Insegnante italiana a Berlino: “Marcette naziste in aula e xenofobia verso di me”

Laura (nome di fantasia) è un’insegnante italiana che ha vissuto per un anno a Berlino. Dopo un’esperienza in una scuola superiore della capitale tedesca ha deciso di licenziarsi, a causa di un episodio che ha raccontato a Lucia Conti in questa intervista. Il suo scopo è usare la sua storia per sensibilizzare e stimolare un dibattito sui problemi del sistema scolastico a Berlino.
Ciao Laura, sono venuta a sapere di te perché un contatto attivo nell’associazionismo ha portato alla mia attenzione il tuo caso, spiegandomi che un’insegnante italiana a Berlino si sentiva molto ferita da un’esperienza vissuta nell’ambito del sistema scolastico berlinese. Ce la vuoi raccontare?
Sì, la scuola in questione è una scuola superiore, non un liceo, ma una scuola secondaria. Io sono stata assunta come insegnante di lingua tedesca e lingua inglese e durante il colloquio mi è stato prospettata un’idea della scuola come inclusiva, apertamente antirazzista, insomma, quello che mi era stato prospettato era una situazione molto interessante anche dal punto di vista lavorativo ed umano.
Venivo da un’esperienza in una scuola elementare, in una situazione socialmente difficile, dalla quale però ero uscita anche molto arricchita umanamente, perché comunque le persone che lavoravano lì tenevano molto al fatto che le cose funzionassero a dovere e venivano molto tutelati non solo i bambini, ma anche gli insegnanti. A colloquio con questa nuova scuola, mi avevano anche detto che le difficoltà che avevo dovuto affrontare in quel contesto non si sarebbero riproposte, perché il loro istituto era completamente tranquillo.
Ed è stato così?
No. Già dal primo giorno di lavoro ho subito notato che i ragazzi della classe, parliamo di un’ottava, quindi di ragazzi sui 15 anni, esprimevano una certa ostilità. A volte è normale, quando c’è “una novità”, nel senso che ad esempio succede spesso che quando si va a fare supplenza, a sostituire un docente di ruolo, i ragazzi abbiano bisogno di un po’ di tempo per abituarsi alla nuova figura e alla nuova relazione. Qui invece c’era qualcosa che andava oltre, ma io non me ne sono accorta subito. Invece facevano commenti già di stampo razzista.
Per esempio?
Ad esempio mi dicevano “Ma che capelli hai? Porti la parrucca?” oppure mi chiedevano il mio cognome e poi lo commentavano con frasi come ” Il tuo cognome? Che nome? Come si chiama? Io dicevo il mio cognome e loro mi dicevano “Ah, un nome tipicamente tedesco, proprio!” e via risate.
Dopo un po’ non riuscivo a fare a fare lezione perché ogni volta che iniziavo a parlare partivano le risate, le prese in giro sull’accento, magari un piccolo errore che commettevo parlando. Io il tedesco lo conosco molto bene, sono un livello C2, altrimenti non sarei potuta proprio accedere a quel livello scolastico e non ho mai avuto problemi con i ragazzi. Quindi questa è stata proprio una situazione particolare.

Posso chiederti se ad avere questi atteggiamenti era tutta la classe oppure un gruppo?
Era tutta la classe. Diciamo che su 28, quelli più attivi in questo ostracismo nei miei confronti erano sei. Gli altri partecipavano semplicemente con la risata, mentre alcuni, invece, erano palesemente terrorizzati, non avevano una reazione ma erano impietriti.
Arriviamo all’episodio che ti ha più colpita
Io ho iniziato a lavorare lì il 10 di febbraio. Il 14 febbraio stavamo facendo lezione e in particolare stavo curando un progetto di musica. Io insegnavo anche musica, in quella classe, e avevo chiesto ai ragazzi di presentarsi, di farsi conoscere tramite la musica, di scegliere un brano che li rappresentasse e ovviamente avevo esplicitato la necessità che fossero canzoni in cui non ci fossero espressioni di violenza contro le donne. Avevo concesso qualche parolaccia, perché molti amano il rap e volevano rappresentarsi con quel tipo di musica e sappiamo che è un po’ difficile che non includa espressioni “colorite”, però doveva essere tutto molto tematizzato, anche la parolaccia. Si dovevano spiegare le ragioni per cui l’artista arrivava a usare quel linguaggio, doveva esserci tutta una ricerca su questo.
I ragazzi stavano lavorando alla scelta di questa canzone e nel frattempo mi hanno chiesto di poter ascoltare alcuni dei brani scelti. Io ho acconsentito, ho acceso la lavagna multimediale e ho fatto partire la prima canzone, scelta da una ragazza, una canzone rap che, a parte qualche parolaccia, come dicevamo, non era niente di particolare.
Si è poi alzato un ragazzo e mi ha chiesto di poter far ascoltare una canzone. Il titolo, sinceramente, non mi diceva nulla di particolare. Io insomma traducendo il titolo non mi sembrava nulla di pericoloso: “Auf der Heide blüht ein kleines Blümelein”, che significa “Sul prato fiorisce un fiorellino”. Mi sono detta: male vale che va, ci sarà qualche doppio senso…
Invece, quando ho fatto partire la canzone, ho notato che c’era qualcosa di strano. Intanto c’era già una una situazione di tensione, nel senso che io capivo dagli sguardi che tutti sapevano cosa stava per succedere. E quando è partita questa canzone, ho realizzato che era una marcia chiaramente nazista. Ho fatto stoppare subito, perché nel frattempo erano partite risate e urla di gioia e alcuni si erano alzati in piedi ridendo.

Ho chiesto al ragazzo di fermare immediatamente la canzone e lui lo ha fatto. Mi sono girata verso la classe e ho visto che c’era una ragazza che mi stava riprendendo con il telefonino. Le ho chiesto cosa stesse facendo e lei mi ha risposto “Sto filmando tutto, tutta la scena”. E si è messa a ridere. Quando le ho detto “Ma lo sai che è proibito? Devi smettere subito!” ha smesso.
A quel punto è suonata la campanella e sono tutti corsi via, perché a ogni lezione cambiano stanza. Al che si è alzato un ragazzo della classe, l’unico che ha avuto una reazione costruttiva. Si è avvicinato e mi ha detto: “Professoressa, ma lei sa che canzone è quella?” e mi ha fatto vedere sul telefono che quella è una canzone che viene utilizzata dai gruppi neonazisti in video su TikTok, usati per fare propaganda.
A quel brano sono associati anche molti video violenti, dove si vedono gli ebrei nei campi di sterminio. Insomma, parliamo di cose molto pesanti.
E tu poi hai avuto modo di cercare di approfondire autonomamente questi nuovi codici e verificare che dietro questa canzone c’è un fenomeno di radicalizzazione su TikTok, prevalentemente?
Sì, e ho letto che la canzone di per sé non è proibita, ma viene riconosciuta come sfondo per la propaganda neonazista. Io ero sconvolta, sono andata da un membro del direttivo, esponendo i fatti, e mi è stato detto che i ragazzi non sanno neanche che cos’è il nazismo, perché lo studiano in decima classe.

Ma come non sanno che cos’è il nazismo? In Germania? Ma sul serio ti è stato detto così?
Sì, mi è stato detto così. E poi mi è stato detto: “ma non hai mai lavorato con gli adolescenti? Gli adolescenti non sono così, in Italia?”. Quando ho fatto presente che mi avevano filmato, in classe, e ho ribadito quanto fosse importante capire se questo video fosse stato cancellato, oppure messo in rete, perché in quel caso non sarebbe stato più possibile rimuoverlo, dall’altra parte si è continuato a minimizzare.
Mi è stato ripetuto che “si sa come sono i ragazzi” e mi sono state dette frasi come “magari lunedì vengo con te in classe, sto cinque minuti, vediamo un po’ come va…”. In pratica mi hanno fatto capire che il problema potesse essere stato mio. Che non fossi stata capace di gestire la classe. Al che io ho detto chiaramente: “se questa è la reazione, io mi licenzio immediatamente”. A quel punto mi hanno chiesto di pensarci durante il weekend, continuando a tergiversare. A quel punto ho dato le dimissioni. Mi sono licenziata comunicandolo direttamente al ministero, al Senato di Berlino.
Quindi ti sei licenziata in tronco, in seguito a questo episodio. Ti ha contattato qualcuno, nel frattempo? Colleghi, ragazzi…
Zero. Nessuno si è fatto vivo. Né i colleghi, né il direttivo, né i ragazzi, nessuno. Non ho avuto più notizie durante tutta la giornata di venerdì. Al che ho scritto un’email, la sera, perché pensavo fosse importante che rimanesse una traccia scritta della mia comunicazione con la scuola, perché era avvenuta solo verbalmente. Ho scritto quello che era successo e perché mi fossi licenziata, inviando l’email alla segreteria della scuola. E ho sottolineato il fatto che non ci fosse stata subito una presa di posizione forte, non solo di difesa nei miei confronti, ma di condanna di quanto accaduto.
Ti hanno risposto a questa email?
Mi hanno risposto il mattino dopo. La dirigenza si è dichiarata sconvolta per quanto era accaduto e per il fatto che mi fosse venuto in mente che loro non avrebbero reagito. Mi hanno detto che prendono tutto molto sul serio e che avevano già convocato un Krisenteam, una sorta di unità di crisi, che in realtà è semplicemente una riunione nella quale sono presenti le parti coinvolte e si cerca di capire che è successo. Al che io mi sono rifiutata e ho dichiarato che non sarei stata presente, perché non c’era stata una presa di posizione da parte della scuola, che avrebbe dovuto essere immediata. Il Krisenteam si fa dopo, non prima. Io ti sto dicendo che è successa una cosa grave, tu devi prendere posizione immediatamente e soo dopo si discute. Da quel momento in poi non mi ha più risposto.

Quindi si può supporre che la posizione ufficiale della scuola possa essere che sei tu che non hai voluto chiarire, perché ti sei rifiutata di prendere parte al Krisenteam. Tu invece ritieni che la presa di posizione avrebbe dovuto esserci prima.
Infatti. L’episodio è avvenuto di venerdì mattina, qui parliamo di una riunione il lunedì, ma nel frattempo cosa si pensava di fare a proposito del video? E poi era importante prendere posizione immediatamente e condannare quanto accaduto, anche considerando che non lo ritengo un episodio nato dal nulla, ma la conseguenza di un certo atteggiamento avuto nei miei riguardi fin dal primo giorno.
Tu leghi le due cose, quindi? Le prese in giro che hai raccontato all’inizio e aver fatto partire quella canzone?
Assolutamente sì. Se non ci fossero stati quei precedenti non so, forse avremmo potuto fare un discorso diverso, però i precedenti c’erano stati, era chiaro che fosse un agito di stampo razzista, quindi avrebbe dovuto esserci una presa di posizione forte, immediata, di difesa nei miei confronti.
Non ti sei sentita tutelata, quindi
Assolutamente no, tra l’altro ho saputo da un mio ex collega che non sono state prese misure di nessun tipo, né verso la classe, né verso i ragazzi, né in relazione al fatto.
Che hai fatto a quel punto?
Nel frattempo ho contattato il ministero, informandolo di quello che era successo e da lì è cominciata una storia infinita, nel senso che ognuno a cui ho raccontato questa vicenda mi ha sempre mandato da qualcun altro, tutti mi hanno sostanzialmente detto “mio Dio, è terribile quello che ti è successo! Contatta questa persona” e così via. Quindi il ministero mi ha messo in contatto con il Sibuz, che sarebbero centri di psicologia scolastica, consulenza e supporto per l’educazione inclusiva. Il Sibuz mi ha detto che convocare un Krisenteam significa sicuramente anche convocare la psicologa della scuola. Ho quindi contattato la psicologa della mia ex scuola, che mi ha dato appuntamento e mi ha detto che non era stata convocata.
Poi mi ha dato anche qualche informazione in più, spiegandomi che la scuola presenta un’altissima percentuale di ragazzi tedeschi senza background migratorio e quindi viene, talvolta, scelta anche da famiglie che non vogliono che i propri figli vadano in scuole frequentate da ragazzi che invece hanno un passato di migrazione. Mi ha poi mi ha detto che il ministero, a Berlino, presenta annualmente diversi progetti contro il mobbing, contro il razzismo, ma puntualmente molte scuole, compresa quella di cui parliamo, sostengono di non avere tempo o rifiutano, sostenendo che i ragazzi debbano “pensare a studiare”.

Ma perché, questi progetti non sono obbligatori?
Sono volontari.
Interessante…
Per cui lei mi ha fatto capire che hanno ben presente la situazione, nel senso che purtroppo è un fenomeno in crescendo e che riguarda in particolare, questa è la cosa abbastanza sconvolgente, ragazzi sotto 18 anni. Quello che mi lascia perplessa, però, è che a parte sciorinare una serie di dati, nessuno si chiede perché. Di sicuroi non è facile da capire, però farsi questa domanda è importante!
Che cosa ti ha consigliato di fare, la psicologa?
La psicologa mi ha detto che il 18 marzo avrebbe avuto una riunione presso la mia ex scuola e mi ha proposto di approfittare dell’occasione per riproporre il mio caso e io lì sono stata felicissima, pensando di poter riuscire a riallacciare, alla fine, quella comunicazione che si era interrotta.
Voglio precisare che il mio intento era sempre stato quello di cercare di arrivare ai ragazzi e magari riuscire a tematizzare la cosa in qualche modo, con l’aiuto di qualche associazione. Ad esempio la Amedeo Antonio Stiftung, così come anche il Museo del terrore di Berlino, mi avevano proposto diverse attività interessanti, da svolgere a scuola. In generale ho contattato tantissime istituzioni in grado di avanzare utilissime proposte didattiche, ma ovviamente non potevano essere adottate senza la collaborazione dell’istituto in questione.
Com’è andata la riunione a cui ha partecipato la psicologa? Ha sollevato il tuo caso?
Dopo il nostro incontro ho visto che non si faceva più sentire. Dopo un po’ le ho scritto io. Sono passati altri giorni di silenzio e alla fine lei mi ha risposto dicendo che era stata male, che non era potuta andare alla riunione e che non sarebbe stata in servizio fino agli inizi di maggio, per cui non aveva più la possibilità di riportare la mia situazione e si è scusata. Punto. Senza neanche salutare. Questo è stato l’ultimo contatto che ho avuto con lei.
Quindi con il Ministero si è chiusa così? Ti hanno mandato dal Sibuz, che ti ha messo in contatto con la psicologa della scuola con cui, alla fine, i rapporti si sono interrotti?
Esatto.

Immagino che tu sia piuttosto stanca, anche perché hai tentato in varie direzioni. Cosa pensi di fare, adesso?
Quello che sto facendo è cercare di capire. Sto leggendo molto per cercare di ricostruire che cos’è che sta andando male, purtroppo non solo in Germania, dobbiamo dirlo, visto che ci sono degenerazioni che riguardano diversi Paesi europei. Sto cercando di comprendere perché c’è questo tipo di atteggiamento.
Poi ho anche contattato il mio sindacato, per capire cosa poter fare, ma anche loro mi hanno girato dei link e nomi di associazioni da contattare, ma a livello pratico nessuno mi ha fornito una soluzione. Ho contattato alcune di queste associazioni e un paio mi hanno fatto delle proposte didattiche, però sempre partendo dal presupposto che ci fosse una collaborazione da parte della scuola e con la scuola i ponti sono stati ormai tagliati.
Hai fatto presente a queste associazioni e al sindacato che non eri più all’interno di quell’istituto?
Sì.
Quindi che si può fare in questi casi?
Nulla. A quel punto ho deciso di scrivere la mia esperienza, di far in qualche modo far sentire la mia voce. Io sono stata malissimo, psicologicamente a pezzi, per questa situazione, ma sono fortunatamente una donna che ha un passato forte e che ha accanto persone che l’hanno potuta appoggiare. Infatti ho deciso di rientrare in Italia, per ora, anche perché ho bisogno della vicinanza dei miei amici.
Per quello che ti è successo?
Anche per questa ragione. La ragione principale è che è proprio il sistema scolastico di Berlino, ad avermi profondamente delusa. Non posso parlare del sistema scolastico tedesco in generale, perché ogni Land ha un suo ministero, quindi non mi permetto. La scuola del Land Berlino, però, non funziona proprio.
L’inclusione non esiste, c’è una selettività assurda, i ragazzi sono sottoposti a una pressione che non corrisponde al mio modo di intendere l’istruzione. Non c’è formazione umana, c’è formazione materiale, professionale, ma, per dirtene una, a lungo non studiano storia. I libri di storia non esistono. Esistono sussidiari, libri che hanno, tra i vari argomenti, anche qualche paginetta di storia e questo è a mio avviso un grosso problema.
Riguardo all’episodio accaduto in classe, hai ancor qualcosa da dire?
Quello che mi sconvolge appunto è che se quello che è accaduto a me fosse successo a uno dei ragazzi, sarebbero probabilmente rimasto da solo. L’adolescenza, lo sappiamo, è un’età fragile, delicata, particolare. Come avrebbe reagito? Avrebbe sviluppato una depressione? Avrebbe reagito con una violenza? Io sono stata in grado di reggere quel tipo di malessere, qualcun altro magari non ce l’avrebbe fatta.
Hai mai avuto sentore di queste stesse dinamiche, tra giovanissimi?
Mi ha lasciato senza parole anche il fatto che moltissimi alunni di questa scuola, che non è un liceo, abbiano una diagnosi di qualche tipo, spesso legata a disturbi di tipo emotivo. Questo mi fa pensare che ci sia un pensiero in base al quale si ritiene che i ragazzi che hanno qualche problema non siano “da liceo” e per questo vengano tutti inviati in altri tipi di scuola. Un pensiero sicuramente discriminatorio e limitante. Perché sappiamo che non frequentare il liceo preclude l’accesso a tanti altri tipi di università o di professioni, per cui ci si vede già proiettati verso un futuro già predeterminato.
Alla fine della scuola primaria, della Grundschule, i ragazzi hanno 12 anni e sanno già che, se non faranno il liceo, non potranno fare medicina, ingegneria, giurisprudenza, ingegnieria… e allora ho pensato anche a un’altra cosa: l’ingegnere, ecc. E quindi io mi sono chiesta anche questo: come reagisce un ragazzo di fronte ad una donna straniera, che viene a insegnare il tedesco ai tedeschi, e a fare un lavoro che loro non potrebbero mai fare?

Riflessione interessante…
Io mi sono chiesta anche questo. Invece di vedere solo il marcio, in ragazzi di 15 anni, voglio cercare di capire cosa celarsi al di sotto di questa violenza, perché così mi viene da definirla, senza mezzi termini. È stata una violenza molto forte, per me, ma il vero problema io l’ho avuto con la scuola. Con i ragazzi avrei lavorato, avrei pedagogizzato, tematizzato l’episodio a livello pedagogico, affrontandolo in una certa maniera. Anche se, come mi è stato anche ribadito dal ministero, questa fase non sarebbe toccata a me, perché non puoi chiedere alla vittima di un evento razzista di tematizzare il razzismo in classe. Doveva essere chiamato un ente esterno a fare da mediatore, da ponte. Tutto questo non c’è stato.
Hai più avuto notizie relative alla scuola?
Ho parlato con un ex collega che lavora ancora lì. Lui è tedesco e quindi non subisce attacchi razzisti, ma qualsiasi tipo di “incidente” avvenga in quella classe, lui non la riporta. Non più, almeno. Ad esempio, una volta gli sono state lanciate delle palle di carta in faccia e lui l’ha riportato a un membro del direttivo. La risposta è stata, in poche parole, che forse la lezione non era interessante.
Ma sul serio?
Sì. Secondo l’idea che mi sono fatta dell’intera situazione, c’è alla base un completo disinteresse per questi ragazzi. Probabilmente pensano che in fondo non combineranno niente, nella vita, e quindi tanto vale che facciano loro fare quello che vogliono.
Se ti va, aggiornaci. Facci sapere se qualcosa si muove o se ricevi ulteriori comunicazioni dalla scuola, o dal ministero. Intanto, spero che tu possa avere un buon rientro in Italia
Grazie di avermi dato spazio e ascolto.