Incontro Marco Linguri poco prima della manifestazione organizzata da QTI BIPOC United come parte del Pride berlinese, e della quale è portavoce ufficiale. A incuriosirmi è la sua storia. Un recente articolo sulla Süddeutsche Zeitung ha portato all’attenzione del grande pubblico la singolarità della sua esperienza: Marco è un uomo trans che studia per diventare imam.
Un uomo trans che vuole diventare imam
Sui social media e sul suo blog, racconta la sua esperienza e parla di spiritualità, di attivismo, di intersezionalità e di molto altro, riuscendo a veicolare in modo leggero e spesso divertente anche temi estremamente complessi.
Nonostante il nome, Marco Linguri non è italiano, ma tedesco di origini turche e greche. Eppure l’intervista si svolge quasi interamente in italiano, lingua che Marco ha studiato all’università e che parla fluentemente. E siccome fa davvero molto caldo, ci ritagliamo qualche minuto all’ombra prima che lui si rimetta al lavoro nell’organizzazione del corteo.
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Molti trovano poco comune che una persona queer studi per diventare imam. Come è iniziato il tuo percorso?
È una storia abbastanza lunga. La mia transizione e la mia identità transgender mi hanno spinto a dare ancora più senso alla mia spiritualità. Ho iniziato a pensare che l’Islam era la mia religione e che volevo esplorarla ancora più in profondità, per questo ho iniziato a studiare teologia islamica.
Quanto ti manca per completare il tuo percorso di studi?
Un semestre. Ma facciamo due.
In quasi tutte le religioni monoteistiche, nella loro forma conservatrice, è insolito che una persona queer faccia parte del clero. Come è stata la tua esperienza? Hai incontrato difficoltà?
Sicuramente ho incontrato delle resistenze, ma ho avuto più problemi nella mia precedente affiliazione religiosa. Prima della transizione ero cattolico e mi ero abituato a pensare che la mia religione non avrebbe mai potuto amarmi o accogliermi. Ricordo quando il Papa paragonò le persone transessuali alle armi atomiche. Dopo questo, per me la religione non era più una possibilità.
Dopo la transizione, tuttavia ho ricominciato a pensare alla spiritualità ed è stato in quel periodo che ho scoperto che la Liberal-Islamischer Bund (l’associazione musulmana liberale tedesca, ndr) aveva posizioni molto diverse sull’omosessualità, sull’identità transessuale e sulle tematiche queer. Quando l’ho letto ho pensato “Ma quindi esiste una religione che mi vuole e mi accetta?“. Ho iniziato ad approfondire e oggi sono un membro del consiglio direttivo dell’associazione.
Sul tuo blog parli della scelta del tuo nome. Quando sei nato, ti è stato dato quello di tua nonna, una tradizione a volte presente anche in Italia. Hai scelto il tuo nome attuale perché aveva lo stesso onomastico di quello di tua nonna. Quanto è importante per te collegare la tua identità alle tue radici e tradizioni?
È importantissimo. Mia nonna sarà sempre al primo posto nel mio cuore e ci tenevo a onorare questo legame scegliendo un nome che mi permettesse di continuare a condividere con lei il giorno dell’onomastico.
Il tuo attivismo è intersezionale, si esprime in un incrocio di culture, lingue, religioni e generi. Quali sono i temi centrali dell’attivismo intersezionale, in questo momento?
C’è un concetto che ripeto sempre, in tutti i social media e in tutte le interviste, ed è quello relativo ai privilegi. Tutti noi abbiamo dei privilegi, c’è chi ne ha uno o due, c’è chi non ha altro che privilegi. Ognuno di noi dovrebbe riflettere sui propri e cercare di capire come utilizzarli per fare spazio agli altri, per fare in modo che anche le altre persone possano essere ascoltate. In questo modo possiamo usare i nostri privilegi per aprire la porta agli altri.
Parliamo di un altro tema che tratti nel tuo blog. Che cos’è l’omonazionalismo?
L’omonazionalismo è un’idea di cui si parla molto anche in questi giorni e che essenzialmente presenta la narrativa dell’occidente “buono” che non ha nessun problema di discriminazione, addirittura non l’ha mai avuto, per cui l’omofobia è qualcosa che “importiamo” attraverso i musulmani “cattivi”.
Eppure la famosa sezione 175 del codice penale tedesco (che criminalizzava gli atti sessuali fra persone dello stesso sesso, ndr) è stata in vigore in Germania fino al 1994. Fino al 2011 era obbligatoria la sterilizzazione delle persone transessuali. La legge per proteggere i bambini intersex dalle operazioni non necessarie è in discussione in questi giorni e non c’è ancora. Quella sull’autodeterminazione delle persone trans è stata votata e respinta poche settimane fa.
In questa situazione, alimentare una narrativa per cui la Germania non deve fare nulla contro l’omotransfobia, se non prendersela con i musulmani che non si vogliono integrare, serve solo a rendere le cose più semplici per gli omofobi e i razzisti.
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Hai espresso delle critiche anche alla LSVD (Lesben- und Schwulenverband in Deutschland, la principale associazione gay-lesbica tedesca), per il fatto di rappresentare prevalentemente le istanze degli uomini gay cisgender e bianchi. Cosa manca a questa rappresentazione?
Proprio per questo motivo organizziamo manifestazioni come quella di oggi, con QTI BIPOC United. Per questo la nostra bandiera presenta più in grande i colori dell’identità trans e delle identità bipoc (persone di colore, nere e indigene, ndr).
Il Pride è nato a New York dalle rivolte di donne trans di colore, come Marsha P. Johnson e Sylvia Rivera. Oggi, da noi, il Pride è diventato una grande festa di persone cisgender bianche, come se non ci fosse più niente da raggiungere, niente per cui lottare.
Eppure, se guardiamo indietro, la legge che prescriveva la sterilizzazione delle persone trans non è così lontana. E non esiste ancora una legge anti-discriminazione efficace. Lo Stato può ancora rifiutare l’impiego pubblico a una persona perché porta un hijab. E se un uomo vuole entrare nei corpi di polizia in Germania, deve obbligatoriamente avere almeno un testicolo funzionante. Non ho idea del perché. E forse non lo voglio neanche sapere.
E poi, come dicevamo, i neonati intersex vengono ancora sottoposti a interventi chirurgici non necessari. E la legge che regola la transizione obbliga le persone transessuali a una procedura lunga e molto costosa.
Ci sono ancora tante lotte da portare avanti, eppure il Pride è diventato una festa. E non dico che non si debba festeggiare, ma credo sia meglio festeggiare e lottare allo stesso tempo, cercando di puntare i riflettori sulle persone e le identità che sono meno visibili e vengono ascoltate meno.
Ci sono ancora razzismo e discriminazione religiosa nella comunità queer tedesca?
Sì. Ma viviamo in una società razzista, non solo in Germania, ma anche negli USA, in Italia, in Francia… il razzismo è un’ideologia radicata in tutto il mondo, quindi presente anche nella comunità queer in Germania.
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