«Non fidiamoci della bellezza»: parola di Carsten Nicolai, il non esteta

Da questo video
Da questo video
Da questo video

di Vita Lo Russo
(pubblicato originariamente su Riprendere Berlino)

The beauty is not something reliable. La bellezza non è un valore affidabile, mi dice Carsten Nicolai, al secolo Alva Noto.

«È un sentire individuale, che cambia da persona a persona, ciò che è bello per me non è bello per te. Può essere bella una donna, un fiore, un tramonto, ma anche in quel caso i parametri variano col passare del tempo, sono condizionati dai luoghi, dalle mode, dai contesti socioculturali. Per me per esempio bella è una poesia, bello è uno spirito. Ciò detto, non considero bella un’opera d’arte. Neanche le mie».

Se prendessi per vere le parole di Nicolai che, in un grigissimo lunedì pomeriggio a Berlino, ha tentato di smontare tutte le mie teorie sull’estetica, vorrebbe dire che non è meravigliosa l’immagine di due potentissimi magneti che oscillando come due pendoli sopra a due tubi catodici (due televisori) creando delle vere e proprie onde di cristalli liquidi. Si chiama Opera Crt mgn 2012, è esposta alla Eigen-Art Galley, vi prego guardatela:

Sempre secondo Carsten sarebbero semplici geometrie di luci, prive di eleganza, quelle che disegnavano mondi incantati sulla superficie del poliedro installato alla Neue Nationalgalerie a Berlino quando su ciascun lato della scultura riecheggiavano, sotto forma di luce, i suoni della città, rilevati dalle vetrate del museo che fungevano, per l’occasione, da membrane audiosensibili (Syn Chron 2005, Neue Nationalgalerie: http://vimeo.com/23364870).

Per niente poetici anche i filamenti della serie Funken (questa qui su, venduta a più riprese dalla casa d’aste Christie’s) in cui l’artista, fotografa in negativo le onde radio. E cosa dire di Unidisplay, l’istallazione esposta lo scorso anno all’Hangar Bicocca di Milano, o di Cyclo.id un’enciclopedia perenne, presentata lo scorso ottobre al Moma di New York? In entrambi i casi Carsten/Noto ha raccolto, montato e armonizzato un numero infinito di suoni, errori di suoni e le  loro visualizzazioni ottiche.

È chiaro che sono drammaticamente ironica, almeno quanto lui è drammaticamente narcisista. Ma a conti fatti, se lo può permettere.

Nicolai nasce nel 1965 in un paesino della Germania dell’est, a Chemnitz, ex Karl-Marx-Stadt. Studia design a Dresda, si appassiona di computer, non ha alcun contatto con la vicina Lipsia, dove in quegli anni, gli anni ’90, un altro mostro dell’arte contemporanea, Neo Rauch, stava rivoluzionando la pittura contemporanea, dando vita a quella che passerà alla storia come la scuola di Lipsia.

Il suo primo amore sono le arti visive. Ma da subito comincia a studiare i suoni, in particolare quelli non percepibili dall’orecchio umano. Il giochino gli piace a tal punto che per tracciarli, usa la grafica. A suoni invisibili faceva corrispondere pixel visibili. A un certo punto i suoni hanno cominciato ad avere una Gestalt, una forma, prima minimal poi sempre più complessa. Ed è nata la sua poetica.

Preferisci essere chiamato Carsten Nicolai o Alva Noto?
Mettiamo le cose in chiaro: il mio nome di battesimo è Carsten. Alva Noto è per così dire il nome della mia band. Composta da me e, il più delle volte, da altri artisti. Sono Alva Noto quando ho voglia di fare musica. Ma non so dirti se sono più artista visuale o più musicista. Sono ora l’uno ora l’altro a seconda dei progetti. Certo è che nel visuale lavoro spesso da solo, nella musica lavoro spesso con altri.

Qualche giorno fa eri in Italia dove hai presentato il nuovo progetto Diamond Version. Di cosa si tratta?
Diamond Version è il nome del gruppo composto da me, Alva Noto, con Olaf Bender (già co-fondatore della Rasten-Noto, ndr). Io e Bender da anni giriamo il mondo improvvisando suoni e visual. A marzo prossimo il gioco si fa serio: dopo cinque EP (terminologia nerd che sta a indicare prodotti musicali corti, ndr) pubblicheremo il primo vero long album.

E mentre incidi con Bender e tieni allenata la Rasten-Noton, il Moma, dove sei di casa ormai, presenta Cyclo.id. Un altro lavoro a quattro mani…
Cyclo.id, che sta per Cyclopedia, è un progetto che ho cominciato nel 1999, al quale successivamente si è aggiunto Ryoji Ikeda. In Cyclo c’è il cuore della mia ricerca artistica, ovvero esplorare i suoni e dare loro un’immagine, una visualizzazione grafica, in ordine più o meno geometrico, tramite l’uso dell’oscilloscopio e delle figure di Lissaiouss. Lo considero appunto un’enciclopedia…

Posso dire che è la tua opera preferita?
Io non ho opere preferite. Le mie creazioni sono come figli, le tratto tutte alla stessa maniera a prescindere dal tempo e dalle energie che ho loro dedicato.

Come è lavorare con Ikeda?
Amo collaborare con gli altri perché assieme si ha la possibilità di creare qualcosa che da soli non si può. Lavorare con Ryoji è spassoso. Abbiamo le stesse passioni, esploriamo gli stessi mondi, e abbiamo quindi una sensibilità artistica vicina.

Un altro giapponese, come Sakamoto…
Il rapporto con Ryūichi Sakamoto ha una natura diversa. Sakamoto ha una forte struttura classica e io da lui ho appreso molto di musica e armonia. Io arrivo da un mondo differente fatto di elettronica ed errori (Glitch, ndr). Quando i due mondi si sono incontrati è nato un connubio, se vogliamo, inedito. Che è piaciuto molto.

Hai appena citato la parola magica errore, Glitch. Sei stato definito «lo scienziato dell’errore». Conta davvero così tanto il falso digitale nei tuoi brani e nei tuoi visual?
Direi moltissimo. Anche se Glitch applicato al mio lavoro è un termine improprio.

Ma gli errori sono parte integranti del tuo lavoro…
È vero, sugli errori ho centrato la mia ricerca. Ma a me interessa l’errore nel suo senso più ampio. Filosofico se mi passi il termine. Mi interessano non solo i falsi digitali, ma in generale i processi cognitivi sbagliati. Un computer è progettato per funzionare ad un certo modo. Se sbaglia ci scandalizziamo. Così avviene anche per il nostro cervello. Io credo fermamente invece che l’errore inneschi un processo creativo, perché è una manifestazione di libertà, e allora sbagliare diventa una sfida.

Sei stato definito un neuroesteta.
A me le categorie non piacciono. Non credo di potere essere inserito un una casella piuttosto che in un’altra. Sono più complesso di così. Posso dirti che quest’anno ho lavorato con alcuni studenti dell’Università di Francoforte con i quali ho realizzato un archivio di psicoacustica. Ma non per questo sono uno psicoacustico.

Permettimi di dire almeno che le tue opere sono esteticamente belle, da vedere, da sentire da vivere.
Forse è quello che pensano gli altri, mi fa piacere ma ai fini artistici non mi interessa. La percezione è un processo (ancestrale, non umano) così profondo, così personale, così soggettivo che non credo lo si possa indagare. Io faccio ciò che faccio per soddisfare la mia percezione. Il mio senso della Gestalt che, come dicevo prima, non ha nulla a che fare con la bellezza.

E neanche la matematica che tanto ti piace è bella?
La matematica è semplice.

Punto. La matematica è semplice. Grazie Carsten.