rivolta senza la quale non ci sarebbero i diritti delle persone omosessuali.

L’America di Donald Trump non è femminista, ma misogina
Anche Trump ha tolto la T da LGBT. Subito dopo il suo insediamento, sul sito del dipartimento di Stato Americano e in particolare dove si danno indicazioni su come viaggiare sicuri, si menziona infatti la “comunità LGB”. La T non c’è più. Le persone transgender non ci sono più.
In un Paese in cui si paga per l’insulina, per la chemioterapia, in cui i bambini fanno esercitazioni nelle scuole per prepararsi a eventuali scenari di mass shooting, l’emergenza di Trump è arginare questo pericolo imminente che rappresenta meno dell’1% della popolazione adulta. Dice di farlo per “difendere le donne”, ma non ha alcun diritto di parlare a nome di tutte. Perché non è una donna, perché è l’uomo che usava frasi come “Grab them by the pussy” (afferrale per la f*ca) e perché è espressione del peggiore oscurantismo patriarcale. Parli a nome delle terf, non della metà del mondo e tantomeno a nome della maggioranza delle femministe.
In tutto il mondo, le attiviste non si sentono minacciate dalle donne trans, ma dagli uomini come Trump. Non si sentono cancellate dall’espressione “persone con utero”, riferita a uomini trans e persone non binarie, perché hanno studiato le teorie degli insiemi alle medie e sanno che un insieme che ne comprende altri non li esclude, ma li comprende tutti. Non pensano che il “queer” e il “woke” siano pericoli per la società, come chi ripete a pappagallo la propaganda dell’alt right in un’inesorabile procedura di assimilazione politica che porta chi lo fa a guadagnare visibilità, prestigio e a volte anche ruoli di rilievo alla corte dei governi che, quarant’anni fa, avrebbero schifato.

La strada per Gilead: avanti così, non si può sbagliare
Intanto, mentre alcune di loro gioiscono per il fatto che in America verranno sospesi i fondi federali destinati agli studi e alle terapie sull’affermazione di genere (tanto i minori transgender non si suicideranno, perché non esistono), altre ripetono di “aver vinto” perché ormai “la gente non ne può più dell’ideologia trans” o delle “insopportabili follie woke”.
Quello di cui non si rendono conto è che hanno fatto da sponda a chi ritiene che le donne debbano tornare a essere soprattutto mogli, madri e sottomesse, perché così vuole Dio. Ma se ne accorgeranno.
Quando a entrare nel mirino saranno le persone LGB, che hanno dato in pasto alle fiere la comunità trans e non binaria, i loro nuovi amici resteranno a guardare. Aver fatto di tutto per entrare nelle grazie di chi non ha mai smesso di pensare che non fossero “normali” non le renderà libere dallo stigma, né da una perenne subordinazione. Non avranno un posto a tavola, mangeranno gli avanzi.
E non andrà meglio alle “donne per diritto di nascita“, perché in questa Gilead che si sta apparecchiando c’è posto solo per mogli, serve e fattrici e perché nessun fascista, nessun estremista religioso e nessun reazionario difenderà le rivendicazioni di chi usa l’utero come simbolo di orgoglio.
Le terf si troveranno a indossare le stesse catene che hanno aiutato a forgiare per altri e questa sarà la fine di quel brutto viaggio che le ha portate ad attraversare decenni, per tornare indietro di secoli.
Sotto il Suo occhio, signore care.
(Lucia Conti)