Quella volta che Louis Armstrong suonò a Berlino Est

Louis Armstrong
Foto: World-Telegram staff photographer, Public domain, via Wikimedia Commons

Era il 1965 e della Guerra Fredda non si vedeva ancora la fine, quando Louis Armstrong portò il suo celebre tour dietro la Cortina di Ferro, facendo tappa anche a Berlino Est. Quell’anno segnò un momento di svolta culturale nella DDR: una svolta che solo il potere del jazz poteva aiutare a compiere. Come è noto, infatti, il governo dell’Est era piuttosto inflessibile nel tenere la popolazione ben lontana dalle influenze artistiche, culturali e musicali occidentali, soprattutto da quelle americane. La cultura dell’ovest era considerata portatrice di valori incompatibili con l’etica del socialismo e che quindi non dovevano essere accessibili ai cittadini della Germania Est.

Il jazz oltre la cortina di ferro

Il jazz, però, era un’altra storia. Che il mainstream americano se ne rendesse conto o meno – con una consapevolezza a tutt’oggi quantomeno intermittente – questo genere musicale non sposava i valori della società nella quale stava prosperando e non la condonava. O, se non si può parlare per tutto un genere, se non altro era il tipo di musica che più di altri, in quel periodo, metteva in evidenza i contrasti e il razzismo dell’America post-bellica. Nonostante i molti performer bianchi, il jazz era e restava una musica dalle radici  afroamericane e si prestava a parlare apertamente di oppressione e, nello specifico, dell’oppressione che alcune minoranze sperimentavano negli Stati Uniti. Per questo trovò un posto nella scena artistica dell’Est europeo.

Louis Armstrong
Louis Armstrong durante la conferenza stampa a Berlino, nel 1962.
Foto: Bundesarchiv, Bild 183-D0319-0017-007 / CC-BY-SA 3.0, CC BY-SA 3.0 DE <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/de/deed.en>, via Wikimedia Commons

Il Dipartimento di Stato americano lo sapeva benissimo e, fin dagli anni Cinquanta, inviava musicisti jazz come Dizzy Gillespie, Duke Ellington, Dave Brubeck e lo stesso Armstrong come ambasciatori di buona volontà in giro per il mondo, in rappresentanza del meglio della cultura americana. La contraddizione è solo apparente: in questo modo, infatti, era possibile coniugare espressioni culturali comunque genuinamente americane con il raggiungimento di zone altrimenti “proibite”. Era la versione occidentale delle celeberrime compagnie di balletto russe e degli atleti di fama internazionale che tutti i Paesi del blocco orientale inviavano in giro per il mondo come testimonianza della superiorità sovietica nei rispettivi campi.


Leggi anche:
Il più grande concerto della storia della DDR, che portò Springsteen a Berlino

In questo contesto si inserì il tour di Louis Armstrong in diversi Paesi socialisti, fra i quali la DDR (Berlino fu la seconda tappa della tournée, i concerti nella DDR furono però molteplici).

Louis Armstrong e il pubblico dell’est

Armstrong, all’apice della sua popolarità, incantò il pubblico berlinese con un memorabile concerto al Friedrichstadtpalast il 22 marzo 1965. Il concerto fu trasmesso dalla televisione e dalla radio tedesca, e oggi è possibile vederlo praticamente per inter su YouTube. Per capire quanto elevato fosse il suo status di icona mondiale, in quel momento, vale la pena ricordare che solo l’anno prima il suo “Hello, Dolly!” aveva scalato le classifiche americane, scalzando i Beatles. Armstrong era talmente famoso che, stando a quanto riportano i testimoni dell’epoca, mentre soggiornava a Berlino Est, gli venne permesso di passare a ovest senza presentare nessun documento. Vale la pena ricordare che a nessuno era permesso muoversi liberamente fra le due Germanie, in quel periodo, e che attraversare il confine senza permesso era un’impresa che a moltissimi costava la vita. Eppure alcuni testimoni raccontano che le guardie di frontiera lo accolsero con entusiasmo gridando “Quello è Satchmo!”

(What did I do) to be so black and blue?

La sua conferenza stampa e le sue interazioni anche con i giornalisti dell’ovest, in quell’occasione, furono un capolavoro di diplomazia. Armstrong, in quell’occasione, non espresse altre opinioni sulla situazione americana, nonostante, solo poche settimane prima, a Selma, in Alabama, ci fosse stata una manifestazione per i diritti civili repressa brutalmente dalla polizia in quella che passò alla storia come la “Domenica di Sangue”. Mentre era ancora negli USA, Armstrong aveva commentato l’accaduto dicendo che la polizia americana “Avrebbe picchiato perfino Gesù, se fosse stato nero e avesse partecipato a una manifestazione”. In Germania, tuttavia, Satchmo non concesse nessun commento su questo tema. Nonostante il tour non fosse uno di quelli sponsorizzati dal Dipartimento di Stato, si ebbe l’impressione che Armstrong non volesse parlare male degli Stati Uniti, mentre si trovava all’estero.

Louis Armstrong
Foto: Herbert Behrens / Anefo, CC0, via Wikimedia Commons

La sua unica risposta alle domande sulla segregazione razziale in America, Armstrong le espresse attraverso la sua musica. Durante il concerto berlinese, eseguì “(What Did I Do to Be So) Black and Blue?”: una presa di posizione potente contro il razzismo. Secondo Ricky Riccardi, uno dei biografi di Armstrong, il brano non faceva più parte del suo repertorio da almeno dieci anni. Durante quel tour, il pezzo fu in scaletta in ogni tappa, in una versione ancora più lenta e malinconica del solito, tanto da sembrare quasi un canto funebre.

“Ho visto il Muro e non sono preoccupato per il Muro”

Naturalmente, al grande musicista fu chiesto anche se avesse visto Muro di Berlino, “Ho visto il muro e non sono preoccupato per il muro” rispose Armstrong “sono preoccupato per il pubblico per il quale suonerò domani sera!”.

Un altro dettaglio che vale la pena menzionare riguarda il fatto che, nonostante il jazz venisse guardato con indulgenza dalle alte schiere del Partito di Unità Socialista, i dischi di Louis Armstrong non erano comunque disponibili nella Germania dell’Est, almeno ufficialmente. Eppure, il pubblico – guardie comprese – sapeva benissimo chi fosse Satchmo e, nella sala gremita, il pubblico lo accolse adorante, riconoscendo ogni brano fin dalle primissime note: tutti conoscevano le canzoni contenute nei dischi che, ufficialmente, nessuno aveva mai comprato.

L’organizzazione del tour, se non può essere definita “avvolta nel mistero”, presenta comunque qualche angolo fumoso e lascia diverse domande senza risposta. Secondo informazioni che sono state riportate anche nel corso di una mostra a Potsdam, ad esempio, un intermediario svizzero si occupò di pagare il compenso di Armstrong, proibitivo per gli organizzatori della DDR, facendosi poi ripagare a sua volta non in denaro, ma in oggetti d’antiquariato e armi da fuoco del XVII secolo.

Risulta inoltre che Louis Armstrong avesse ricevuto un invito dall’Agenzia degli artisti della Germania Est a causa del suo “attivismo contro il razzismo”.

P.S. Se questo articolo ti è piaciuto, segui Il Mitte su Facebook!