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Berlino, i rifugiati lasciano la Porta di Brandeburgo (e occupano una scuola)

Oltre sessanta giorni. Tanto è durata la protesta dei rifugiati davanti alla porta di Brandeburgo, appendice della Refugee Protest March conclusasi a metà ottobre dopo un percorso di oltre 600 chilometri attraverso la Germania. Il sit-in di Pariser Platz, costituito da una cinquantina di persone, era cominciato nella seconda metà di ottobre.

Ma attenzione: le azioni dimostrative non finiscono qui. “Non ce ne andiamo per il freddo”, spiega uno degli organizzatori, Dirk Stegemann. I manifestanti sono rimasti nelle tende anche nei giorni scorsi, mentre le temperature scendevano ben al di sotto dello zero e la neve cadeva copiosa sulla città. “Ce ne andiamo perché vogliamo provare nuove forme di protesta”.

I rifugiati, accompagnati da una sessantina di sostenitori, hanno occupato una scuola di Kreuzberg nella giornata di domenica. Nello stabile all’angolo tra Ecke Reichenberger e Ohlauer Straße, in larga parta inutilizzato, hanno organizzato il proprio quartier generale. Da qui verranno elaborate e promosse le prossime iniziative, a meno che la polizia opti per uno sgombero (al momento improbabile).

Per lungo tempo, i manifestanti hanno accompagnato la protesta con lo sciopero della fame. Nonostante i tentativi del senatore di Berlino per l’integrazione, Dilek Kolat (SPD) e del Commissario di Governo federale della migrazione, i rifugiati e l’integrazione, Maria Böhmer (CDU), non si è mai arrivati ad un accordo.

I manifestanti chiedono il miglioramento delle condizioni di alloggio dei rifugiati nei centri e l’abolizione dell’obbligo di residenza (chi riceve asilo in Germania non può muoversi dal distretto assegnatogli). Frattanto, otto serbi sono stati rimpatriati forzatamente, dopo che la loro richiesta d’asilo era stata respinta.

Leggi anche: Rifugiati politici e dignità umana, il caso Germania (di Riccardo Motti)

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