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Germania, processo alla segretaria delle SS: come una sfinge in aula, davanti a un sopravvissuto

È iniziato il processo a Irmgard Furchner, la segretaria he nel campo di sterminio di Stutthof, vicino Danzica, registrava tutti gli ebrei che venivano seviziati e uccisi. La donna redigeva le liste di deportazione, batteva a macchina gli ordini di esecuzione e dal suo ufficio passava l’intera burocrazia del campo.

Fin dall’età di 17 anni Furchner coadiuvava in diversi modi il comandante delle SS Paul Werner Hoppe, responsabile di Stutthof. È accusata di complicità in 11.430 omicidi e in 18 tentati omicidi, tutti avvenuti tra giugno del 1943 e aprile del 1945.

La segretaria delle SS costretta a fronteggiare il passato

La donna, che lo scorso ottobre e alla veneranda età di 96 anni aveva tentato la fuga, si è presentata in aula interamente vestita di bianco, con un basco dello stesso colore, occhiali scuri che non ha mai tolto e un bastone dall’elaborata impugnatura. Furchner è entrata in sedia a rotelle e questa cosa ha destato qualche perplessità, considerando che due mesi fa era scappata muovendosi agevolmente sulle sue gambe.


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Di fronte al tribunale competente di Itzehoe, nello Schleswig-Holstein, Furchner ha dovuto fronteggiare il primo dei suoi implacabili accusatori: Josef Salomonovic, 83 anni, sopravvissuto a Stutthof e incarnazione del tetro passato dell’ex segretaria. Arrivato direttamente da Vienna per esigere giustizia, Salomonovic ha avuto inizialmente seri problemi all’idea di dover incontrare la donna. Inizialmente aveva persino chiesto di rendere la sua testimonianza in un’altra stanza, ma non è stato possibile. La notte precedente all’udienza ha dichiarato di aver dormito malissimo e di aver dovuto prendere un sonnifero.

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Alcune delle guardie femminili del campo di concentramento di Stutthof, durante il processo che le vide sul banco degli imputati nel 1946. Unknown author, Public domain, via Wikimedia Commons

La donna si appisola durante l’udienza. Il testimone: “Spero dorma male quanto me”

Josef Salomonovic, che ai tempi di Stutthof aveva sei anni, ha portato con sé una foto di suo padre Erich, ucciso con un’iniezione di benzene al cuore. Ha mostrato la foto al giudice e poi l’ha istintivamente alzata verso l’accusata, senza guardarla, dicendo: “Questo è mio padre. È vissuto solo fino a 41 anni”. Irmgard Furchner non ha avuto alcuna reazione. “Spero che lei dorma male quanto me” ha aggiunto Salomonovic. Non si sa se male, ma di sicuro Irmgard Furchner ha dormito, appisolandosi in aula al punto che il giudice è stato costretto a fare una pausa.

Letti delle baracche del campo di Stutthof. Hans Weingartz – http://www.pass-weingartz.de/hw.htm, CC BY-SA 2.0 DE <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0/de/deed.en>, via Wikimedia Commons

Ricordi come istantanee dell’orrore: la triste fine del padre di Josef Salomonovic

Erich Salomonovic si ammalò durante la sua permanenza al campo e durante un’adunata sentì i soldati chiedere chi avesse bisogno di un medico. Si fece avanti, nonostante le diverse indicazioni di un altro internato, che aveva intuito la trappola, e incontrò per questo la sua triste fine. Il piccolo Josef aveva visto per l’ultima volta suo padre poco dopo il suo arrivo a Stutthof, quando la sua famiglia era stata separata e lui, a differenza del fratello maggiore Michal, era stato assegnato al blocco femminile insieme alla madre Dora.

“La sua mano sinistra era gialla per via delle sigarette. Mi ha baciato e io gli ho tenuto la mano. I tedeschi erano a dieci metri di distanza con un cane” ha ricordato in aula Josef Salomonovic, rievocando di suo padre dettagli quasi tangibili, a distanza di quasi ottant’anni. Potentissimi e indelebili.


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Accusa e testimone: lei non poteva non sapere ed è comunque responsabile

Secondo l’accusa Furchner era un ingranaggio fondamentale per il buon funzionamento del campo” e non poteva non avere “piena nozione di tutto ciò che avveniva a Stutthof”, vale a dire lo sterminio di massa che avveniva con varie modalità: colpi alla nuca, camere a gas e condizioni di vita talmente disumane da portare presto al decesso. Non ha dubbi neanche Salomonovic, che ha dichiarato: “Lei è indirettamente colpevole, anche se si è solo seduta in ufficio e ha messo un timbro sul certificato di morte di mio padre”. Ha quindi aggiunto: “È stato un grandissimo sforzo venire qui. Ma è un dovere morale”.

Una latta di Zyklon B, il gas che veniva utilizzato per sterminare gli ebrei a Stutthof. Ludwig Schneider, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

Irmgard Furchner: una sfinge che a volte gongola

In precedenza Furchner aveva ammesso di lavorare a Stutthof, ma di non essere mai entrata nel campo dei prigionieri e in generale di non aver mai saputo nulla delle camere a gas. In aula invece la donna si è trincerata in un silenzio imperscrutabile, oltre a non mostrare, almeno apparentemente, alcuna emozione. Solo il suo avvocato, Wolf Molkentin, ha dichiarato di voler esprimere “rispetto e le sue più sincere condoglianze” a Salomonovic, anche da parte della sua assistita.

A dare un tocco di vita a questa figura, che di fatto è rimasta come una sfinge di fronte al passato che ritorna, è stata una dichiarazione dell’avvocato di Salomonovic, Christoph Rueckel, resa al quotidiano italiano la Repubblica. Rueckel ha infatti dichiarato alla corrispondente da Berlino Tonia Mastrobuoni: “Posso dirle solo questo: quando Furchner ha visto che la notizia della sua fuga era su tutti i giornali, ha gongolato”.

(Fonti: die Welt, la Repubblica)

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