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Intervista all’Ambasciatore a Berlino Luigi Mattiolo: “Questa città è una calamita per tantissimi italiani”

Intervista all’Ambasciatore d’Italia a Berlino Luigi Mattiolo

di Lucia Conti


Ambasciatore, sono ormai quasi tre mesi che è stato designato come Capo Missione a Berlino. Quali sono le sue impressioni, finora?

Devo dire che ho trovato un’atmosfera di grande amicizia e di grande affetto per l’Italia da parte degli interlocutori tedeschi, un po’ a tutti i livelli.


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I tedeschi continuano ad amarci, quindi?

I tedeschi ci amano, c’è domanda di Italia e domande sull’Italia, oltre a una grande disponibilità nelle interazioni. Un esempio personale: appena arrivato ho dovuto subito organizzare la visita del capo dello Stato, il presidente Mattarella. Era un compito tutt’altro che facile, anche perché c’è bisogno di aver acquisito un minimo di contatti sul territorio per gestire una situazione simile, ma di fronte all’esigenza imperativa che aveva questo neo-insediato ambasciatore di preparare al meglio questo incontro, i tedeschi non hanno aperto le porte, le hanno spalancate! Ho potuto dunque acquisire una serie di importanti contatti in tempi rapidissimi.

Prima di diventare Capo Missione a Berlino, è stato, tra le altre cose, Ambasciatore d’Italia in Turchia, ma anche a Tel Aviv. Come ha vissuto queste esperienze, che di sicuro immagino collocate in un quadro geo-politico più che complesso?

Devo dire che il mio approccio è sempre lo stesso, quale che sia il Paese in cui mi trovo a operare. Ho sempre espresso nelle mie missioni un deciso entusiasmo, perché ho avuto la fortuna di servire in luoghi che avevo fortemente desiderato, ma anche una sana curiosità, che è un ottimo incentivo alla conoscenza. Un terzo ingrediente importante è badare alla solidità dei rapporti umani e mostrare correttezza, lealtà, trasparenza e anche umiltà, perché ogni realtà è sempre diversa e può essere diversamente complessa. Per questo va affrontata senza pensare di aver già trovato, sui libri o nella propria esperienza pregressa, la chiave di lettura e la soluzione di tutto. Le interpretazioni devono essere il frutto di una prolungata indagine, di uno studio sul campo.

Il Suo lavoro nella capitale tedesca si inserisce in un contesto europeo minacciato, da un lato, da forze disgregatrici, e supportato, dall’altro, da istanze di coesione. Che analisi fa di questa dinamica e come la affronterà, in relazione ai Suoi compiti specifici?

L’atteggiamento è di preoccupazione per la complessità delle istanze in campo. Lei faceva giustamente riferimento all’emersione di sentimenti fortemente critici verso l’Europa e il modo in cui si sta costruendo, ma anche anche alla permanenza di grande aspettativa e domanda d’Europa e anche questo è vero.

Dove possiamo trovare un equilibrio, se è possibile?

Non si tratta di rinunciare al progetto europeo, credo che in nessun Paese dell’Europa continentale, né in Italia, né tantomeno in Germania, si stia maturando questa idea. Lo dimostrano anche i sondaggi che vengono regolarmente condotti in Italia e che negli ultimi 12/18 mesi hanno mostrato un considerevole aumento di intervistati favorevoli all’integrazione europea.
Certo, esistono diverse voci critiche e in molti casi sono anche giustificate. Per quanto mi riguarda, io voglio valorizzare in ogni possibile occasione quello che Berlino e Roma possono costruire insieme, lavorando sulle molte cose che uniscono i nostri Paesi. Quando si parla di questi due Paesi, invece, determinati osservatori e opinionisti ci collocano sempre su fronti opposti.

Sottolineando soprattutto le differenze

Esattamente, sottolineando le cose che ci dividono più che quelle che ci uniscono. Faccio l’esempio dei flussi migratori, che saranno uno degli argomenti al centro della campagna elettorale per le europee, così come di tante campagne nazionali all’interno di Paesi membri dell’Unione Europea.
Come Italia, negli ultimi anni abbiamo gestito soprattutto flussi provenienti dal continente africano, mentre la Germania, per ovvie ragioni geografiche, ha subito l’impatto dello “scacchiere mediorientale” e di Paesi come la Siria, il Pakistan, l’Afghanistan e l’Iraq. Devo dire che quando si viene a trattare queste problematiche, i punti in comune tra Italia e Germania diventano evidenti. La Germania è infatti il primo contributore, e l’Italia il secondo, del fondo fiduciario per l’Africa, che è nato in ambito europeo e che si prefigge di fornire assistenza sia da un punto di vista di costruzione delle istituzioni che su un piano tecnico, funzionale allo sviluppo economico, per evitare che si sia indotti alla migrazione, e questo nei riguardi dei Paesi di origine dei migranti come in quelli di transito.
Se Berlino è il primo finanziatore e Roma è il secondo significa che l’Europa deve fare ancora molto, ma significa anche, però, che l’Italia e la Germania sono dallo stesso lato.

Photo by Angela Fiore

Su cos’altro l’Europa dovrebbe attivarsi?

C’è indubbiamente da insistere sulla componente di lotta al traffico degli esseri umani, che è un altro dei fenomeni collegati alla migrazione e a volte è il vero fattore che rende questo fenomeno così drammatico, perché si tratta di persone che vengono sottoposte a veri e propri abusi, in questa loro rotta della speranza verso l’Europa.

Quali sono a suo avviso le strategie utili per gestire una crisi tanto complessa, dalle infinite implicazioni umanitarie, sociali e politiche?

Dove c’è ancora del lavoro da fare, in Europa, ma anche tra Roma e Berlino, è nell’ammettere che l’Europa non ha ancora una politica sulle migrazioni. Ha infatti solo una politica sull’asilo codificata dall’accordo di Dublino, ma oggi constatiamo che in tutti i Paesi che sono sulla linea del fronte migratorio, l’Italia, la Grecia, Malta, la Spagna, la percentuale di migranti effettivamente eleggibili per l’asilo non è superiore al 7/8%. Il resto sono migranti economici, persone che cercano un futuro migliore, anzi, che cercano un futuro, è questo il problema.

E questa è materia ancora parzialmente regolamentata…

È una materia molto parzialmente regolamentata, quindi è necessario ammettere innanzitutto che Dublino non basta. Mi rendo conto che sono tematiche ad alta sensibilità politica e quindi difficilmente gestibili in questo ambito, ma sicuramente dovranno essere oggetto di una forte azione europea, nella prossima legislatura.

Quanta solidità hanno i rapporti bilaterali tra Italia e Germania?

I rapporti bilaterali hanno uno spessore e una potenza che è veramente al di fuori di qualunque altro standard. La Germania è il primo partner economico e commerciale dell’Italia, le catene di produzione dei due Paesi sono assolutamente integrate. Il settore automobilistico è l’esempio più emblematico, l’automobile tedesca non esiste, esiste l’automobile europea, con percentuali incredibili. Pensi che il 30-40% dei componenti di auto tedesche, anche di classe superiore, sono prodotti da aziende italiane o da aziende tedesche localizzate in Italia.

Se sul fronte bilaterale Italia e Germania procedono in sincrono, su quali altri temi, a parte la migrazione, si trovano a gestire una situazione problematica?

Sicuramente in relazione al problema di coniugare stabilità fiscale e stabilità sociale. È un’altra bella sfida ed è un altro tema su cui Italia e Germania hanno del terreno da coprire per incontrarsi. Tuttavia io credo che all’interno dell’Eurozona si cominci a riflettere in generale su quelli che io, semplificando, chiamo i “dividendi”, cioè i vantaggi di avere una valuta comune, sui cui meriti e sulla cui reversibilità non c’è discussione.
Ci dovrebbe però essere una discussione attenta su come, dopo ben 17 anni dalla sua introduzione, non si riesca a fare della valuta comune un fattore di riduzione dei divari. La prima fase di attuazione dell’euro sta coincidendo, non dico che ne sia la causa, ma sta coincidendo, con un allargamento della distanza economica tra Paesi membri dell’Eurozona e anche con un aumento delle disuguaglianze all’interno degli stessi Paesi.

E questo porta molti a fare un’equazione fondata su una coincidenza temporale…

Esatto. Quello che però non è di coincidenza temporale, ma si lega a un’analisi economica secondo me solida che va avanti da tempo e che dovremmo approfondire, è il fatto che spesso le misure adottate dall’Eurozona siano state pro-cicliche.
Di fronte a una crisi economica, cioè, hanno finito per l’aggravarla, e questo ha peggiorato le condizioni di quei Paesi che soffrivano di una stagnazione nella produzione o di alti tassi di disoccupazione. Avrebbero dovuto essere invece anticicliche, cioè combattere questi fenomeni.
Ecco, questo limite delle misure monetarie ed economiche adottate all’interno dell’Eurozona è motivo di un dibattito serio, su cui Italia e Germania possono dire molto perché rappresentano, in qualche misura, i due corni del problema.

Photo by Angela Fiore

Parliamo di comunità italiana a Berlino, a cui è rivolto anche l’evento che, nel suo piccolo, Il Mitte, porta avanti proprio in collaborazione con l’Ambasciata e il Comites. Che tipo di riferimento sarà per i nostri connazionali?

Innanzitutto questa è l’occasione per salutare e ringraziare nuovamente la comunità italiana in Germania e quella a Berlino in particolare, che ha caratteristiche un po’ speciali e che mi circonda più da vicino di affetto e interesse per le nostre iniziative. Tra l’altro Berlino è una delle città in Germania in cui la presenza di italiani sta aumentando a ritmi più intensi, è una vera calamita per tantissimi giovani e la nuova migrazione ha caratteristiche totalmente diverse da quella tradizionale. Si tratta di persone professionalmente molto qualificate, che agiscono in ambiti in cui la capacità creativa o la conoscenza tecnologica sono importanti e costituiscono quel know how che molti esprimono come valore aggiunto, a volte anche senza avere subito la completa padronanza della lingua tedesca. Questo spiega ulteriormente questo arrivo di giovani che si indirizzano verso settori in cui hanno relativamente presto un profilo importante, lavorando in inglese.

Se la migrazione ha nuove caratteristiche, anche l’integrazione ha nuove sfumature ed esprime nuovi problemi. Quali possono essere, nel contesto cosmopolitico della città-Stato Berlino?

Sicuramente anche chi si muove agevolmente dall’inizio all’interno del contesto tedesco avrà bisogno comunque di inserirsi a tutti i livelli e l’iniziativa che stiamo portando avanti insieme è ottima, perché è mirata a una corretta integrazione. Integrazione non significa cambiare la propria identità, ma godere fino in fondo di tutti i benefici che può offrire la Germania e qui, torno su un punto importante, parliamo anche dei benefici che può offrire l’Europa, perché questo tipo di mobilità è possibile grazie a tutte le conquiste che sono state fatte negli ultimi sessant’anni dall’Europa, dalla libertà di movimento al riconoscimento dei titoli di studio e delle professioni.

Comunque, tornando alla sua domanda, naturalmente anche italiani così motivati, qualificati e aperti al mondo possono aver bisogno di suggerimenti e assistenza. Per esempio, una necessità che stiamo scoprendo e che è molto importante per loro, nel caso si trasferiscano con figli, è quella di preparare bene bambini e ragazzi all’inserimento nel sistema scolastico tedesco, che è molto selettivo e lo è precocemente. Mentre un genitore può lavorare in inglese in una startup riscuotendo tutto l’apprezzamento che merita, infatti, magari il suo bambino potrà confrontarsi con maggiori difficoltà e quindi va molto seguito, altrimenti al buon inserimento di un padre o di una madre può corrispondere la frustrazione del figli. Questi sono elementi su cui le nostre iniziative congiunte devono mettere l’accento.
Detto questo ai nostri connazionali va tutto il mio incoraggiamento. Poi, per il resto, siamo europei in Europa, non siamo italiani in Germania.

La ringrazio molto per il suo tempo e la sua disponibilità. Vuole approfittare di questa occasione per rivolgersi direttamente ai nostri lettori?

Intanto saluto e ringrazio i lettori del Mitte e li invito a seguire le nostre attività congiunte in pieno. Ricordo poi che il 26 maggio c’è l’importantissima scadenza delle elezioni europee e consiglio di partecipare a questo esercizio democratico con determinazione, con entusiasmo e soprattutto con fiducia. Quella non dobbiamo mai perderla.

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