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Riccardo Ehrman: Il giornalista italiano che fece crollare il Muro di Berlino con una sola domanda

di Axel Jürs

A volte, alla fine, basta poco per fare crollare le dittature. Così è stato anche nel caso della DRR, la celeberrima dittatura socialista tedesca. L’ultimo pugno al Muro di Berlino, che di quella dittatura era simbolo e che stava ormai per essere abbattuto, fu sferrato nell’ambito di una conferenza stampa per i corrispondenti internazionali, tenuta a Berlino nel 1989.


A quel tempo la città rappresentava la divisione in due blocchi non solo della capitale tedesca e della Germania, ma anche dell’Europa e dell’intero mondo geopolitico. I blocchi erano gli antagonisti emersi dal dopoguerra: il mondo comunista-socialista e quello democratico-capitalista.

La storica domanda di Ehrman a Schabowski

Alla fine bastò una domanda del giornalista Riccardo Ehrman, corrispondente italiano nella Germania dell’est, a provocare la slavina che divenne fatale per il Muro di Berlino. Nella succitata conferenza stampa infatti, il giornalista italiano, corrispondente dell’ANSA, aveva visto e sentito i tiepidi tentativi di Schabowski, che cercava di esprimere, con un linguaggio contorto e quasi incomprensibile, l’intenzione in realtà mai dichiarata del partito di voler porre fine alla chiusura delle frontiere. Ehrman voleva saperne di più e i filmati della conferenza ci danno testimonianza fedele delle sue parole:
“Ich heiße Riccardo Ehrman, ich vertrete die italienische Nachrichtenagentu ANSA. Herr Schabowski, Sie haben von Fehlern gesprochen. Glauben Sie nicht, dass es war eine große Fehler, diese Reisegesetzentwurf, das sie haben vorgestellt vor wenigen Tagen?” (Mi chiamo Riccardo Ehrman e rappresento l’agenzia di stampa ANSA. Signor Schabowski, lei ha parlato di errori. Non pensa che sia stata un’errore grave, la nuova legge che ha presentato pochi giorni fa?).
Schabowski aveva percepito la domanda come altamente rischiosa e così cercò una formula innocua, per evitare proprio ciò che il suo partito aveva cercato di scongiurare con la nuova legge, vale a dire l’apertura generale delle frontiere della DDR. Optò così per una risposta burocratica:
“Privatreisen nach dem Ausland können ohne Vorliegen von Voraussetzungen (Reiseanlässe und Verwandtschaftsverhältnisse) beantragt werden. Die Genehmigungen werden kurzfristig erteilt. Die zuständigen Abteilungen Paß- und Meldewesen der Volkspolizeikreisämter in der DDR sind angewiesen, Visa zur ständigen Ausreise unverzüglich zu erteilen, ohne daß dafür noch geltende Voraussetzungen für eine ständige Ausreise vorliegen müssen. […] Ständige Ausreisen können über alle Berliner Grenzübergangsstellen der DDR zur BRD bzw. zu West-Berlin erfolgen” (Viaggi privati possono essere richiesti senza bisogno di permessi, per esempio per motivi di viaggio e relazioni familiari. L’autorizzazione arriverà in tempi brevi. Alle autorità responsabili per i passaporti presso la polizia è stato chiesto di rilasciare dei visti per la partenza permanente. Partenze permanenti possono verificarsi in tutti i check-point alle frontiere tra la DDR e la BRD/Berlino ovest).

Dall’apertura dei confini alla caduta del Muro di Berlino

Si dimentica spesso che la legge inizialmente prevedeva solo la partenza permanente, che secondo il partito SED (Sozialistische Einhertspartei–Partito unificato socialista) poteva e doveva servire come “valvola politica” per l’opposizione. Pochi giorni prima di essere sostituito, Honecker, insieme ad altri anziani del Politbüro, aveva dichiarato che i membri dell’opposizione non meritavano la “bella realtà” del socialismo e della DDR.
Più che la domanda seguente e cruciale di un giornalista della Germania est (“…e da quando questo regolamento sarà valido?”), la domanda più lunga e più generale di Riccardo Ehrman fece dire a Schabowski le incaute parole che condussero a un clamoroso autogol: “ab sofort”, da subito.

Anche se a stento potevano crederci, tutti i tedeschi davanti al televisore (la tramissione si vedeva sui canali dell’ovest, popolari anche all’est) avevano tradotto le parole “ständige Ausreise” e “unverzüglich” in linea con i loro desideri: andarsene e subito! Sia all’est che all’ovest della città divisa praticamente chiunque, anche chi era già in pigiama, si rivestì per andare a vedere cosa stesse succedendo nei vari checkpoint. Fino a quel momento le persone sapevano che il passaggio all’ovest era previsto solo per chi voleva la partenza permanente. Quando finalmente i soldati di guardia al Muro di Berlino riuscirono a telefonare al Politbüro per chiedere se fossero diventati tutti matti, la risposta fu di lasciar passare tutti quelli che volevano sconfinare, ma di invalidare le loro carte d’identità e poi vietare il rientro, dopo le loro escursioni sul Ku’damm. Avrebbero in questo modo perso la cittadinanza della Germania est, vista dal partito come un privilegio che chi aveva voglia di viaggare anche nei Paesi dell’ovest non meritava, soprattutto chi era diretto verso la Germania occidentale del “Klassenfeind” (nemico di classe).


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Dopo gli anni 70 il viaggio temporaneo all’ovest era previsto solo come eccezione, per esempio nel caso del funerale di un parente stretto, come un fratello o uno dei genitori, ma anche in quel caso solo se lo Stato riteneva di poter escludere il rischio che il viaggiatore non rientrasse. E a questo scopo il permesso veniva dato solo a un membro della famiglia. Queste limitazioni erano il simbolo della mancanza di diritti fondamentali, un fatto che il governo socialista dell’est non aveva mai capito.

Nel 1989, dopo mesi di perdita di controllo e anni di perdita di senso della realtà, del governo e del partito da parte di Honecker, la SED, il Politbüro e il Zentralkommittee decisero finalmente di dare un pò di libertà ai cittadini della DDR e soprattutto di lasciar andare tutti quei membri dell’opposizione che non la finivano più di manifestare, criticare e lamentarsi. Cittadini che peraltro, già da mesi e in cifre sempre maggiori, fuggivano in ogni modo possibile e impossibile. Occupavano infatti ambasciate della Germania federale e democratica dell’ovest in città degli Stati del blocco sovietico come Praga o Budapest, non tornavano delle vacanze in Ungheria o Romania, passavano dalla frontiera tra l’Ungheria e l’Austria, lasciando in Ungheria le loro macchine e conservando solo le Rucksäcke, gli zaini da viaggio, e le loro carte d’identità, che nella Germania occidentale servivano come documento per poter entrare nel sistema sociale.

Per fermare questo fiume di fuggitivi, sempre più grande e sempre più disastroso sia per la reputazione che per l’economia della Germania dell’est, il Politbüro prese una decisione importante: dopo avere sostiuito Erich Honecker pochi giorni dopo le festività dell’anniversario dello Stato (40 Jahre DDR), vollero anche mettere un punto a tutte le discussioni internazionali sul diritto umano elementare dei cittadini dell’est di uscire dal loro Paese per visitare amici e parenti o anche solo per vedere il mondo al di fuori dal sistema sovietico.
Il nuovo Politbüro, gestito da pochi giorni da Egon Krenz, presentato dal partito come uomo del futuro ma visto dai tedeschi come “Kronprinz di Honecker” e quindi rappresante del passato, sperava di diminuire la pressione crescente esercitata dai cittadini della DDR, che fino a quel punto avevano avuto solo la scelta di rimanere nella DDR o andarsene per sempre, lascandosi tutto alle spalle. E i risultati di quella scelta, che in Germania fu chiamata “Abstimmung mit den Füßen” (voto con i piedi), furono sempre più drammatici. Dall’anno della costruzione del Muro (nel 1961) fino al 40esimo anniversario della DDR, milioni di abitanti erano fuggiti in vari modi e con grandi rischi: centinaia di morti alla frontiera pesavano sull’immagine del socialismo statale, tra di loro, il primo morto al Muro, Peter Fechner e l’ultimo, Chris Gueffroy, furono tutti i due fucilati al Muro da minorenni, Fechner nel 1962, Gueffroy nel 1989.

Così, in questa famosa conferenza stampa del novembre del 1989, Günter Schabowski, che in quei giorni si presentava in nome del Politbüro della SED, manifestava una visibile volontà di riformare lo Stato, ma cercava anche di sfruttare la sua ultima occasione di tenere le redini del suo destino politico.
Nelle prime due ore la gente andava alla frontiera solo per guardare, per chiedere come funzionasse quel nuovo regolamento, poi, sempre più persone cominciarono ad arrivare ai check-point, fino a quel momento usati solo per il passaggio dall’ovest all’est, come per esempio su Bornholmer Straße e Invalidenstraße.
E più gente arrivava, più diventava impaziente e coraggiosa. In quei giorni già presentarsi a un poliziotto con delle domande proibite poteva essere pericoloso e ci voleva un bel coraggio a chiedere a un membro armato delle “Grenztruppen” (Forze armate della frontiera) di eseguire una nuova legge di cui loro non avevano notizie ufficiali.
Nei 27 anni successivi a questa conferenza stampa ci sono sati anche commenti critici sul ruolo di Ehrman nell’intera vicenda, ma più per il fatto che abbia raccontato troppe versioni di quella storica conferenza stampa. Non cambia però il semplice dato di fatto che la sua domanda abbia sferrato l’ultimo pugno al Muro di Berlino, che da quella sera cominciò a crollare in modo visibile. E anche se è vero che il corrispondente italiano, raccontando la sua esperienza, ha negli anni proposto più di una versione, in fondo che differenza fa? Alla fine Ehrman, in quanto giornalista, è un uomo di parole e le parole non gli mancheranno mai.
E in fondo anche a noi piace presentare i “bei ricordi” sempre un po’ più colorati e avvincenti, vero?

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