Povera ma sexy: Dalla Cina con furore

Cina

di Nora Cavaccini

Sono stata in Cina e il cielo era grigio anche lì, ma in modo diverso da quello di Berlino: pollution, la chiamano.
È l’inquinamento, che si appiccica addosso veicolato da una pioggerella fine come il gambo di una cipolla, mentre i suoi fumi si mescolano a un odore forte e animale, a tratti agrodolce.
Tale è la salsa con cui sono servite le melanzane ripiene in questo ristorante.
Dietro il vicolo in cui si trova c’è un mercato.
In un secchio centinaia di gamberi e granchi morti tutti uguali, che paiono replicati da una natura un poco annoiata e priva di ispirazione. In una scodella, dieci tartarughe vive allungano il collo in cerca di aria, arrampicandosi le une sulle altre, scivolandosi addosso nel tentativo di trovare una via di fuga.
Una donna intanto passa in rassegna i gusci delle conchiglie di vecchi molluschi, e un uomo appende un pollo per un cappio, buttando via le viscere in salamoia.
Per chi i denti li ha ancora, saranno buone da sfilare a una a una le ovette di quaglia che abbrustoliscono negli spiedi, ma si prova invece ribrezzo, al solo guardare, le zampe di gallina sui banchi mostrate assieme ai musi scorticati del maiale, come tante maschere flosce di morte.
In gabbia con 7 serpenti, una rana assiste alla scena.
Il suo sguardo non dà indizio di pensieri o emozioni, ed è lontano, simile a quello del Buddha che ho visto in un monastero.
Chissà poi cosa pensa, la rana, se pensa. Finirà in una zuppa da condire con i grani grossi del ginepro.
Tra l’olezzo acre dei bagni pubblici e il sangue dei crostacei, tramonta intanto anche su di lei il sole – adesso giallo come il tuorlo di un uovo – e, senza neanche essersene resi conto, eccoci di nuovo qua.
Il supermercato Go Asia, sulla Turmstraße, è inodore.
Tra gli scaffali buste con ideogrammi e alimenti liofilizzati.
I baozi sono congelati, e non hanno lo stesso sapore.

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