La Germania è ovunque in “Lezioni” di Ian McEwan
C’è molta Germania in “Lezioni“, l’ultimo libro di Ian McEwan, noto per titoli come “Il giardino di cemento”, “L’amore fatale”, “Amsterdam“, “Sabato” e soprattutto “Espiazione”, inserito da TIME Magazine e da The Observer tra i 100 migliori libri di tutti i tempi.
In questa ambiziosa fatica dell’autore britannico quasi novant’anni di rivoluzioni geopolitiche, crisi economiche, guerre e catastrofi scampate accompagnano la storia di un uomo, Roland Baines, che l’epica del successo definirebbe un fallito.
Chi è Roland Baines, il protagonista di “Lezioni”?
Giovane pianista dal talento interrotto, Roland subisce da preadolescente una dinamica di abuso che influenzerà tutta la sua vita. Dopo aver lasciato la scuola, diventa tastierista a tempo perso in una band e tra i venti e i trent’anni viaggia in piena libertà, convinto, non del tutto a torto, che non programmare nulla non precluda ancora nulla. Alla soglia dei quaranta viene abbandonato insieme al figlio neonato dalla moglie Alissa, per metà inglese e per metà tedesca, e all’improvviso il tempo comincia ad accelerare.
Dedicandosi alla paternità e crescendo il piccolo Lawrence da solo, Roland scopre che questa è l’unica dimensione in cui riesce a realizzarsi pienamente. Per il resto sogna invano di diventare un poeta e si guadagna da vivere scrivendo biglietti di auguri “creativi”, dando qualche lezione di tennis e suonando per intrattenere gli attempati ospiti di un hotel di lusso. In compenso, a conquistare la fama è Alissa, che ha lasciato marito e figlio proprio per dedicarsi alla scrittura e diventa la più importante romanziera tedesca contemporanea, definita dai critici “più grande di quanto sia stato Grass e grande quasi quanto Mann”. Questo è solo uno dei numerosissimi riferimenti alla Germania contenuti in questo libro, che celebra in modo molto evidente la fascinazione dell’autore per la storia, la lingua e la cultura tedesche.
La Germania è ovunque, in questo libro di McEwan
Della Germania si inizia a parlare ripercorrendo la storia dei genitori di Alissa, figlia dell’inglese Jane e del tedesco Heinrich, vicino alla resistenza antinazista della “Rosa Bianca” nei primi anni ’40.
Arrivata in Germania nel 1946 come corrispondente di una rivista inglese, Jane incontra Heinrich a Monaco, restando rapita dall’atmosfera dell’incontro e da quel tedesco schivo che ha conosciuto e supportato Sophie Scholl e gli altri resistenti trucidati da Hitler. Parlando di eventi epocali, in pochi giorni Jane accantona il sogno del giornalismo. Il presente è radioso e il futuro sembra comunque promettente, ma non sempre le promesse vengono mantenute.
“Lezioni” ci porta in Germania anche seguendo le orme di un giovane Roland in una Berlino post-bellica, ancora divisa dalla cortina di ferro. Particolarmente intensa è la parte in cui si parla dell’amicizia con Florian e Ruth, che vivono con le figlie a Pankow e soffrono la ferrea sorveglianza del regime. Roland porta loro libri e dischi proibiti, camuffandoli con finte copertine. Riesce a far entrare a Berlino est “La fattoria degli animali” di Orwell, nascondendolo sotto la copertina di “Tempi difficili” di Dickens, e fa la stessa cosa con “Slow Train Coming” di Bob Dylan e “The Velvet Underground“, che all’esterno sembrano vinili di concerti di Šostakóvič.
La splendida “Pale Blue Eyes” diventerà la colonna sonora di quel periodo e di un’epoca, per tutti loro, rievocando le stesse emozioni anche molti anni dopo, quando i tre amici si incontreranno ancora e quelle note risuoneranno in un momento e in un mondo totalmente diversi.
Un abbandono lungo una vita: Alissa
Roland rivede Alissa solo due volte, dopo il suo abbandono. La prima, subito dopo la caduta del Muro di Berlino. Mentre la folla si accalca all’altezza di Potsdamer Straße, sciamando da est a ovest sotto l’aria da cane bastonato dei “vopos”, Roland vaga cercando la moglie in ogni volto, fino a quando la ritrova nella calca del Café Adler, vicino a Checkpoint Charlie. Sta per diventare famosissima, ma il mondo ancora non lo sa. Si parleranno in un vicolo, sotto la pioggia, mentre la storia romba intorno a loro.
La seconda volta Roland e Alissa si incontrano a una vita di distanza. Lei sta per dare alle stampe il suo ultimo romanzo e Roland pensa che contenga elementi diffamatori nei suoi riguardi. Se McEwan fosse uno scrittore retorico, questo incontro sarebbe un classico “redde rationem” ad alto impatto. Chiunque conosca questo autore, però, sa quanto sia malinconico, indolente e se vogliamo anche frustrante, nel rappresentare la vita per com’è davvero: un flusso caotico di eventi in cui le persone annaspano come possono e spesso restano indietro prima di soccombere definitivamente all’entropia, che alla fine dissolve tutto.
In questa prospettiva, anche il cosiddetto successo ha un valore relativo. Piuttosto rapidamente arrivano per tutti il declino, la morte e l’oblio, non importa quanto a lungo si mantenga l’illusione di durare. Per questo l’ultima conversazione tra Alissa e Roland ha un sapore agrodolce e anticatartico. Sono passati più di trent’anni di vita consumata, tutto appare ormai lontano e relativo. La fine sta per arrivare per entrambi, non conta molto altro.
Uno dei libri più dolorosi dell’autore
In questo libro ci sono molti altri elementi che potremmo definire “tipici” di McEwan: quella sorta di “fallimento della volizione” che dà l’impressione che la vita proceda sempre per conto suo, la morte della memoria come anticipazione della morte fisica, il trauma dell’abbandono e l’impalpabile complessità dell’amore.
Nel complesso, non so se definire “Lezioni” un libro totalmente riuscito. La mia impressione è che l’eccessiva moltiplicazione delle linee narrative e delle digressioni tenda ad appesantire tutto. Anche gli sfondi storici, utile compendio dei principali eventi degli ultimi due secoli, dalla crisi dei missili di Cuba alle Falkland, dalla Brexit alla pandemia di Covid 19, risultano troppi e troppo didascalici e finiscono per ingessare i personaggi, rendendo faticoso lo sviluppo delle loro storie.
In compenso i nodi cruciali della trama sono tutti gestiti in modo magistrale: la narrazione dell’abuso è tanto intensa e bella quanto controversa, com’è realistico che sia, il fluire del pensiero è riprodotto in tutta la sua contraddittoria vitalità e l’autore è ormai un maestro nella descrizione di quella malinconia killer che si nasconde sottopelle, una volta elaborato il dolore. Bellissimo infine è il finale, in tutta la sua plateale semplicità. Un passaggio di testimone o forse no. Una nuova speranza o semplicemente far pace con l’idea che tutto si concluda senza concludersi, per poi disperdersi.