Il capitano e il ministro: un approfondimento su Carola Rackete e sul caso Sea Watch

Carola Rackete
Armando Varricchio (left), Ambassador of Italy to the U.S.; Italian Deputy Prime Minister Matteo Salvini (center left); and Maj. Gen. Stefano Cont (center right), Italian Military Attache; watch the Changing of the Guard Ceremony at the Tomb of the Unknown Soldier at Arlington National Cemetery, Arlington, Virginia, June 17, 2019. (U.S. Army photo by Elizabeth Fraser / Arlington National Cemetery / released)
Armando Varricchio (left), Ambassador of Italy to the U.S.; Italian Deputy Prime Minister Matteo Salvini (center left); and Maj. Gen. Stefano Cont (center right), Italian Military Attache; watch the Changing of the Guard Ceremony at the Tomb of the Unknown Soldier at Arlington National Cemetery, Arlington, Virginia, June 17, 2019. (U.S. Army photo by Elizabeth Fraser / Arlington National Cemetery / released)

di Pasquale Episcopo

La liberazione di Carola Rackete rappresenta l’epilogo di una vicenda la cui vera posta in gioco è stata, ed è, lo Stato di diritto in Italia e in Europa. Il dibattito sulla vicenda della nave Sea Watch 3 e del suo capitano continuerà ancora nella politica, nei media e nella società. In particolare continuerà la discussione sulle norme del cosiddetto Decreto sicurezza bis che intimano alle navi ong di non entrare nelle acque territoriali italiane e le multano pesantemente se lo fanno.

Il decreto legge è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 17 giugno scorso ed entro il 16 agosto il parlamento italiano dovrà tramutarlo in legge dello Stato (ogni decreto legge varato da un governo deve essere discusso e approvato in parlamento, entro 60 giorni, pena la scadenza). In parlamento le fasi della vicenda della Sea Watch 3 verranno certamente ripercorse e verranno esaminati gli aspetti legati alla compatibilità del decreto con le norme sancite dalla carta costituzionale e dalle convenzioni internazionali. Ovvero dallo Stato di diritto. Peraltro, già prima di essere approvato il testo iniziale era stato sottoposto a modifiche, dopo che il presidente della repubblica Sergio Mattarella aveva fatto cancellare la norma che prevedeva multe fino a 5000 euro per ogni migrante salvato.

 

L’arresto di Carola Rackete ha suscitando forti reazioni in Italia e in Europa, in particolare in Germania dove una petizione online partita il 29 giugno ha raccolto in pochi giorni oltre 130.000 firme. Ma le reazioni sono arrivate anche dalle cancellerie europee. Francia e Germania hanno accusato l’Italia di scorrettezze nella gestione del caso Sea Watch 3 e Berlino, nella persona del presidente Frank-Walter Steinmeier, ha chiesto di “non criminalizzare il soccorso in mare”. Anche il Lussemburgo aveva rivolto un appello all’Italia perché Carola Rackete fosse rimessa in libertà. Il 2 luglio il Giudice per le indagini preliminari di Agrigento ha stabilito che la comandante della Sea Watch 3 “ha agito nell’adempimento di un dovere: quello di salvare vite umane in mare” e ne ha disposto la liberazione con effetto immediato.

Ma chi è Carola Rackete e come è potuta finire in questa storia in cui si concentra l’incapacità di un intero continente di trovare un’accordo sulla ripartizione dei migranti salvati in mare? In un’intervista rilasciata a “Il Sole 24 ore”, ha affermato di aver avuto un passato semplice e di aver deciso, proprio per questo motivo, di dedicare la vita ad aiutare altre persone: “La mia vita è stata facile, ho potuto frequentare tre Università, sono bianca, tedesca, nata in un Paese ricco e con il passaporto giusto. Quando me ne sono resa conto ho sentito un obbligo morale di aiutare chi non aveva le mie stesse opportunità”.

Dopo la laurea in conservazione ambientale alla Edge Hill University di Ormskirk, nel Lancashire in Inghilterra, con una tesi sugli albatros, all’età di 23 anni l’amore per il mare la porta tra i ghiacci del Polo Nord come ufficiale di navigazione per l’Alfred Wegener Institute, uno dei maggiori istituti oceanografici tedeschi. A 25 anni è secondo ufficiale a bordo della Aretic Sunrise di Greenpeace. Appena trentenne comanda piccole navi per escursioni nelle isole Svalbard, nel mar Glaciale Artico. La sua collaborazione con “Sea Watch” comincia nel 2016, e un anno dopo diventa responsabile del coordinamento aereo per il pattugliamento e l’avvistamento delle barche da soccorrere nel Mediterraneo.

L’altro duellante è lui, Matteo Salvini, che conosciamo un po’ meglio, che da quando è ministro infiamma le piazze invocando la triade Nazione – Famiglia – Dio, che ha fatto della lotta alla migrazione il suo obiettivo principale e si vanta di aver azzerato il numero di morti in mare. Ma le cose non stanno così. Da quando è in carica i morti affogati sono stati diverse centinaia. Si tratta di stime ampiamente approssimative, e per difetto, perché adesso, in mezzo a quel grande cimitero che è diventato il Mediterraneo, non c’è praticamente più nessuno che possa avvistare chi tenta la traversata sfidando la sorte. Secondo Charlie Yaxley, portavoce per l’Africa e il Mediterraneo dell’Unhcr, l’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani, “nel 2019 una persona ogni tre ha perso la vita nel tentativo di arrivare in Europa lungo la rotta dalla Libia”. E recentemente l’Unhcr ha criticato il testo del Decreto sicurezza bis affermando che esso alimenta “il clima di ostilità e xenofobia contro i migranti”.

Il caso della Sea Watch 3 ha forti analogie con quello della nave della Guardia costiera italiana Ubaldo Diciotti. Questa nave la scorsa estate aveva salvato 177 migranti al largo di Malta. Dopo il salvataggio Salvini aveva negato l’autorizzazione allo sbarco e la nave era rimasta ormeggiata per giorni nel porto di Catania. Dopo che la procura dispose lo sbarco, nei confronti di Salvini fu avviata una indagine per sequestro di persona. A gennaio il Tribunale dei ministri chiese l’autorizzazione a procedere che tuttavia fu negata dal parlamento italiano (il M5S sostenne Salvini che aveva chiesto accoratamente l’aiuto degli alleati di governo). A circa 10 mesi dalla vicenda della Diciotti, è lecito chiedersi se la legge, ovvero il diritto, siano stati scavalcati per interessi politici. Se il processo a Salvini fosse stato autorizzato avremmo assistito a una grande espressione di democrazia e la situazione odierna sarebbe diversa.

A gennaio il Tribunale dei ministri chiese l’autorizzazione a procedere che tuttavia fu negata dal parlamento italiano (il M5S sostenne Salvini che aveva chiesto accoratamente l’aiuto degli alleati di governo). A circa 10 mesi dalla vicenda della Diciotti, è lecito chiedersi se la legge, ovvero il diritto, siano stati scavalcati per interessi politici. Se il processo a Salvini fosse stato autorizzato avremmo assistito a una grande espressione di democrazia e la situazione odierna sarebbe diversa.

Un ulteriore aspetto che vale la pena considerare è quello rappresentato dal rifiuto della Corte europea per i Diritti Umani di accettare il ricorso, avanzato da Carola Rackete e da una quarantina di migranti, contro il divieto di ingresso nelle acque territoriali italiane e di sbarco contenuto nel decreto sicurezza. Con quel rifiuto la Corte europea, pur avendo respinto il ricorso, ha comunque indicato al governo italiano che “conta sulle autorità del Paese affinché continuino a fornire tutta l’assistenza necessaria alle persone in situazione di vulnerabilità a causa dell’età o dello stato di salute che si trovano a bordo della nave”.

Il rifiuto della corte, probabilmente dettato dalla volontà di evitare ingerenze nella giurisdizione di uno Stato sovrano, ha nella sostanza recepito la condizione di vulnerabilità dei migranti salvati ed ha rilanciato la responsabilità al governo italiano, e cioè al ministro Salvini, il quale tuttavia lo ha commentato dicendo che i porti sarebbero rimasti chiusi anche nel caso la corte di Strasburgo avesse accettato il ricorso. Dopo due settimane di attesa Carola Rackete avrebbe potuto navigare verso Malta, o verso la Francia o la Spagna. Ma la geografia non fa sconti: il porto sicuro più vicino era Lampedusa ed è lì che il capitano della Sea Watch 3 ha deciso di attraccare nonostante il blocco delle navi della guardia costiera italiana.

Non sappiamo se la vicenda della Sea Watch 3 metterà fine ai salvataggi delle navi ong nel Canale di Sicilia. I tentativi dei migranti di attraversare il mediterraneo tuttavia non cesseranno. Nè, tanto meno, le morti. Lo scontro tra il ministro dell’Interno e il capitano della Sea Watch 3, è apparso come una riedizione, in chiave moderna, del duello tra Davide e Golia. La perdente sembrava dovesse essere Carola Rackete. Rischiava infatti fino a 10 anni di reclusione. Ma sul piano morale Carola Rackete è stata vincente fin dall’inizio. La sua liberazione rappresenta una vittoria della giustizia e del diritto contro l’abuso di potere. Sul piano politico la faccenda comporterà un prezzo da pagare elevato e a pagarlo sarà il ministro Salvini. Ci vorrà però del tempo, ma questo tempo arriverà. Se non arriverà vorrà dire che l’Italia avrà rinunciato ad essere uno Stato di diritto.