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Intervista a Helena Velena: “Noi siamo già cyborg”. Chi ha paura del post-gender?

Helena Velena e io ci conosciamo da circa 20 anni, anche se a guardare indietro sembrano molti di meno. E proprio perché conosco Helena da metà della mia vita, sapevo che un’intervista con lei si sarebbe trasformata in uno di quei momenti folgoranti in cui la sua visione del futuro ti si srotola davanti in un flusso di coscienza joyciano, che riesce contemporaneamente ad abbracciare tutto lo spazio del reale con uno sguardo panoramico e a essere chirurgicamente, ferocemente precisa sui dettagli, passando da Marx al concetto di cyborg. Questa premessa serve ad avvertire chi legge di non aspettarsi un’intervista con le domande e le risposte, della lunghezza che normalmente si trova su questo giornale. I discorsi che abbiamo affrontato sono lunghi, ramificati, complessi e non si prestano al “botta e risposta”. Il mio consiglio, dunque, è quello di addentrarvi con curiosità nell’analisi sociologica, filosofica e politica di Helena, attivista transgender e guerrigliera semiotica che, dagli anni ’80, analizza i meccanismi dell’induzione al comportamento standardizzato. Più ancora vi consiglio di seguire il suo intervento alla conferenza Transitioning, organizzata da Disruption Network Lab, dal 17 al 19 giugno. Consigliatissima la presenza dal vivo per chi si trova a Berlino, ma disponibile anche in streaming.

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Nel suo intervento, Helena si concentrerà sulle conseguenze etiche e culturali della riappropriazione dell’individualità contro il conformismo dell’etica del lavoro e del controllo sociale, ma anche del controllo ormonale sui corpi femminili e trans prescritto da governi e istituzioni. E proprio di controllo sociale siamo finite a parlare, partendo dall’evoluzione del dibattito sul genere e sui generi.

Helena velena cyborg

Negli ultimi vent’anni, il dibattito sul genere e la maniera di fare attivismo legato al genere è cambiato completamente. Molti di questi cambiamenti sono legati a fenomeni che emanano principalmente dagli USA e dalle generazioni più giovani, come accade, per esempio, per le cosiddette micro-etichette. La visione delle identità è completamente cambiata a livello globale. La tua visione delle identità transgender è in qualche modo cambiata rispetto a quando hai iniziato a interessartene? Come ti poni rispetto a questo dibattito interno ai movimenti?

Il problema più grande, adesso, è che questo cambiamento risulta totalmente inaccettabile proprio dalla sinistra. Questo è vero in tutto l’Occidente, ma è vero, soprattutto in Italia e in Francia.

Perché?

Perché l’Italia e la Francia hanno avuto i partiti comunisti più forti d’Europa, finanziati all’epoca, come è ormai noto, dall’Unione Sovietica. Questi partiti, a causa anche delle analisi marxiste-leniniste, che hanno tradito completamente il pensiero di Marx, hanno sviluppato una forma di opposizione alla tecnologia e a tutti i cambiamenti, col risultato che la sinistra è diventata la portavoce della conservazione. La destra, dal canto suo, ha paura del cambiamento, perché questo significa anche alterazione di equilibri di potere economico. Quindi, automaticamente, c’è una parte delle strutture di potere e dell’elettorato di una certa età, che è legato ai partiti, alle istituzioni, ma anche all’associazionismo, un rifiuto dell’avanzamento tecnologico. Invece le nuove generazioni vivono già in una realtà post-postmoderna. Andare a chiedere a un ragazzino se sia etero o gay o cosa ne pensi del transgender, del razzismo o dello ius soli comincia a non avere più senso, perché i ragazzini ormai sono abituati a vivere in un contesto multiculturale, multietnico, multi sessuale. Ovvero, vivono la realtà reale. Il problema della sinistra è la vicinanza al potere. Qui il ddl Zan, contrariamente a quello che si potrebbe credere, non è stato osteggiato tanto dalle destre, ma dai gruppi femministi interni alla sinistra.

La visione più fluida della sessualità si lega poi a un’altra grande paura, quella delle tecnologie e soprattutto delle biotecnologie, cioè delle tecnologie applicate al corpo, del cyborg, che nell’immaginario catastrofista di questa parte della sinistra corrisponde a Terminator, cioè un robot killer che distrugge tutto, il trionfo della mascolinità, del testosterone e dell’abolizione della figura femminile. In realtà il cyborg è esattamente il contrario. E questo già da quando fu pubblicato il libro di Donna Haraway, “Manifesto Cyborg” (1985 N.d.R). Quando questo libro fu presentato in Italia, negli ambiti femministi fu rigettato completamente. Il problema però è che il cyborg esiste già. Nel nostro organismo ci sono già tutta una serie di modificazioni tecnologiche che possono essere chimiche, ma anche meccaniche, quindi noi siamo già un’ibridazione tra essere umano e macchina, a partire da piccolissime cose di cui non ci rendiamo conto. Le lenti a contatto sono un corpo estraneo applicato sul nostro corpo, ma ne diventano parte integrante. I bypass, i polmoni artificiali e tantissimi altri macchinari vengono usati per sopperire alle prestazioni di un organo che non funziona. Chi perde un arto a causa di un incidente, oggi, invece di avere l’uncino o la gamba di legno, può avere un arto artificiale funzionante. La terapia ormonale è un altro esempio, in questo caso è chimico: è una biotecnologia che altera il nostro corpo per adattarlo di più alla nostra percezione del nostro gender. Quindi in realtà noi siamo già cyborg, lo saremo ancora di più.

Helena velena cyborg

D’altra parte tutte le nuove tecnologie generano rifiuto e anche istanze di appropriazione e miglioramento. La scena punk all’inizio odiava i computer, oggi tutti i gruppi punk utilizzano la tecnologia. Tutti portiamo in tasca computer più potenti di quelli con i quali gli umani sono andati sulla luna. Questa accelerazione tecnologica è assolutamente inevitabile. Marx stesso pensava che la tecnologia migliorasse la qualità della vita. Il problema è, come ho già detto, la nascita e l’evoluzione della critica marxista-leninista. In termini musicali, per esempio, la critica marxista-leninista di Adorno pone l’enfasi sulla musica colta, senza capire minimamente l’importanza di quella popolare, del jazz, della black music. La sinistra si è portata dietro questa distinzione, per cui la musica da discoteca era quella dei fascisti, invece i “compagni” dovevano ascoltare Luciano Berio. Invece il problema è che i compagni non ascoltavano Luciano Berio e volevano andare a ballare anche loro.

Insomma, la tecnologia è inevitabile, il progresso tecnologico è inevitabile, ma è altrettanto inevitabile che il progresso tecnologico si vada a fondere con tutto quello che è naturale, cioè con la naturalità del nostro corpo. Quindi la tecnologia applicata al corpo, che ha già creato il cyborg e lo definirà ancora di più nei prossimi anni. Il post gender, il cyborg non è maschio, è anzi una figura molto più femminile. Perché proprio questa interazione dell’umano con la tecnologia spalma l’elemento rigido del “robot” in stile Kraftwerk, creando qualcosa di più amalgamabile. Non è un caso che molti gruppi cyber-femministi in tutto il mondo abbiano capito che il corpo cyborg può avere il pene e il seno, il pene e la vagina contemporaneamente, può essere rimodellato per rispondere alle esigenze della persona, con un elemento umano che stempera la tecnologia e la avvicina all’umanità, non il contrario. Perché l’umano, la nostra natura, vince sempre su qualsiasi cosa.


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Pensi che sia da questa paura del cyborg, dell’ibridazione tecnologica che è nato quel movimento di rifiuto delle identità trans che in molti chiamano TERF (Trans-Exclusionary Radical Feminists), ma qualcuno preferisce chiamare FART (Feminist-Appropriating Radical Transphobes), che giudica l’esistenza delle donne trans come un’intrusione maschile nell’universo femminile?

Sì, però il problema è che le FART e anche le femministe essenzialiste, cioè quelle della vecchia scuola, in realtà hanno paura di tutto quello che si distacca dalla loro immagine, della vita, della quotidianità, dai loro codici comportamentali. Quando tanti anni fa, portammo le performances del festival “Erotica” in Germania, a Colonia, il collettivo femminista essenzialista locale ci prese di mira e cominciò a sabotarci. Facevano sit in davanti al nostro spazio e ogni notte mettevano la colla nella serratura, obbligandoci a chiamare un fabbro per aprirla. Sia la colla che i solventi necessari per toglierla provocavano fumi tossici, che danneggiavano la salute di tutte le persone che lavoravano lì, molte delle quali erano donne. Fra l’altro, a differenza di quanto accadeva in Italia, anche il pubblico che veniva a vedere le nostre performance in Germania era composto da moltissime donne, sia sole che con il compagno o con le amiche. Era un pubblico principalmente femminile.

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Il problema del femminismo essenzialista era proprio questo essere contrario alla sessualità, all’esibizione di una sessualità gioiosa del corpo femminile. Questo tipo di movimenti, quindi, sono contro la tecnologia, sono contro la sessualità, contro il corpo naturale. Quindi l’unica cosa che possono accettare è la loro visione specifica secondo la quale il corpo femminile è sfruttato e sottoposto al controllo maschile. Non riescono a concepire l’idea del desiderio femminile e della sua espressione attraverso la sessualità, attraverso il glamour, attraverso quelle che vengono chiamate – e non stiamo a discutere sul valore positivo o negativo dell’espressione – perversioni, cioè il processo di godimento del proprio corpo che non ha finalità riproduttive. Io questo tipo di femministe le chiamo inerzialiste, nel senso che vivono d’inerzia. Sono nate perché qualcuno ha fatto sesso, però negano la sessualità, rifiutano il corpo e a maggior ragione un corpo che si fa post-umano grazie alla tecnologia. Questa è la loro grande paura. Eppure il post-umano è il sogno degli umani da sempre, fin dai tempi di quelli che vengono erroneamente chiamati culti pagani. Poi, con l’espansione del Cristianesimo in Europa, si arriva a negare completamente il corpo e a glorificare l’idea della sofferenza, perché il Cristianesimo stesso – che pure era nato come forma di ribellione in Palestina – stava diventando religione di potere, il potere di un impero che aveva bisogno di controllare i comportamenti umani e quindi i corpi.

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Le dinamiche di vita prima di questa svolta, durante il cosiddetto paganesimo e soprattutto con i culti misterici, erano molto più orientate al piacere. Durante il mese erano molti di più i giorni dedicati alla baldoria e al godimento e meno quelli dedicati al lavoro. Tutte le feste erano legate al corpo, ma anche alle nuove tecnologie, tanto quelle chimiche e psichedeliche quanto quelle legate alla musica. Questo è un percorso che porta gli esseri umani a collocarsi in un dialogo faccia a faccia con Dio, a comunicare con il divino come i “pagani” facevano con gli dei dell’olimpo. Questo era inaccettabile secondo la nuova prospettiva cristiana, perché per l’umano l’evoluzione tecnologica che lo portava al livello degli dei significava affrancamento dal lavoro e dal potere economico. Negli umani è sempre stata insita l’idea di vivere in paradiso. Marx stesso pensava che l’affrancamento dal lavoro potesse avvenire tramite la tecnologia – anche se la tecnologia dell’Ottocento, pur potendo migliorare la qualità della vita, non era in grado di concepire certe evoluzioni. Oggi invece possiamo farlo, abbiamo allungato l’aspettativa di vita, possiamo intervenire sul corpo per curarlo e correggerlo e anche in questo siamo cyborg. Ed è per questo che il rifiuto del post-umano da parte di questi movimenti TERF (o meglio FART), se fosse coerente, dovrebbe rifiutare anche molte altre cose oltre alle persone trans, fra le quali, per esempio, la medicina. Perché la medicina è di fatto una pratica post-umana, così come lo è il bio-engineering.

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E infatti molti di questi gruppi si scagliano contro gli OGM, senza capire che gli OGM sono sempre esistiti, che contadini e allevatori hanno sempre sperimentato incroci per migliorare le specie. Le tecnologie di oggi ci permettono semplicemente di fare la stessa cosa molto più in fretta. Di questa cosa i detentori dell’ideologia, che non capiscono la tecnologia, hanno molta paura. Il risultato è che chi fa politica è profondamente ignorante in questi ambiti e quindi fa leva su persone altrettanto ignoranti per dimostrare che una certa cosa è pericolosa. Per questo accade, per esempio, che molti elettori di destra votino per partiti che non rappresentano affatto un pensiero di destra, ma solamente dinamiche di interessi privati e che non fanno mai l’interesse del proprio elettorato. Chi li vota lo fa perché scambia la politica con il surplus comunicativo di chi la fa e quindi si lascia convincere con la leva della paura del diverso, dello straniero, dell’immigrato, del ne*ro, del fr*cio, del comunista, dell’anarchico. Queste paure sono più forti del fatto che questi partiti alla fine vadano contro gli interessi dei propri elettori. La paura funziona bene. E adesso il meccanismo della paura per la creazione di consenso viene usato anche dalle organizzazioni di sinistra che non fanno più il bene delle comunità che dovrebbero rappresentare, ma che cercano solo di mantenere disperatamente il loro ruolo di potere. Questo fanno anche le femministe essenzialiste, che però hanno sempre meno seguito fra le nuove generazioni. Non è un caso che, in Italia, la nascita della prima organizzazione trans-femminista “Non una di meno” abbia creato il panico negli altri gruppi femministi tradizionali.

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Andando ad ascoltare i loro discorsi e a leggere i documenti dei loro convegni, si scopre però che la loro paura non è tanto quella dell’inevitabile post-umano, ma è piuttosto quella di essere state scavalcate dalla storia. Quindi, per difendere il loro ruolo di potere, devono appellarsi alle vecchie generazioni, alle persone anziane, che ragionano in termini di paura del nuovo. Loro sono abituate a un sistema di pensiero che è invecchiato nel tempo e che non concepisce il nuovo. Non contano assolutamente nulla e, laddove riescono a restare attaccate al potere, contrastano il progresso, come è avvenuto con il ddl Zan. Per non parlare delle loro posizioni su altri temi, come la maternità surrogata. Ormai, però, è solo questione di tempo. Prima o poi arriveremo comunque a diventare dei, queste cose diventeranno realtà. Noi dobbiamo imparare a saper gestire i due estremi di questo discorso, cioè il ritorno ad una visione pre-cristiana, in cui il corpo e la sessualità siano gestiti liberamente, dove non c’era nessuna inibizione, nessun tabù. Questa narrativa è legata al futuro e a un recupero delle reali radici del nostro passato, che può definirci come sistema valoriale, perché altrimenti siamo preda di interessi politici e non liberi di fare ciò che vogliamo del nostro corpo.

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A questo punto sorge spontanea la domanda sulla costruzione dell’identità. Abbiamo parlato di rapporto fra politica e individui e le scelte politiche fanno parte della costruzione identitaria, che però implica anche molti altri elementi, come il genere e l’orientamento sessuale. Secondo te è effettivamente possibile una costruzione completamente indipendente e autonoma dell’identità? O comunque è definirsi per affermazione o per negazione di quello che c’è intorno?

Il problema è che Freud aveva capito alcune cose fondamentali, per quanto adesso possa essere superato. Aveva cioè capito che il bambino (il perverso polimorfo) in uno stato di natura è libero da quella che più tardi Mario Mieli avrebbe chiamato “educastrazione”. Per inserire questo bambino selvaggio nella società civile, quindi, è necessario castrare i tratti liberi, ribelli, fondamentali della sua sessualità e riempirlo di tabù, di proibizioni, di cose che non deve fare. Quindi non deve godere della vita, deve reprimersi per poter essere sottomesso, più avanti, alle leggi dello Stato, al controllo sociale e all’ordine sociale costituito. Ovviamente la politica beneficia di tutto questo. Noi stiamo comunque inesorabilmente andando in direzione di una liberazione da queste dinamiche, perché la tecnologia ci permette di essere sempre più autonomi dal lavoro e di avere sempre più tempo libero. Le società del passato, quelle dei cacciatori-raccoglitori, ma anche quelle dell’agricoltura di sussistenza (ovvero non quelle in cui l’agricoltura è quella dei braccianti sfruttati) avevano e hanno una distribuzione del tempo molto più orientata al tempo libero e meno alle ore di lavoro. Con il ritorno a questo tipo di dinamica, tutti questi fenomeni di controllo, di inibizione e di repressione sul nostro corpo cominciano a smettere di avere senso. Perché il senso lo avevano all’interno di una struttura di potere che ha cominciato a crollare nel Novecento e sta crollando sempre di più adesso.

Questo è anche uno dei motivi per cui adesso si calcola che in Europa, mediamente, ci siano un 15% di persone LGBT. Quando, in epoche passate, si stimavano percentuali quasi inesistenti di gay e lesbiche e il transessualismo non era nemmeno concepibile. Gli unici casi avevano l’aura del leggendario. Nell’Ottocento essere gay era veramente una cosa estrema. Adesso si parla del 15% della popolazione. Ciò significa che il perverso polimorfo sta ritornando, perché in una società post postmoderna in cui la produzione di lavoro non è più centrale, non è più necessario un controllo sociale e neanche la sottomissione all’etica del lavoro. Automaticamente, le persone possono essere molto più libere, dal punto di vista proprio dei desideri, delle pulsioni e dei comportamenti. Il problema è che l’ideologia ha ancora bisogno di mantenere il controllo sociale sulle persone e sui voti. Fede religiosa e ideologia sono il nostro nemico più grande, perché hanno bisogno di mantenere il potere e, per farlo, di mantenere in vita la paura, la paura del futuro, la paura del nuovo, la paura del diverso. La definizione dell’identità è sempre meno utile e sempre meno significativa.

L’identità fissa, inerziale, come dicevo prima, ancora una volta è funzionale solamente ai detentori del potere, che sono quelli che si rappresentano attraverso ideologie e fedi religiose. Per chi vive nel mondo reale, invece, c’è un ritorno al perverso polimorfo che ci permette di vivere liberamente e ritornare a esercitare quell’essere sessuale primigenio e tutta l’energia sessuale primigenia che è insita nella natura degli umani. Questo concetto si applica anche all’identità politica. Noi viviamo ancora in un sistema sbagliato dove una parte vota anche partiti che non fanno i suoi interessi, purché si facciano portatori di un sistema di valori conservatore. Invece dovremmo andare in direzione di quello che sta succedendo in Paesi come la Finlandia, la Norvegia, la Svezia, la Lettonia, l’Estonia, l’Islanda e la Nuova Zelanda, Dove il concetto di destra e sinistra si esprime invece in termini di “più conservatori” o “più progressisti”. Noi usiamo i concetti di centrodestra e centrosinistra, che sono un abominio. Perché significa che si può concepire solo una politica di centro, con poche differenze. Invece io sono convinta che in Italia abbiamo un unico partito di destra che va dall’estrema destra di Forza Nuova all’estrema sinistra, che è comunque di destra, di LEU.

La destra del nord Europa corrisponde alla nostra sinistra. E, anzi, è molto più di sinistra, perché fa una politica che è a favore del miglioramento della qualità della vita dello Stato, anche se su posizioni conservatrici e tradizionaliste. Mentre la sinistra è progressista. Laddove le ideologie sono più forti, la visione progressista non c’è più, perché i partiti e lo Stato sono semplicemente, come diceva giustamente Marx, i passacarte del potere. L’ideologia di fatto è una cosa che deve essere completamente abbandonata. Deve essere abbandonata anche l’ideologia politica e quindi anche l’identità legata a una visione politica, perché un essere umano libero può avere pulsioni diverse. Noi stiamo andando verso una società che porterà alla distruzione del lavoro e anche alla distruzione del capitalismo come noi lo concepiamo adesso. Non è un caso che tutta la creazione di un’economia virtuale, come quella delle criptovalute, stia diventando così importante. Il capitalismo ha bisogno di identificarsi completamente con il capitalismo finanziario speculativo, che è già la sua parte principale.

Perché adesso quello che i compagni chiamano il capitalismo reale, quello della produzione di merci si sta riducendo sempre di più. Il grande nemico degli esseri umani è il capitalismo speculativo. Quando arriveremo all’abolizione effettiva del lavoro, gli unici sistemi per produrre ricchezza saranno quelli legati alla speculazione finanziaria. La blockchain, al di là dell’essere, come credono in tanti, un sistema libertario in realtà è solo un metodo per poter creare nuove forme di speculazione. Nell’indifferenza dell’ideologia politica, le banche stanno cominciando a scomparire, stanno cominciando disperatamente a perdere valore, infatti nascono continuamente banche virtuali. Un giorno i crediti che utilizzeremo per effettuare i pagamenti saranno conservati sul cloud. Il mondo si sta trasformando incredibilmente sotto i nostri piedi. Ci sono solo piccole avanguardie che stanno combattendo perché questo processo venga accelerato, mentre la sinistra, che dovrebbe spingere per migliorare la qualità della vita per tutti, frena, perché se no cessa di esistere completamente. Fino agli anni ’70 e ’80, ogni forma di lotta politica progressista si appoggiava, anche se in forma fortemente critica, alla politica di sinistra. Adesso la politica di sinistra contiene i nostri più grandi nemici, i quali capiscono che quello che si sta proponendo porterà alla loro obsolescenza.

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