Le vittime del Muro di Berlino: storia di Wolfgang K., che rubò un treno per fuggire

treno
di Sara Lazzari

La stazione di Friedrichstraße è oggi un crocevia trafficato. S-Bahn e U-Bahn sfrecciano indemoniate sotto e sopra la superficie, fiumane di gente si riversa ovunque, intasando tabacchini e scale mobili, e rendendo ardua perfino l’eroica volata del “se non metto piede su quel treno entro quaranta secondi mi licenziano cristo stavolta è la volta buona sono una cretina dovevo per forza asciugarmi i capelli?”.

Ondate di turisti in ogni stagione, che ti bloccano smarriti ma aggressivi per chiederti cosa significhi Gleis e poi sostano per mezz’ora davanti alle biglietterie automatiche pigiando con tutta forza ogni pulsante disponibile, mentre tu tenti di spiegare loro che quello che hanno davanti è un touchscreen e non un punchball (“touchscreen, do you know what it is?”). Ebbene, questo è l’oggi: un movimento eclettico e continuo, un viavai senza sosta.

È difficile immaginarselo, per chi vive questa città al presente, ma meno di trent’anni fa la stazione era abitata da un’atmosfera cupa e pesante. I viaggiatori sostavano ai binari con il viso rivolto  a terra, staffette di agenti di sorveglianza pattugliavano la stazione lungo tutto il suo perimetro. Treni provenienti dall’Est che terminavano la loro corsa su un binario morto. Treni per l’Ovest  che scivolavano fuori dalla cupola a vetrate in fretta e quasi senza far rumore.

A partire dal 1961, quella di Friedrichstraße è diventata una delle poche stazioni poste a mezza via tra i due cuori della città: al binario B partivano e si arrestavano i treni diretti a Ovest; al binario C arrivavano quelli dell’Est. Poco oltre il ponte di Luisenstraße, ancora nel territorio della DDR, le rotaie del binario C si estinguevano, arenandosi contro un fermacarri. Una via senza uscita.

Di questo particolare non era a conoscenza Wolfgang K., 23enne sassone approdato a Berlino nella Primavera del 1983 per motivi di lavoro, ma ben conscio della possibilità che gli si dispiegava davanti agli occhi: fuggire dalla DDR e rifugiarsi nel settore americano poco al di là del Tiergarten, di quella macchia densa di fogliame che si ritagliava un profilo all’orizzonte. Distante un niente in linea d’aria.


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K. in quel pomeriggio di maggio si dirige a passo deciso verso il treno proveniente da Alex, che sta per lasciare la stazione puntando ad Ovest. Si avvicina alla porta e intima alla guidatrice di far partire immediatamente il treno, “non occorre che ti dica in quale direzione”.

K. ha con sé un fucile, e un manciata di proiettili che ha acquistato sotto la Fernseheturm. La capotreno non proferisce parola, chiude in fretta le porte e mette in movimento le carrozze. Dopo qualche frazione di secondo, però, è costretta ad azionare nuovamente il freno: la luce rossa che si accende lampeggiante a qualche metro da loro, non lascia alternative.

Simona A. approfitta  di quel microsecondo per sollevare le mani, lo sguardo alzato verso la casupola di controllo del capostazione: segno che qualcosa non va.

Il messaggio non tarda ad arrivare: viene dato l’allarme e una squadra di guardie di confine scatta in movimento. Un piccolo gruppo di tre agenti sono i primi a raggiungere il binario C; si dividono, uno dei tre si arrampica sul tetto del vagone e comincia a strisciare verso la cabina di comando.

K. Nel frattempo tenta freneticamente – ma invano – di sbloccare il freno di sicurezza. Avvedutosi dell’arrivo dei soldati, apre il finestrino laterale, carica il fucile, punta e spara. Manca il bersaglio, ma non ha tempo di ritentare; il vetro dello sportello al suo fianco esplode sotto i colpi dell’agente che mira dall’alto, disteso.

È questione di un attimo: K. perde la concentrazione, le guardie gli sono già attorno a bloccargli ogni possibilità d’azione. K. viene arrestato. Di lui da allora non si sa più niente.

Non ci troviamo sulle pagine di un romanzo di Ian Fleming: questo è il racconto di una vicenda realmente accaduta, nella Berlino divisa di 31 anni fa. Una delle tante storie di tentativi di fuga, che si accumulano nei registri del dipartimento di pubblica sicurezza della DDR, finora sconosciute ai più.

Un gruppo di giornalisti della Berliner Zeitung in occasione di uno degli anniversari della Caduta del muro, decise di scandagliare quegli archivi e offrire al loro pubblico di lettori alcune di quelle storie. La vicenda di K. era già stata pubblicata nel Dicembre 2004, ma di recente riproposta (per chi volesse leggerne la versione integrale – cosa che consiglio vivamente – il link da seguire è questo).

A farne da cornice è la rassegna di articoli raccolti attorno al tema Mauerfall usciti in quel periodo, in una sorta di countdown celebrativo scandito da frammenti narrativi, prodotti di una Storia ancora assai recente.

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3 COMMENTS

  1. Quando agli inizi anni 70 ero a Berlino l’ho passata tante volte quella frontiera di Friedrichstrasse e ci arrivavo con l’U-BHAN ho ancora conservato il passaporto pieno di timbri della DDR e per me è un vero ricordo, oltretutto Berlino è rimasta nel mio cuore.

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