Coronavirus, la reazione dei berliners al social distancing: si stanno attenendo alle regole?

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Coronavirus, la reazione dei berliners al social distancing: si stanno attenendo alle regole?

di Achille Cignani

Sono passate ormai tre settimane dal giorno in cui i termini “misure restrittive” per contenere l’epidemia di Coronavirus hanno fatto eco anche nel Land di Berlino.

Stando ai dati comunicati ieri sera dal Robert Koch Institute, degli oltre 100 mila casi e 1,584 morti, alla giornata di ieri, nei 16 Länder tedeschi, solo 3687 (di cui 26 deceduti) sarebbero attribuibili alla capitale, Berlino.

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Non poche polemiche accompagnano il decorso della pandemia in Germania.
La più significativa è stata riportata anche dalla stampa tedesca, che ha spiegato come sarebbero conteggiati, a volte, in Germania, i pazienti morti di Covid-19, ad esempio senza tenere conto dei deceduti con patologie pregresse che avevano contratto il virus.

Una differenza che, anche il Corriere della Sera ha provato a legittimare, dando un’ulteriore spiegazione razionale ai numeri tedeschi: l’età media dei contagiati sarebbe infatti di 47 anni, offrendo dunque più chance di sopravvivenza.
Citati anche l’altissimo numero dei tamponi, che solo a Berlino città marciano al ritmo di 8000 al giorno, e la forte capacità di assorbimento del sistema ospedaliero tedesco, che dispone di 28.000 postazioni di terapia intensiva contro le 5.200 italiane o le 4.400 spagnole.

21 Marzo 2020. Un parco affollato di persone di ogni età nel quartiere Prenzlauer Berg (Achille Cignani)

Già dal 18 marzo, anche la Germania è ufficialmente entrata in modalità emergenza, con l’annuncio di un piano di contrasto alla diffusione del Coronavirus, varato dal governo tedesco d’intesa con i Länder.

Una manovra che la cancelliera Angela Merkel ha definito senza precedenti, sottolineando che per il popolo tedesco questa sarà “la sfida più grande da affrontare dopo la Seconda Guerra Mondiale“. Non solo chiusure, ma anche il divieto di viaggiare all’interno e all’esterno Paese, salvo casi eccezionali. E ovviamente l’introduzione del social distancing.

Ma quale è stata la reazione del berliners alla serrata totale?

Photo by EU2017EE

“La città sarà diversa, ma sarà sempre la nostra Berlino” ha orgogliosamente affermato il sindaco Michael Müller nel giorno in cui larga parte delle attività commerciali cittadine hanno iniziato a subire l’effetto delle misure di contenimento.

I tanto bramati club techno, che dagli anni Novanta esprimono la subcultura di questa città, sono stati tra i primi a dover chiudere. Alcuni tra i primi casi di infezione da COVID-19 registrati a Berlino, infatti, sono avvenuti proprio all’interno dei club cittadini, quelli che i berliners classificano come “luoghi turistici”. A seguire il contagio si è diffuso anche nei cinema, teatri, palestre, bar e pub, cioè i luoghi fulcro della vita sociale di Berlino.

In tempi di crisi, come già durante la Guerra Fredda, i berlinesi hanno sempre dimostrato di saper coniugare il valore della coesione allo spiccato senso di comunità, ha ricordato il sindaco. Tuttavia, uno dei primi effetti delle restrizioni imposte è stato il cosiddetto “panic buying“, vale a dire persone che si sono precipitate in massa nei supermercati a comprare tonnellate di beni di prima necessità.

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Nel suo discorso alla nazione, la Cancelliera tedesca ha quindi invitato la popolazione a evitare questi comportamenti e ad assumersi la responsabilità della lotta al Coronavirus, invitando a rispettare il social distancing. E lo ha fatto con un messaggio esplicito, che ha reso l’idea di quanto ogni azione individuale possa pesare sulla bilancia della collettività. Un messaggio che ha fatto diventare i consigli, finalmente, regole.

Ma se si fa una passeggiata per le strade della capitale, in una delle belle giornate che questo inizio di primavera sta regalando, si nota che non sono pochi i berliners che si concedono un giro al parco o una corsetta rigenerante nelle ore più calde. E le persone in giro sono davvero di tutte le età, “colpa” anche dei confortanti numeri che, ad oggi, ritraggono la Germania come uno dei Paesi in cui il Coronavirus sta mietendo meno morti.

Anche qualche sera fa, nel giorno in cui il premier italiano Giuseppe Conte ha rilasciato un’intervista esclusiva all’ARD, il servizio pubblico tedesco, a Treptow si segnalavano diverse persone in giro.

I supermercati, specialmente nelle ore di punta, sono diventati più affollati dei luoghi pubblici nei periodi di massima affluenza. E se tutto ciò lo si osserva da una prospettiva critica, non è inimmaginabile che questi comportamenti finiranno per produrre conseguenze, in un futuro piuttosto prossimo.

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Nonostante tutto sia “geschlossen”, a Berlino ci si reinventa in fretta, si trova sempre qualcosa di nuovo da fare, purché non si debba restare in casa.

Dai rave party nelle notti del weekend, agli assembramenti nei parchi e nelle piazze – che non poche volte sollecitano l’intervento della Polizei – basta affacciarsi dalla finestra per notare che non solo i più giovani ma anche padri, madri e figli non osservano le misure imposte. In primis quella del social distancing.

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Pare che gli esempi di Cina, Italia, Spagna, Iran, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, non siano bastati. Comunque, c’è anche da dire che “geschlossen” non sembra coniugarsi con un rigido “verboten”. In fin dei conti, a parte rave, assembramenti o altre violazioni minori, la reazione dei berlinesi non è tanto diversa da ciò che accadeva in Italia prima del lockdown.

C’è solo da sperare che ci si accorga, prima che sia troppo tardi, che l’esito dell’epidemia dipenderà in larga parte dai nostri comportamenti individuali.