Perché il cinema italiano non capisce Eduardo De Filippo

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Eduardo De Filippo. Unknown source, Public domain, via Wikimedia Commons

Mi chiedo da tempo per quale ragione il cinema italiano non riesca a confrontarsi fino in fondo con Eduardo De Filippo. Diversi sono stati i rifacimenti delle opere di quello che è considerato, a ragione, uno degli autori più importanti del ‘900, ma nonostante l’impegno, il talento degli attori e in alcuni casi il successo di pubblico, l’”incantesimo” non è mai davvero riuscito.

Eduardo De Filippo: il grande scoglio del cinema contemporaneo

Eduardo De Filippo è lo scoglio su cui sembrano infrangersi tutti i registi e gli attori contemporanei che provano a confrontarsi con i suoi capolavori. In parte, perché il teatro eduardiano fonde in un’unica maschera drammaturgo, attore e poeta e per questo è difficilissimo reinterpretarlo. Altre volte perché entrano in gioco fattori come la disattenzione, l’approssimazione o addirittura il tradimento dello spirito delle opere, anche quando formalmente tutto sembra suggerire il contrario. Quale che sia la ragione, le creature di Eduardo sembrano camminare solo sulle sue gambe e fino a oggi continua a valere il detto “diffidare delle imitazioni”.

La trasposizione più scandalosa: “Il sindaco del rione Sanità” di Mario Martone

Non mi riferisco solo alle operazioni più sconcertanti, come la trasposizione de “Il sindaco del rione Sanità” di Mario Martone (2019). In questo film, che fa venire il dubbio che dietro la macchina da presa ci sia un malintenzionato travestito da Martone, si riproducono le dinamiche dell’opera originale in un contesto svuotato da tutti i riferimenti che le giustificavano.

Il film non è brutto perché “stravolge” Eduardo, cambiando ambientazione, contesto storico e atmosfere. Nell’arte si può fare tutto e a volte una reinterpretazione coraggiosa di un classico può essere meglio di una replica fedele, ma mediocre. Come esempio possiamo prendere Suspiria” di Luca Guadagnino, che non prova neanche a rievocare il cult movie di Dario Argento, ma riesce comunque a dar vita a un film intenso e coinvolgente… finale a parte.


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Il film di Martone è brutto perché è sbagliato. Antonio Barracano è una macchietta senza “gravitas”, ma soprattutto è giovane e questo non ha senso, perché la tragica scelta compiuta del personaggio nasce dal fatto di essere ormai arrivato alla fine della vita e di essere il simbolo di un mondo che sta morendo insieme a lui. Del resto, Martone ha inspiegabilmente modificato anche il finale, cancellando il “rivoluzionario” gesto del dottore e lasciando in piedi una conclusione monca, orfana delle intenzioni dell’autore. Cosa abbiamo visto? Di sicuro non Eduardo.

Personaggi fuori fuoco: Luca Cupiello e Filumena Marturano

Nonostante ciò, anche altre trasposizioni “più tradizionali” hanno mancato il bersaglio, per esempio perché hanno tradito lo spirito del personaggio principale.

A questo proposito voglio fare due esempi: “Natale in casa Cupiello” di Edoardo De Angelis (2020), con Sergio Castellitto e Marina Gonfalone, e “Filumena Marturano” (2010) di Franza Di Rosa, con Mariangela Melato e Massimo Ranieri. Tutti e due i film sono stati grandi successi televisivi e hanno mobilitato bravissimi attori.

Dimenticare la tenerezza: l’errore del Luca Cupiello di Castellitto

Più classica e “teatrale” la prima, più schiettamente televisiva la seconda, le due trasposizioni fanno però lo stesso errore: non restituiscono la tenerezza dei grandi protagonisti di Eduardo, una tenerezza che li identifica, nascondendosi tra le pieghe dell’ironia. Questa tenerezza, disarmante perché disarmata, appartiene sicuramente a Luca Cupiello, con il suo stupore fanciullesco di fronte a un mondo che capisce sempre meno, ma è anche di Filumena Marturano, che risponde alle sberle della vita con il sorriso stanco di chi non conosce più illusioni e per questo si è ammorbidito, non indurito.

Il Luca Cupiello portato in scena da Castellitto non ha nulla dell’innocenza stralunata della creatura interpretata da Eduardo, ma è tetro, amaro e a volte aggressivo e questo falsa tutto, incluse le interazioni con gli altri personaggi, che sembrano tutti fuori fuoco. Anche la bravissima Marina Gonfalone, che con Eduardo ha lavorato in molte commedie, “Natale in casa Cupiello” inclusa, non può che amplificare l’atmosfera a tinte fosche che si respira fin dall’inizio con una Concetta spenta, cupa, priva dei guizzi che dovrebbero animare i suoi dialoghi con Lucariello.

Il problema si pone ancora di più con il personaggio di Tommasino, interpretato da Adriano Pantaleo, che si trova a confrontarsi con un padre dal cipiglio severo e l’indole collerica e il risultato è un’interazione stonata, priva di quella vis comica che dovrebbe caratterizzare gli scambi con il padre e con lo zio. Eppure gli attori fanno il loro mestiere, le battute sono quelle giuste, le dinamiche seguono la nota evoluzione dei fatti fino alla fine, ma si percepisce sempre una nota falsa e quella nota falsa è Lucariello.

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Regina Bianchi. Titanus, Public domain, via Wikimedia Commons

Troppo rabbiosa e altera, la Filumena di Mariangela Melato

La stessa cosa è avvenuta con “Filomena Marturano” di Franza Di Rosa. La bravissima e compianta Mariangela Melato, di cui nessuno disconosce il talento, ha dato vita a una Filumena rabbiosa, durissima, aggressiva. Non ha aiutato una sceneggiatura mal pensata e mal curata, che ha fatto parlare la protagonista in italiano, invece che in napoletano, senza adattare la gag in cui la domestica Rosalia traduce a Diana le frasi pronunciate in dialetto da Filumena. In poche parole, nella versione originale Filumena parla in napoletano e Rosalia traduce in italiano, mentre nella versione di Di Rosa, Filumena parla in italiano e Rosalia traduce, inspiegabilmente, in italiano. Un errore blu che Eduardo, maniacale nel rifinire anche le sfumature, avrebbe trovato agghiacciante. Il vero problema, però, è l’essenza del personaggio, come nel caso del Luca Cupiello di Castellitto.

La Filumena di Eduardo non è un’erinni. È una donna stanca, ma non stanca di amare, che cede su tutto, ma non sull’essenziale. La sua legge non grida e non strepita, è “quella che fa ridere”. Prende in giro l’uomo che continua a non apprezzarla, ma lo fa con affetto, e quando lui la mette alla porta, esorta Rosalia a non piangere per lei. “Nun chiagnere, nun chiagnere… quanto si’ scema!” le sorride, con la consueta rassegnazione. Persino quando minaccia di morte don Domenico, e dice sul serio, lo fa con pacatezza. Non ha bisogno di urlare. Tutto questo è stato reso perfettamente dalle due interpreti che hanno reso immortale l’opera di Eduardo: Titina De Filippo e Regina Bianchi. Ognuna a suo modo perfetta, nel rappresentare la poesia indolente di questo indimenticabile personaggio.

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Titina De Filippo. Unknown (Mondadori Publishers), Public domain, via Wikimedia Commons

Melato purtroppo ha mancato l’obiettivo. Forse era troppo altera e fiera per interpretare una donna che trascina il peso della vita con leggerezza. Forse era più vicina a Euripide che a Eduardo, più adatta a interpretare una regina shakespeariana che una Filomena Marturano. O forse non ha ricevuto le indicazioni giuste dalla regista, che non l’ha messa nelle condizioni di interpretare il ruolo in modo più morbido. Non lo sapremo mai. Peccato.

Ripartire dall’ironia agrodolce con cui Napoli ha imparato a sopravvivere

Non ha ottenuto risultati migliori nemmeno la “Filumena Marturano” di Francesco Amato, con Vanessa Scalera e Massimiliano Gallo. Qui i problemi sono stati diversi: editing della sceneggiatura originale grossolano, attori bravissimi (Scalera in primis), ma mal utilizzati, e in generale l’impressione che non ci sia affatto una regia, ma piuttosto una successione di quadretti animati e poco incisivi. Manca l’anima dell’autore e soprattutto quel dolce disincanto che è tipico dei personaggi di Eduardo e che nessuno riesce ancora a restituire.

Questo è l’elemento che in nessuno modo può mancare. Partendo da qui si potrebbe anche sperimentare, reinterpretare, trasferire il Rione Sanità su Alpha Centauri o rendere Filomena Marturano un’intelligenza artificiale sensibile, ma Barracano dovrà morire “antico” come il mondo che rappresenta e Filumena non dovrà mai indurirsi, anche quando prova rabbia o dolore.

Con questo il cinema italiano si deve confrontare. Con quella leggerezza agrodolce e inestinguibile che resiste a ogni sconfitta, in fondo a ogni pozzo, ogni dramma e ogni nottata che “prima o poi deve passare”. Questo tratto particolarissimo è tipico di Eduardo e forse di Napoli e rappresenta l’arte di sopravvivere. Appropriarsene è di sicuro più difficile che trasformare il set in un episodio di “Gomorra”, come ha fatto Martone, o virare solo sul comico o sul drammatico, ma è l’unico modo per far sì che l’incantesimo di Eduardo riesca, riportando in vita l’antica magia.

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