STRA-KINO – Possession, 1981

Originario della Polonia, Andrzej Zulawski ha riscontrato molte difficoltà nel far circolare i suoi film, soprattutto in Italia. Non è una novità se pensiamo che la distribuzione italiana da sempre è concentrata e tende verso un certo tipo di cinema. Se poi parliamo di un cinema “particolare”, perlopiù polacco, allora non c’è più nulla da dire.

Zulawski iniziò la sua carriera collaborando come assistente personale del regista Andrzej Wajda, ma dopo aver visto passare sotto i suoi occhi parecchie censure, decise di trasferirsi in Francia, dove conobbe la sua futura musa Sophie Marceau (in seguito sua moglie), con cui alcuni anni più tardi girò il bellissimo film La Fidelité.

Incompreso, spesso non apprezzato e criticato, Zulawski racconta delle storie crude, violente e reali. Riesce ad andare oltre il semplice linguaggio narrativo, colpendo le emozioni più profonde che si nascondono in un uomo. Scava e arriva in fondo, dove le sensazioni sono amplificate e tenute nascoste dal mondo, perché il mondo non è in grado di contenerle tutte, per intere. Le sue immagini sono vere e proprie poesie, che siano grottesche, inquietanti o romantiche, riescono ad evocare un senso di superiorità stilistica.

LA TRAMA

Il film Possession del 1981, interpretato da due grandi attori, Sam Neill e Isabelle Adjani, è un continuo insinuarsi nella vita di due coniugi colpiti da strani accadimenti che li porteranno a vivere situazioni inquietanti e morbose. 

Un continuo susseguirsi di dialoghi a dir poco allucinanti, controversi e spesso difficili da comprendere ricorrono per tutta la durata del film, contornati da immagini simboliche e tendenti al sacro. La macchina a mano pervade la scena e rinchiude i protagonisti in un cerchio che li conduce e riconduce al punto di partenza. La nascita come inizio, ma anche come fine di qualcosa, un percorso labirintico che percuote la donna per nove mesi. Inizio e fine, nascita e morte come due facce della stessa medaglia facenti parte di un unico grande cerchio della vita. Tutto è circolare e la luce si spegne e si accede a intermittenza, come a sottolineare il fatto che tutto in un attimo c’è e improvvisamente scompare.

Possessione ma anche ossessione e ricerca disperata di un senso. Possedere ed essere posseduti. Una rivelazione difficile da spiegare e accettare, ma insita in ogni essere umano. Allora non serve avere una famiglia felice, vivere in una bella casa e fare finta di amarsi, bisogna ricominciare a sentire, dentro.

Anna non ascolta più nel senso più profondo del termine ma, soprattutto, non si sente e quando finalmente ricomincia ad avvertire la presenza fisica di un altro essere vicino, si abbandona alla sensazione del cambiamento, ignara che quella presenza sarà per lei la fine. Un essere che utilizza il corpo della donna, Anna, come contenitore per crescere, nutrirsi e infine possederla sessualmente e far nascere in lei il seme. Mezzo uomo e mezzo animale, crea il concetto del doppio, inteso come inizio bisognoso di una fine per poter finalmente vivere; solo la distruzione dell’originale può portarlo alla luce. Resta la purezza di un bambino che per la sua giovane età e innocenza è capace di sentire nel profondo e accorgersi della figura inquietante.

Niente di meglio che una Berlino post-caduta del muro come ambientazione a questa storia che si muove come una danza macabra, disegnata in appartamenti spogli e lugubri. Il cielo grigio accompagna gli amanti in una realtà ormai fittizia.

Film in concorso alla 34° edizione del festival di Cannes, fa vincere a Isabelle Adjani il premio come miglior interpretazione femminile.

Caso vuole che, nonostante il film sia stato girato in Germania, precisamente a Berlino, non è mai stato distribuito nella nazione d’origine.