Aktion T4, lo sterminio nazista dei disabili: prima degli ebrei, ci furono loro

Aktion T4
Bundesarchiv, Bild 152-04-28 / Friedrich Franz Bauer / CC-BY-SA 3.0, CC BY-SA 3.0 DE , via Wikimedia Commons

Il programma nazista di eutanasia forzata, noto come Aktion T4, puntava alla soppressione di quelle che il regime definiva “vite indegne di essere vissute” e ottenne il suo scopo spazzando via, in modo atroce, più di 275.000 persone.

Venne pianificato tutto in Tiergartenstrasse 4, a Berlino, sede del quartier generale dalla Gemeinnützige Stiftung für Heil- und Anstaltspflege, l’ente pubblico per la salute e l’assistenza sociale. Qui, a breve distanza sia dalle bellezze del Tiergarten che dalla lussuosa arteria del Ku’damm, il regime nazista pianificò il suo primo sterminio di massa, che non fu quello degli ebrei, ma dei disabili.

Ossessionato dall’eugenetica e da una particolare repulsione per i disturbi mentali, Hitler parlava dei disabili come di un “elemento estraneo” al corpo razziale dello stato e invocava la necessità di “ripulire” la razza tedesca dai cosiddetti “subumani”. Per questo, già tra il 1933 e il 1939, vennero sterilizzate forzatamente fra le 200.000 e le 350.000 persone.


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Contemporaneamente, cominciarono a circolare opuscoli, poster e film in cui si mostravano i costi dei malati inguaribili, chiedendo a gran voce che il denaro “sprecato” per i disabili fosse destinato al popolo tedesco “sano”. Persino a scuola i bambini si trovarono a risolvere problemi di aritmetica che parlavano di quanto malati di mente e invalidi costassero allo stato e alla collettività, come mostrato anche dal film “La vita è bella”.

Il peggio tuttavia doveva ancora arrivare, fu una delle aberrazioni più atroci del nazismo e cominciò con un neonato.

Nel 1938, infatti, giunse presso la Cancelleria del Führer una lettera in cui la famiglia di un bambino di nome Knauer, nato con gravi malformazioni fisiche e definito “idiota”, chiedeva allo stesso Hitler la sua ‘”uccisione pietosa”. Hitler rispose inviando addirittura il suo medico personale, Viktor Brack, affinché esaminasse la situazione descritta. Ne seguì l’eutanasia del bambino. Il primo passo era stato fatto, ora si trattava di andare avanti.

Poster di propaganda eugenetica del 1938, su cui è scritto: “60,000 Reichsmark è quello che una persona con una patologia ereditaria costa alla comunità durante la sua vita. Cittadini, sono anche i vostri soldi. Leggete Il nuovo popolo, il mensile dell’Ufficio della razza del partito nazionalsocialista”.  – Unknown authorUnknown author, Public domain, via Wikimedia Commons

Ben presto il Ministero dell’Interno ordinò a tutti i medici e alle ostetriche in servizio negli ospedali tedeschi di denunciare tutti i casi di bambini nati con gravi malformazioni.
In particolare dovevano essere segnalati “tutti i bambini di età inferiore ai tre anni nei quali sia sospetta una delle seguenti gravi malattie ereditarie: idiozia e sindrome di Down (specialmente se associata a cecità o sordità); macrocefalia; idrocefalia; malformazioni di ogni genere specialmente agli arti, alla testa e alla colonna vertebrale; inoltre le paralisi, incluse le condizioni spastiche”.

A quel punto una commissione di tre membri esaminava i casi e decideva all’unanimità sulla possibile eutanasia. Se un esperto era a favore dell’eliminazione fisica del paziente apponeva il segno + su un apposito modulo, in caso contrario, apponeva il segno – .

Tutto questo avveniva tenendo spesso le famiglie totalmente all’oscuro di quanto avveniva negli ospedali dello stato. A molti genitori veniva detto che i loro figli sarebbero stati portati in “sezioni speciali” di centri pediatrici, dove avrebbero ricevuto cure migliori e più innovative. I bambini venivano invece uccisi dopo poche settimane con iniezioni letali e in particolare attraverso l’impiego di cocktail di farmaci a base di sedativi, oppioidi e tranquillanti, somministrati a dosi aumentate per alcuni giorni.


Irma Grese

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Ne seguivano finti certificati di morte per polmonite o appendicite, che non di rado suonavano poco credibili e ingeneravano sospetti. Ad ogni modo, chi si rifiutava di consegnare i propri figli rischiava di perderne la custodia.

Karl Brandt, medico personale di Hitler e responsabile del programma di eutanasia forzata Aktion T4 – USHMM, Public domain, via Wikimedia Commons

Neanche dopo la morte, arrivava per questi bambini un po’ di rispetto. I cadaveri erano infatti sottoposti ad autopsie e all’asportazione di parti del cervello a scopo di ricerca scientifica. Ma il programma era solo all’inizio della sua spirale di orrore. Dopo lo scoppio della guerra, infatti, il programma venne esteso fino a includere anche gli adolescenti.

“È per me intollerabile l’idea che i migliori, il fiore della nostra gioventù, debbano perdere la vita al fronte perché i deboli di mente ed elementi sociali irresponsabili possano avere un’esistenza sicura negli istituti psichiatrici” dichiarava pubblicamente Hermann Pfannmüller, uno tra i medici coinvolti nell’Aktion T4.

ll programma di eutanasia forzata di adulti con disabilità mentali e fisiche venne ufficializzato nel 1939, con una lettera che Hitler indirizzò a Bouhler, capo della Cancelleria del Reich, e a Brandt, medico personale del Fhürer e responsabile di Aktion T4. La lettera affidava a entrambi la responsabilità di concedere una “morte pietosa” ai pazienti considerati incurabili.

Di conseguenza tutti gli ospedali statali, le case di cura, gli istituti psichiatrici e le case d’infanzia ebbero l’obbligo di comunicare i nomi dei pazienti istituzionalizzati da cinque anni o più, i “pazzi criminali” e tutti coloro ai quali erano stati diagnosticati schizofrenia, epilessia, disturbi senili, paralisi, ritardo mentale, encefalite, corea di Huntington e forme gravi di sifilide.

Come nel caso dei bambini, sulla vita e sulla morte dei pazienti decideva una commissione apponendo un + o un – su un modulo, accanto al nome della persona da valutare. E come nel caso dei bambini, anche gli adulti vennero inizialmente uccisi con dei cocktail di farmaci. Tuttavia, ben presto si decise di optare per un metodo meno costoso: il monossido di carbonio.
Vennero dunque approntati una serie di camere a gas e dei forni crematori per il trattamento successivo dei cadaveri. Alle famiglie venivano fornite le solite, finte spiegazioni, sempre più contraddittorie, sempre meno credibili.

Per questo, intorno al 1940, molte famiglie cominciarono a non portare più in ospedale i proprio congiunti malati e a nasconderne l’esistenza al regime. Seguirono lettere di protesta, indirizzate al Ministero della Giustizia e alla Cancelleria del Reich e firmate persino da membri del partito. La resistenza crescente della popolazione, fomentata da alcuni capi religiosi protestanti e cattolici, portò infine il regime a cancellare ufficialmente il programma.

La fine di un incubo? Niente affatto, anzi. Dopo la chiusura ufficiale del programma le uccisioni continuarono selvaggiamente, ma sotto la superficie della pubblica coscienza, e i medici presero a operare in modo indipendente, come in preda al delirio.
Si pensa addirittura che la maggior parte delle uccisioni di bambini ebbe luogo proprio in questa fase.

Come la prima, anche l’ultima vittima di Aktion T4 fu un bambino, Richard Jenne, di 4 anni. Il povero Richard fu ucciso il 29 maggio 1945 presso l’istituto statale di Kaufbeuren-Irsee, in Baviera, quando la seconda guerra mondiale era finita e le truppe americane erano arrivate in Germania già da 15 giorni. Fu ucciso da una suora capo-infermiera, già responsabile dell’omicidio di altri 210 bambini, circa.

Interrogata dagli americani, la donna chiese: “Mi accadrà qualcosa?”.

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