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Hertha Berlin-MSV Duisburg, partita sotto la neve a suon di musica anni ’80

olympiastadion
© Giacomo Falcon

di Giacomo Falcon

Se anche voi siete stati traditi dalle tiepide avvisaglie primaverili della scorsa settimana, e avete preferito una domenica all’aperto al confortevole calduccio del vostro piumone, sarete senz’altro pentiti dell’errore commesso. Una giornata di freddo polare, caratterizzata da neve costante e temperature in picchiata, andava obbligatoriamente trascorsa sul divano di casa. Oppure, se proprio amate il rischio, potevate spingervi fino a Simon-Dach-Straβe e celebrare il sacro rito del brunch domenicale in uno dei ristoranti della zona. Tuttavia, se domenica, per puro caso, passeggiavate per le strade della città verso mezzogiorno, non vi possono essere sfuggite quelle decine e decine di persone bardate con sciarpe, magliette e cappellini biancoblù: i tifosi dell’Hertha Berlin.

La S-Bahn è stracolma di supporter 100% made in Germany: si riconoscono dalla bottiglia di birra semivuota già alle undici e mezza del mattino e dal tono di voce fuori controllo. I bambini li studiano interdetti, chiedendo alle apprensive madri di quale curiosa specie animale facciano parte. Queste evitano di rispondere, cingendo le loro creature con un braccio, quasi a volerle proteggere fisicamente dall’orda che, ad ogni frenata del mezzo, ondeggia scompostamente dinanzi a loro. Il genitore tifoso adotta invece metodi educativi differenti: non si preoccupa se il figlio seienne tiranneggia il cuginetto, e anzi gli offre un sorso di birra per aiutarlo a deglutire un mastodontico panino. Ad uno sguardo più attento non è difficile notare che la S-Bahn è popolata da due tipologie di persone, ben distinte e difficilmente conciliabili: i tifosi da stadio e i fruitori della fiera del turismo ITB. Entrambe le categorie si porrebbero a vicenda domande speculari: com’è possibile preferire una partita di calcio a una fiera internazionale? E soprattutto: com’è possibile il contrario?

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Arriviamo finalmente all’Olympiastadion, vero e proprio tempio dello sport. Qui Jesse Owens umiliò Hitler durante le Olimpiadi del 1936. Qui Fabio Cannavaro sollevò al cielo la Coppa del Mondo settant’anni dopo. Lo spettacolo previsto per oggi è purtroppo di un altro livello: l’Hertha Berlin, al comando della graduatoria nella 2. Bundesliga, affronta l’MSV Duisburg, squadra di onesti pedatori che vivacchia a centro classifica. L’impianto è mozzafiato: le ultime ristrutturazioni, avvenute in vista del Mondiale del 2006 e nel 2010, hanno saputo fondere mirabilmente la costruzione originale con alcune accattivanti innovazioni, su tutte la scala mobile mediante la quale i giocatori accedono al terreno di gioco.

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La partita non è ancora iniziata, ma già gli ultras della Ostkurve inneggiano senza sosta ai propri beniamini, anche se il loro entusiasmo sembra più che altro imposto dalla necessità di scaldarsi. La temperatura percepita all’interno dello stadio, infatti, si aggira sui 27 gradi. Fahrenheit. D’un tratto, nell’impianto, risuonano le note di Sailing di Rod Stewart: tutti gli spettatori si alzano in piedi, stendono la loro sciarpa e cantano a squarciagola la versione riadattata “Nur nach Hause gehen wir nicht. E quando, pochi minuti più tardi, lo stadio intero intona un altro coro, stavolta sulla melodia di “It’s a heartache” di Bonnie Tyler, mi appare evidente la predilezione dei sostenitori dell’Hertha per i grandi classici pop rock degli anni ’70 e ‘80.

Dopo una fase di studio iniziale, i giocatori capiscono che l’unico modo per riscaldarsi è abbracciarsi stretti nell’esultanza per un gol e, di conseguenza, decidono di dare vita ad una partita ricca di reti. Il primo tempo si chiude sul 2 a 0 per l’Hertha, grazie alle marcature di Ramos e Ronny. Ad inizio ripresa il Duisburg accorcia le distanze, ma una doppietta di Allagui porta il risultato sul 4 a 1 per la squadra di casa. Gli ospiti non si danno per vinti e trovano la rete del 4 a 2 definitivo attorno alla metà della seconda frazione di gioco. Il freddo stringe Berlino nella sua morsa, la neve continua a fioccare copiosa e una gelida brezza si insinua nel settore dello stadio da me occupato. Poco dopo il secondo gol del Duisburg contravvengo ai miei doveri di giornalista cercando ristoro, per qualche minuto, nei bagni dell’Olympiastadion. Al mio ritorno la curva sta festeggiando la vittoria sulle note della Lambada: la predilezione musicale dei tifosi di casa assume gli allarmanti contorni di una mania.

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La sfida volge al termine e il pubblico continua a sottolineare ogni giocata di Ronny con boati di ammirazione. Lui si diverte, inventa, mette in mostra la sua tecnica sopraffina. Si vede che è a suo agio, forse perchè qui a Berlino si sente un po’ a casa, non tanto per le temperature a cui è costretto a giocare, quanto per quel modo di chiamarlo, aspirando la erre iniziale del suo nome, che accomuna tedeschi e brasiliani. Allagui invece stabilisce un record: segna una doppietta e viene ugualmente fischiato dai propri tifosi, che sembrano più colpiti dalle due occasioni clamorosamente fallite e dalla quantità industriale di passaggi sbagliati. Dopo un paio di minuti di recupero l’arbitro Sippel sancisce la fine dell’incontro.

Con passo incerto mi avvio verso l’uscita; ho le mani e i piedi parzialmente congelati e un interrogativo rimbomba nella mia testa indolenzita dal freddo: chissà come sarebbe stato piacevole il clima artificalmente riscaldato della fiera del turismo.

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