Unconventional Berlin Diary: di Ferretti, del veganismo e d’anarchia

Sull’S-bahn che prendo di solito è salito un attivista vegano. Fisicamente sembrava il batterista dei Foo Fighters, ma sorrideva come Dave Grohl. Ha aperto uno striscione su cui era scritto “Vegan. Für die Tiere. Für die Menschen” ed è rimasto fermo in vari punti del vagone prima di scendere a Gesundbrunnen. Non sono vegana, ma indipendentemente dal merito l’ho trovato efficace. Potrei fare lo stesso esponendo uno striscione con la scritta “Giovanni Lindo Ferretti non è il mio papa”, ma dubito che verrebbe capita, qui a Berlino. Magari mi sbaglio, visto che oggi  ho sentito parlare solo in italiano per tutto il tratto che da Bellevue mi ha riportato a casa.

Trovo interessante il modo in cui l’attivismo animalista ha trasformato il volto delle sinistre radicali europee. I tempi delle sagre “rosse” in cui il panino con la salsiccia era il naturale complemento del fervore post-comunista sembrano, e di fatto lo sono, il passato remoto. Oggi negli squat si mangia solo vegano e i diritti degli animali sono considerati l’ultima frontiera da raggiungere nel processo di perfezionamento delle nuove tutele. Mi chiedo come queste nuove generazioni di militanti interagiscano con la vecchia guardia e quale sia la situazione in Italia, dove l’aura mistica della nostra tradizione culinaria potrebbe aver reso più difficile questo passaggio. È da un po’ che manco e non ho idea di che evoluzione abbia subito la scena politica radicale del mio Paese d’origine. Potrei recuperare qualche vecchio conoscente e chiedere. Non sono molti, tolti quelli con cui ho litigato furiosamente su Stalin, Mao e gli Inti-Illimani, che trovo di una noia devastante.

In Austria invece una specie di anarchico estremista mi regalò, tempo fa, una maglia con l’immagine di un mitra. In realtà gli apparteneva, ma non aveva potuto indossarla agli incontri con gli altri militanti perché il gruppo aveva sancito il divieto di partecipare ai dibattiti esibendo simboli di violenza, oltre ad aver imposto una serie di ulteriori limitazioni francamente paradossali in un’ottica antisistema. Gli dissi che trovavo i suoi compagni di lotta molto più repressivi di qualunque istituzione avessi incontrato fino a quel momento. La sua reazione fu sorprendente, nel senso che non mi contraddisse, si fece pensieroso e infine confessò che da tempo non si sentiva più “allineato”. A volte mi chiedo cosa faccia adesso e se abbia mai gestito i suoi dubbi legittimi con una lettura combinata di Ballard (sezione satira sociale e utopie negative) e Hobbes (sezione “bellum omnium erga omnes”).
Secondo me aveva ottime possibilità di sviluppare un pensiero critico sul punto, era un ragazzo intelligente.

Wolfie se n’è andata dopo essere stata a casa mia per un mese. Mi ha lasciato un asciugamano, un paio di pantaloni della tuta, due paia di mutande con il pacco, degli occhiali da nuoto, una lettera e una valigia.

Secondo me torna.

♠ Colonna sonora: “Ich hab’ noch einen Koffer in Berlin”– Marlene Dietrich♠

Machete

Machete vive a Berlino dal 2013, in modo intelligente dal 2007 e in modo autoanalitico dal 2017.

Ama scrivere e girare il mondo e il suo più grande sogno è di poter combinare le due cose, un giorno. Ama anche la musica, il cinema, la letteratura e la serotonina.

A otto anni sperava che prima o poi qualcuno avrebbe inventato una pillola contro la morte.

Un po’ lo spera ancora.