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Essere poveri a Berlino – manuale di sopravvivenza. #4: cose di casa

di Emy Serabile

Oggi parliamo di cose di casa. Tra un attimo. Prima ci vuole La Premessa. Ormai è chiaro che qua, senza premesse, non si va da nessuna parte. In un commento alla scorsa “puntata” di questo manuale di sopravvivenza berlinese, mi è stato fatto notare che i veri poveri, a Berlino, non comprano tanto nei negozi dell’usato, quanto in alcuni specifici negozi di una nota catena. Il che è vero, quando si tratta solo di prezzi. Il punto è che questa è una rubrica per poveri che vogliono concedersi dei lussi. E no, non sto parlando di lussi nel senso materiale del termine, non sto parlando del miraggio di poter acquistare un capo di marca per pochi euro, nella speranza che sia stato infilato per sbaglio nelle offerte speciali. Sto parlando del lusso dell’etica.

Avete presente quel meme, che poi non è un meme ma una riflessione sintetica sulle contraddizioni della spirale discendente del capitalismo, in cui si vede una persona contemplare lo scaffale delle uova, chiedendosi quale livello di sofferenza animale può permettersi? Ecco. Io non sopporto il fatto che le scelte sostenibili siano un lusso per ricchi. È una delle cose che mi fanno davvero inferocire, perché porta a quei discorsi molto berlinesi, per cui il nepo-baby di turno che vive in una yurta al margine di una riserva naturale, ti fa una predica di due ore su quanto male la tua spesa del discount faccia al pianeta, citandoti tutti i documentari del momento sulla tale o tal altra industria che distrugge le foreste pluviali e che TU, piccolo pezzo di fango, alimenti con i tuoi acquisti insensati, quando potresti fare come lui/lei/loro e nutrirti solo di radice di sailcazzo macrobiotico che si compra al BioLaden di ComefosseAntani am Meer. Ed è lì che io poi divento bastian contrario per principio e vengo assalita dalla voglia di mangiare la mamma di Bambi brasata nel barolo, mentre gli sgaso intorno alla yurta con un suv. E io non nemmeno ho la macchina.

Cose di casa

Questa bellissima immagine ve la regalo per spiegarvi che, allo scopo di contenere i miei istinti più bassi, io passo la mia modesta vita a cercare un impossibile compromesso fra quello che posso permettermi (poco) e i vari modi in cui posso cercare di non contribuire in maniera esagerata alla distruzione del pianeta. Ed è per questo che non vado nei negozi di fast fashion. Ma Emy, mi direte voi, di moda abbiamo parlato la volta scorsa, oggi non dovremmo parlare di “cose di casa”? E avete ragione, miei piccoli morti di fame, era solo per dire che pure questa volta non sarà facile essere poveri con etica.

Quando la scelta economica è anche quella più sostenibile

Esiste un solo caso in cui la soluzione più economica a un problema è anche quella più sostenibile: quando prevede di utilizzare qualcosa che hai già in casa, senza acquistare niente di nuovo. L’alimento più economico e più sostenibile è sempre quello che è già nel tuo frigo. Lo stesso vale per le “cose di casa”: per i prodotti, per gli utensili che utilizzi per pulirla, per gli elettrodomestici.

La prima cosa che ho smesso di comprare sono stati i panni per la polvere e le salviettine umidificate. La ragione, lo ammetto, non è stata subito ecologica: è stata prima ego-logica (scusate, non ho resistito). Io provo grande antipatia per chi si ingegna a trovare un modo di spingermi a comprare ripetutamente oggetti che poi dovrò buttare via, allo scopo di compiere azioni per le quali potrei utilizzare sempre lo stesso oggetto. Certo, lo so che la Swiffer preferisce vendermi un pacco di panni usa e getta alla settimana, invece che un panno normale ogni cinque anni, ma perché mai io, nella vita, dovrei preoccuparmi di quello che preferisce la Swiffer?


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Segue elenco di cose di casa che non compro più, perché non mi servivano neppure prima.

Panni per la polvere: come vi ho anticipato nella scorsa rubrica, la stessa funzione, identica e altrettanto efficiente, viene svolta da indumenti vecchi, magliette brutte che non so perché siano nel mio armadio, scampoli di lenzuola ormai a brandelli. Non vecchi jeans, perché il denim funziona meno in questo caso. I tessuti sintetici, invece, funzionano da dio. Un’altra cosa che funziona da dio sono quelle specie di “copri-collo” che, all’inizio della pandemia, quando ancora non si sapeva nulla di nulla (mica come ora), un sacco di aziende regalavano ai clienti. Il fastidiosissimo tessuto sintetico di cui sono fatte attira la polvere alla perfezione. Il bonus è che, dopo l’uso, basta sbatterle fuori dalla finestra ed è possibile lavarle pochissimo (a patto che le si usi solo per togliere la polvere e non altri tipi di sporco). In questo modo evitiamo di regalare all’ambiente tutte le microplastiche che ci sono dentro.

Ammorbidente: due cose permettono di ottenere lo stesso effetto. La prima è una tazzina da caffè di aceto bianco. La seconda è una palla di carta argentata. Non mi chiedete perché, non ne ho idea, non ho studiato chimica e se lo googolassi adesso non lo capirei comunque, so solo che ho provato entrambi e funzionano entrambi. Dal momento che non uso i roll di alluminio per nient’altro e quindi non li compro, io scelgo l’aceto. Costa meno di qualsiasi ammorbidente. E no, gli abiti non puzzano di aceto, dopo. E sì, la mia lavatrice continua a funzionare benissimo.

Carta forno: allora, questo consiglio ha senso SOLO se cucini tanto. O meglio, dal punto di vista ecologico ha senso sempre, perché la carta forno non è riciclabile, ma, dal punto di vista economico, funziona se sei come me e usi il forno molto spesso. Io compravo chilometri di carta da forno, quindi ho investito in due pad di silicone. Nel mio caso, equivalevano al costo di circa sei mesi di carta forno (a proposito, quando parlo di confronti, sappiate che mi baso sempre sui prezzi di Lidl in Germania, per avere un paragone realistico) e, considerando che intendo continuare a fare Nonna Papera per tutta la vita, ne è valsa la pena.

Anticalcare: indovina un po’ cosa ALTRO è un anticalcare, oltre all’anticalcare? Se hai detto “l’aceto” hai indovinato. Occhio: su internet girano un sacco di “hacks” che suggeriscono uno straordinario effetto pulente dell’aceto misto al bicarbonato, ma in realtà è una baggianata. L’aceto è un acido, il bicarbonato una base, se li mettete insieme, essenzialmente si annullano, però fanno un sacco di schiumetta, che dà l’impressione di aver concluso qualcosa. Nella mia esperienza, l’unico pregio di quella “schiumetta” è che è più efficace del detersivo per togliere l’odore di uovo dai piatti. Perché? E io che ne so? Già è tanto che mi ricordo che il bicarbonato è una base.

Come anticalcare, invece, basta l’aceto. Ora, il problema è che, a differenza dei prodotti che si comprano nei negozi, l’aceto è liquido e quindi non resta sulle superfici abbastanza a lungo da fare effetto, specialmente se le superfici sono oblique o verticali, come un lavandino. In questo caso, la soluzione è utilizzare un panno (di cotone leggero, come quello delle lenzuola, va benissimo) o della carta (leggermente meno ecologico) avvolto, per esempio, intorno al rubinetto e intriso d’acqua per farlo aderire. Dopo di che, si bagna il panno di aceto in modo il più possibile uniforme e lo si lascia lì per una decina di minuti. Puoi anche bagnarlo direttamente con l’aceto: ne userai un po’ di più. Quando si toglie il panno o la carta, il grosso del calcare sarà andato via.

Attenzione, dico “il grosso”, perché è sciocco pensare che una soluzione “casalinga” e a costo quasi zero possa avere lo stesso effetto di un preparato industriale, studiato a quell’unico scopo, che costa 7 Euro per confezione. Come abbiamo ripetuto più volte in questa rubrica, chi non ha soldi deve avere tempo. In questo caso, il tempo di prendere una spugnetta ruvida (una luffa, se vuoi vincere la palma d’oro dell’ecologia) e finire di grattare via quelle particelle di calcare che non sono sparite, ma si sono comunque ammorbidite. Attenzione: l’aceto è semplicemente un acido, quindi scioglie il calcare. Non è un detersivo, non è un disinfettante e non è un igienizzante. Per quelli ci sono soluzioni casalinghe, le trovi su internet, alcune sono economiche ed ecologiche, altre no, ma io non sono abbastanza entusiasta di nessuna per consigliarla in questa sede. Anzi, se hai una soluzione alternativa, fammela sapere commentando questo articolo!

La sublime arte di Prendere In Prestito

Non tutto quello che abbiamo in casa lo usiamo regolarmente. Ed è normale, ci sono cose di casa che servono solo una volta ogni tanto e che, più o meno, tutti abbiamo, da qualche parte. Martelli, vasi sfusi per le piante, viti, un metro da sarto che nessuno sa da dove venga però c’è, delle carte napoletane che giureresti di non aver mai portato dall’Italia e neppure usato, eppure ti seguono da anni. E poi ci sono le cose che ti servono una volta ogni tanto e NON le possiedi. Però, quella volta, ti servono davvero. Una scala, un trapano da pietra per fissare una mensola alla parete, uno da legno per montare un mobile, un rilevatore per essere sicuro che, quando fai un buco nel muro, non ti ritrovi a perforare un tubo dell’acqua o un cavo elettrico. Tutti questi strumenti possono servire, ma non li utilizzerai tutti i giorni, a meno che il fai-da-te non sia la tua passione. E non costano poco, se devi comprarli nuovi.

La soluzione? Prendi in prestito da un amico che li ha. E se non hai amici o nessuno dei tuoi amici ha lo strumento che ti serve? O se hai UN solo amico che li ha tutti e temi che poi quello ci rimanga male, perché pensa che lo chiami solo quando ti serve qualcosa – e magari è pure vero? Ancora una volta, buttati su Nebenan, l’app di quartiere alla quale, ancora una volta, non ho chiesto una partnership. E dovrei, per la miseria.

A differenza di quanto accade nei gruppi su Facebook, su questa app è molto più comune prendere in prestito. Il fatto che si sia tutti più o meno vicini di casa e che l’app faccia registrare gli utenti con i loro veri dati dà un senso di sicurezza, quindi è estremamente semplice trovare qualcuno che ti metta a disposizione per una giornata la sua scala, il suo trapano, il suo seghetto elettrico. E magari ti insegna pure a usarlo, così cogli l’occasione per allenare un po’ il tedesco, che fa sempre bene. O magari nessuno dei due parla tedesco e finisce che tu impari una terza lingua, non si sa mai.

La sublime arte di Riparare Le Cose di Casa

Riparare le cose, montarle, perfino costruirle è molto meno difficile di quanto tu non immagini. Dico sul serio: esistono tutorial per qualsiasi cosa. Non importa se il fai-da-te non ti si addice, non importa se hai passato l’infanzia a non saper tirare su nemmeno una casetta di lego: se non ci addentriamo nell’elettronica complessa – e quella sì, richiede un po’ di studio – quasi tutto può essere montato o riparato a casa.

Se si tratta di idraulica o di falegnameria, devi tenere presente solo una regola: la gravità. Le cose vanno giù. Se vuoi che vadano giù, libera loro la strada. Se non vuoi che vadano giù, blocca loro la strada. Questo principio ti aiuta se vuoi collegare una lavastoviglie, costruire una libreria, sturare uno scarico. Ovviamente esistono un miliardo e mezzo di tutorial per ognuna di queste attività, ma, se decidi di arrangiarti, ricordarti dell’esistenza della gravità può essere abbastanza. Negli ultimi anni, internet si è popolato soprattutto di donne che realizzano contenuti utilissimi su come eseguire in casa piccole e grandi riparazioni, trovane una che ti piaccia, in una lingua che capisci, e seguila.

No, non mi metterò qui a spiegarti come si aggiusta l’anta di un armadio o un cassetto bloccato, però ti darò un paio di informazioni specificamente tedesche/berlinesi.

  1. Se a rompersi è un elemento “fisso” dell’abitazione, come un rubinetto o una maniglia, potresti non avere né il dovere e neppure il diritto di ripararlo o di farlo riparare a tue spese, a meno che il danno non sia evidentemente colpa tua. I danni normali legati all’usura o a un difetto di costruzione, sono spesso di competenza del padrone di casa, nel caso degli appartamenti in affitto. Controlla bene sul tuo contratto: potresti scoprire, per esempio, che il padrone di casa o la Hausverwaltung (l’agenzia che gestisce il condominio) hanno un contratto in essere con una ditta per le riparazioni. Questo succede, per esempio, nel caso di imprese che possiedono centinaia o migliaia di appartamenti. In questo caso, non dovrai fare altro che telefonare e prendere un appuntamento che, solitamente, viene concesso in base all’urgenza della riparazione (un giorno o due per una perdita idraulica non troppo grave, qualche giorno per una porta che non sia quella d’ingresso e così via).Se il danno è colpa tua, però, il padrone di casa potrebbe addebitarti il costo della riparazione. Questa è la situazione in cui potresti ricorrere all’assicurazione di responsabilità personale, se ce l’hai. In Germania, ce l’hanno praticamente tutti. E se non ce l’hai, perché sei italiano/a e hai deciso che questo Paese non ti convincerà mai a sborsare una somma fissa che in Italia non ti veniva richiesta e che non è legalmente obbligatoria? In tal caso, ti consiglio caldamente (e non ufficialmente) di tornare ai suggerimenti precedenti e imparare a fare da te, con sufficiente maestria perché nessuno se ne accorga, perché prima o poi, quando riconsegnerai la casa, qualcuno verrà a controllare.
  2. A Berlino esistono i Repair Café e sono bellissimi. Qui puoi far riparare soprattutto piccoli elettrodomestici o piccoli mobili, giocattoli, complementi d’arredo, oltre che biciclette. Di regola, qualsiasi cosa tu possa trasportare. Alcuni sono equipaggiati anche per computer e smartphone, ma la maggior parte non lo sono. Ce ne sono svariati, spesso gestiti da collettivi autonomi, ma anche da istituzioni locali. Per esempio, il museo della tecnica di Berlino ne ha uno. Ti basterà ricercare il più vicino a te e scoprire se offre il tipo di riparazione che ti serve. Di norma, si può prendere un appuntamento via email, specificando l’oggetto da riparare (compresi marca e modello, nel caso degli elettrodomestici). All’appuntamento, troverai una persona competente in quel particolare tipo di lavoro, che non solo ti aggiusterà il tostapane, il frullatore a immersione, il bollitore o la macchina del caffè, ma ti insegnerà anche a farlo da te, se vuoi. La parte migliore? È tutto gratis o, al massimo, con contributo volontario. Alcuni Repair Café non offrono appuntamenti online, ma si limitano ad aprire in determinati orari, per chiunque voglia presentarsi. È anche un ottimo modo di imparare ad apprezzare la propria comunità. Perché, credimi, se sei povero, hai bisogno di una comunità. Anche se non lo sei, in realtà, ma in genere è proprio chi ha problemi economici ad alienarsi più facilmente. E invece no, esci di casa e fatti insegnare a riparare un tostapane da uno studente fuori sede di Magdeburg.

Per oggi mi fermo qui, ma stavolta non anticipo di cosa parleremo nel prossimo “capitolo”. Questo perché oggi io non avevo voglia di scrivere di “cose di casa”, avevo voglia di parlare di un altro argomento, ma ormai lo avevo anticipato e qui non si vuole mica passare per incoerenti. Quindi no, non dico niente: nella prossima puntata continueremo a parlare di… roba da povery. Perché tanto questo siamo, non è che da qui a venerdì prossimo qualcuno di noi avrà fatto improvvisamente i miliardi. Tiè, poi dite che non vi porto sempre una ventata di allegria.

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