“Extremities” e la rivoluzione della diversità. Intervista alla coreografa Linda Weißig

la rivoluzione della diversità

Il 19 giugno, presso il teatro Thikwa, si terrà la première dello spettacolo “Extremities”, la cui regista e coreografa è Linda Weißig. Lo spettacolo è una dichiarazione di guerra contro il conformismo e gli ideali superficiali che perseguono la presunta perfezione del corpo, la simmetria assoluta, il canone convenzionale. “Extremities” vuole invece rivendicare la bellezza della diversità e la valorizzazione di ciò che non è conforme. 

Amelia Massetti, presidente di Artemisia, ha intervistato Linda Weißig per Il Mitte. Le repliche dello spettacolo si terranno fino al 29 giugno. Potete trovare tutte le informazioni sul sito ufficiale del teatro.

Lei è un’artista affermata nel campo della danza contemporanea, può dirci qualcosa sulla sua carriera artistica?

Ho studiato filologia tedesca, pedagogia dell’arte e filosofia. Negli anni ’90, presso l’ETAGE e.V. in Berlino, ho portato a termine la mia formazione artistica in qualità di danzatrice.
Ho continuato a studiare danza in Gran Bretagna e in Canada e in seguito ho lavorato come danzatrice a Berlino. La città era, ed è, abbastanza povera, per quanto riguarda le risorse destinate all’arte, per cui inizialmente è stato difficile. La situazione era complessa e quindi ho pensato che, se non potevo fare la ballerina, forse potevo lavorare come insegnante.

Poi nel 2000 sono stata accettata all’Accademia di Arti Drammatiche Ernst-Busch, presso dipartimento di coreografia. Ero una danzatrice contemporanea con un’ottima base classica. Mi hanno assegnato ruoli importanti da solista, anche se avevo studiato coreografia. Ho danzato alla Komische Oper Berlin, con Gregor Seyffert, un ballerino molto famoso che ora dirige la Staatliche Ballettschule Berlin. Un altro importante incontro artistico fu con Johann Kresnik, al Volksbühne. Ho lavorato per un periodo come coreografa a Zurigo. Così c’era sempre un interscambio tra la danza e la coreografia.

Tornata a Berlino, ho conosciuto, nel 2007, il ballerino e coreografo Alessio Trevisani, che lavorava nel teatro Thikwa e mi ha chiesto di danzare e collaborare con lui nello spettacolo Engelsspuren.

Ha un impiego fisso, attualmente, nel teatro Thikwa?

Sono stata assunta come insegnante di danza, libera professionista, per due volte a settimana. Come coreografa mi viene richiesto di proporre un concetto artistico, che poi viene valutato in relazione alla programmazione annuale della direzione artistica.

Le viene chiesta una consulenza, quando altri artisti fanno produzioni per il Thikwa Theater, visto che conosce meglio gli attori e i danzatori?

Raramente, il che mi sembra un peccato, ma il Teatro Thikwa ha così tante produzioni in esecuzione, e a volte anche in parallelo, che spesso questo è oggettivamente difficile. Non per mancanza di interesse, ma soprattutto perché il piano di prove è talvolta in concomitanza tra gli spettacoli.

È andata, talvolta, in tour con gli attori del Thikwa?

Con il mio ultimo spettacolo, Seesaw, siamo stati ospiti in Polonia, a Poznan, e c’era un’atmosfera meravigliosa, ci hanno trattato molto bene. C’è sempre un’accoglienza molto calda e amichevole, in questi grandi teatri.

È una situazione completamente diversa per lei, perché siete sempre in contatto con gli attori. Il vostro rapporto con loro è soddisfacente o a volte ci sono problemi?

Ci sono problemi, di tanto in tanto, come sempre, in ambito artistico. Magari qualcuno si fa male o ha una brutta giornata. Ma non è una situazione diversa, rispetto a quando lavoro con altri attori o ballerini.

Ha scelto lei il titolo, “Estremità”? L’idea era di scoprire una forma che esprimesse la diversità?

Sì, stavo cercando un titolo. In prima linea c’era l’idea di esprimere la diversità delle persone, il che è già una sorta di miracolo. Le differenze possono essere molto sottili e dipendere da mere coincidenze. C’è una fecondazione, poi ci sono diversi tipi di tratto genetico e ogni essere umano si sviluppa in modo totalmente diverso. E questo concetto può essere facilmente espresso da una coreografia di danza contemporanea.

Nella nostra società attuale si sta imponendo questa auto-ottimizzazione, spesso legata alla diagnostica prenatale, che in realtà si trasforma, in difetto, nel tentativo di controllare il modo in cui gli esseri umani nascono.
Il pericolo è che molte persone diventino genitori che vogliono ottenere il figlio perfetto per la società, solo che è un argomento molto delicato. È come cercare l’auto-ottimizzazione che si vede su Instagram, dove si possono usare facilmente dei programmi per perfezionare le forme. Si può essere magri o ridurre le rughe oppure sbiancare i denti ed tutto è cosi noioso. Questa performance di danza, invece, è una lotta contro le conformità.

“Estremities” è anche una piccola provocazione?

Mi piacerebbe. Ma io cerco di essere più sottile, è un modo molto diverso di danzare, c’è molta velocità, ci sono scene di combattimento. La lotta per la sopravvivenza. È importante per me mostrare cosa succede in questo conformismo, la gente cerca di rompere quello che non riesce a creare, viene calpestata di nuovo e in qualche misura soffre letteralmente, questo è quello che cerco di esprimere nella performance. Non proprio con la danza pura, che è già molto potente in molte aree.

Secondo lei, è più facile perché ha già un rapporto con gli attori del teatro Thikwa?

Per me tutti gli artisti del Thikwa sono dei professionisti che hanno raggiunto un livello molto alto. Sto lavorando attualmente nella Schaubühne con attori semi-professionali, ma trovo gli artisti del Thikwa più ancora più professionali, onestamente.

Ricordo che ha cercato di imitare Tim Petersen in Tanzabend 2, cosa molto difficile a causa della sua disabilità, eppure ha fatto dei movimenti molto interessanti

È complicato, ma è una sfida essere sempre presenti nel momento, un momento piacevole, non sentire ed essere influenzati da ciò che si è imparato. Arte è successo e provare ancora e ancora e poi ancora. Cerco di lavorare ad ogni pezzo e creo dei buoni spazi liberi, in modo che rimanga sempre una base. Ci sono diverse piccole scene che possono generarne altre e poi altre ancora.

C’è un aneddoto che può raccontarci, avvenuto dietro le quinte?

Ce ne sono incredibilmente tanti, durante le prove e gli spettacoli, ridiamo molto, è un lavoro molto divertente e al tempo stesso molto focalizzato. La motivazione è sempre presente, e poi si può sempre ridere.

Una volta Lia ha dimenticato di togliersi i calzini nello spettacolo Seesaw, che rappresenta il dormire e il sognare. È entrata in scena e si è accorta di averli, li ha tolti in modo naturale e dati al pubblico e poi ha danzato sul letto, come per dire “Vado a letto ora e devo togliermi i calzini” e questo è stato così vero. Il pubblico lo trovava fantastico, non capiva che non era parte dello spettacolo! È stata una cosa unica, con Lia.

 

Sceglie lei, le tracce musicali?

Ho iniziato a lavorare alla musica a novembre. Per me l’approccio con la musica è importante, relativamente atipico per i coreografi attuali. Mi sdraio e mi faccio sommergere dai suoni. Da bambina ero una cantante e mi sono molto esibita, anche su grandi palcoscenici.

Alla scuola di Kreuzberg avevamo il nostro coro, il Berlin Kinder Chor, negli anni ’70 e ’80, con il quale siamo andati in Giappone, in Finlandia, abbiamo fatto il giro del mondo e io ero solita. Ho fatto parte della Filarmonica e cantato con Liza Minelli, ero in molti programmi televisivi da bambina. Questo mi ha plasmata molto, per quanto riguarda il palcoscenico e la musica. Avevamo sempre dei concerti in giro. A tredici anni ho deciso che non ero più una bambina.

Volevo farla finita con il coro. Era un’esercitazione molto dura. All’inizio non ho avuto un’infanzia, perché ero sempre in movimento. Nessuno mi aveva costretto a farlo. Il coro non costava niente e i miei genitori dicevano che così i bambini erano tranquilli e, finalmente, lontani.
Non volevo più fare gli esercizi, ero infastidita, tipico della pubertà. Volevo ballare, mi interessava di più, ma continuavo a cantare. La musica mi ha sempre seguito e in fondo ho bisogno di musica perché è la mia essenza, non posso vivere senza, forse posso vivere un giorno senza danza, ma non senza musica.

Ecco perché scelgo la mia musica e creo concetti musicali. Questa volta ho portato con me una musicista israeliana, Dane Joe aka Adi Koom, che mi aiuta a creare transizioni musicali con un programma per computer in modo che le canzoni sfumino l’una nell’altra. Adi vive a Berlino da molto tempo ed è una cantante punk-rock, abbiamo un gusto musicale molto simile.

Quali sono gli autori che ha scelto per le musiche di Extremities?

Gli autori non sono così noti e sono molto eterogenei. Un’artista, che forse nessuno conosce, si chiama Graims, e poi c’è The Knife e a volte Björk. Non sono autori famosi come Kate Bush, di cui abbiamo usato la musica in Seesaw. Sono più band o musicisti che lavorano in modo da creare l’atmosfera giusta.

Decide lei anche come devono essere i costumi?

Sì, li sviluppo insieme a Heike Bratmayer, la sarta e costumista.

A volte è dura lavorare con gli artisti, a Berlino. E’ stato difficile per te in quanto donna?

No, questo è un problema generale. Ho lavorato a Zurigo, in Macedonia e in Inghilterra, è la stessa cosa ovunque. Fa parte del gioco e si soffre quando nascono delle competizioni, ma spesso è così che le persone lavorano, purtroppo.
Certo, come donna non è stato facile, ma ho scelto di non lavorare con un atteggiamento da arrivista, perché nel campo dell’arte non avrebbe senso.