Dopo la fila, una cartolina dal Berghain

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© Ostgut

Appena entro mi trovo davanti tre uomini nudi.
Indossano solo le scarpe, un paio di All Stars, e calzini a pois; per il resto, se ne stanno con i peni all’aria come se fossero a prendere il sole su una riva qualunque del lago Wannsee.
Invece siamo al Berghain.
È domenica pomeriggio ma bisogna dare un occhio all’orologio e al calendario per ricordarselo. Magari fuori c’è il sole e da qualche parte, a Prenzlauer Berg, un padre avvenente e una mamma altissima portano in giro un bimbo in bicicletta. Comprano una ciambella a Mauer Park.
Cip Cip fa l’uccellino.
Wroaarrr fa quel qualcosa che invece viene dal piano di sopra.
La fila chilometrica, il “mi fanno entrare, non mi fanno entrare”, “questo concetto della selezione è inammissibile”, “sono dei nazi”, “chissenefrega del Berghain”, “cosa è il Berghain”… tutte le affermazioni, le domande e le risposte che non importa dare adesso, si riducono infondo ad un momento banale: fare un gradino dopo l’altro, dal primo al secondo, dal secondo al terzo livello, girone dopo girone, metallo su metallo, e poi… BUM.
Precipitare nel mezzo dei corpi.
Umidità. Sudore. Pelle. Ormoni ed endorfine. Buio. Gente nuda, gente vestita.
Non conoscere più il senso del tempo, non curarsene. Non sapere che ne è del mondo là fuori. Una temporanea dimenticanza, in cui è dolce il naufragare.
Dorme la mente allora – almeno le sia concesso di domenica – e il cupo rimuginare di sempre.
Il corpo solo si prende le sue rivincite, obbedendo a un unico istinto di movimento ed ebbrezza.
Per un attimo passa il mal di testa, non si hanno dolori di stomaco. Nulla dentro se non l’eccitazione di diventare rumore, di degradare nel suono.
Involve tutte le cose il Berghain con la sua notte.
Ci sarà tempo domani per ricordare.
Al momento giusto, quando, come sempre, tornerà il lunedì.

E ora rispondi.
Hai qualcosa da lasciare qui? Qualcosa che sei capace e bisognoso di perdere, fosse anche per otto ore?
Il mio qualcosa assomiglia a una monetina lanciata nel fondo di un pozzo.
È là, vigile in qualche punto della coscienza, e pungola.
Calo un amo nel pozzo.
Tiro fuori quella monetina e con essa di solito mi pago l’ingresso e il lasciapassare.
Sono dentro.
Noto che la schiena del tipo che mi balla davanti ha un brufolo in bella vista.

 

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Questo post è stato pubblicato originariamente su Povera Ma Sexy – Postkarten aus Berlin, un progetto di Nora Cavaccini. Segui il progetto su Facebook.

Povera Ma Sexy – Postkarten aus Berlin è un “viaggio” fisico e letterario a Berlino. Un percorso che nasce dall’esperienza personale di chi scrive ma che, al tempo stesso, può rappresentare una via alternativa per scoprire la città. Per tutti coloro che, in un modo o nell’altro, ne subiscono il fascino. Berlinesi e non.

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