Gli immigrati creano lavoro? Qualche risposta dalla Germania

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di Pavel Chute

La domanda che molti si pongono sugli immigrati è se essi possano essere più pericolosi/rischiosi per il mondo occidentale ovvero se possano invece rappresentare una opportunità (quanto meno di sviluppo economico).

La risposta, a questa domanda, probabilmente non saremo noi a poterla dare, poiché tali fenomeni manifestano i propri effetti in modo contraddittorio e solo nel lungo periodo, in sede storica, si potranno tirare delle conclusioni.

Alcuni dati interessanti provenienti dalla Germania sono quelli relativi ad una ricerca della  Banca nazionale tedesca per lo sviluppo (Förderbank KfW) dalla quale risulta che gli immigrati sono molto più attivi dei tedeschi nella creazione di nuove imprese.

Le nuove imprese, in Germania, sono per un quinto fondate da coloro che hanno radici o nazionalità straniera che, avendo spesso meno possibilità alternative, osano con meno timore il passo verso il lavoro autonomo. Nel 2015, infatti, la percentuale di nuove imprese fondate da immigrati è stata pari al 1,86%, superiore alla percentuale media nazionale pari al 1,68% (queste percentuali, per l’esattezza, descrivono la quota di persone che creano nuove imprese all’interno della popolazione composta da uomini e donne di età compresa tra i 18 e i 65 anni).  Interessante è inoltre la circostanza che gli immigrati creano più posti di lavoro dei tedeschi: dalla medesima indagine risulta che nel periodo 2013/2014 un immigrante su quattro, nella propria nuova attività, dava lavoro ad almeno un collaboratore, mentre in media sono solo il 18% i fondatori di nuove imprese che assumono personale durante il primo anno di attività.

E tuttavia c’è anche un risvolto negativo della medaglia: nel 2014, su 915.000 nuove aziende (che operano soprattutto nel settore dei servizi), 179.000 sono state fondate da immigrati, (attivi sopratutto nel settore del commercio). In media, a tre anni dall’apertura di una nuova azienda, il 70% di esse rimane ancora in vita, mentre questa percentuale, tra gli immigrati, scende al 60%. I motivi di questi fallimenti, secondo lo studio della banca, sono principalmente tre: l’età dei fondatori (che tra gli immigrati è mediamente minore di quella dei tedeschi), l’avvio dell’attività da una situazione di disoccupazione e la tipologia di attività, spesso commerciale (e quindi più rischiosa di altre). Il rischio di fallimento, secondo gli esperti della banca, non è collegato alla nazionalità: i fattori determinanti sono infatti l’esperienza, le conoscenze e il tipo di progetto che si intende realizzare.

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Che cosa tutto questo significhi per l’economia della Germania non è però facile da decifrare. Se da una parte si potrebbe ritenere che le società nelle quali gli immigrati giungono dovrebbero essere in grado di utilizzare  meglio le loro capacità, dall’altra è anche vero che per raggiungere questo risultato occorre investire di più nella loro formazione. A tal proposito il Presidente dell’Associazione degli industriali tedeschi Ulrich Grillo ha infatti invitato il governo federale a creare condizioni di base sul mercato del lavoro che possano favorire l’impiego degli immigrati, cercando di rendere più efficaci gli strumenti a disposizione che consentono di accertare le loro qualifiche e di migliorarle; Eric Schweitzer, Presidente della camera del commercio e dell’industria, sostiene a propria volta che occorre creare regole chiare affinché i giovani immigrati che effettuano studi professionali  in Germania possano avere prospettive di impiego più certe.

Diversamente da ciò che avviene in molti paesi europei una parte del dibattito sull’immigrazione, in Germania, si concentra sugli strumenti che possano permettere al paese di sfruttare al meglio il potenziale economico degli immigrati. Come già evidenziato in altri articoli è probabile che questa necessità nasca sia da un interesse economico dell’industria in tal senso, intenzionata a creare pressione sui salari e quindi le condizioni per la loro riduzione, sia da una valutazione oggettiva delle necessità della società tedesca, alla cui classe politica è noto, più che altrove, che l’apporto di conoscenze e lavoro degli immigrati può essere di aiuto all’aumento  del benessere del paese.

Interessante osservare, infine, è che malgrado nel paese, come in tutta Europa, esistano partiti che fanno della lotta all’immigrazione la propria bandiera ideologica, i partiti maggioritari riescono comunque a tenere alto il vessillo della ragionevolezza, scadendo solo raramente in diatribe propagandistiche pro o contro l’immigrazione.

*Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul blog di pavel chute.

PAVEL CHUTE è nato a Milano nel 1970. È laureato in Scienze Politiche e in Lingue e Letterature Straniere e ha vissuto a lungo in Inghilterra e in Germania (Berlino, Costanza, Colonia) dove ha studiato Africanologia. Lavora come traduttore e ha iniziato recentemente a scrivere racconti e brevi romanzi.

UNA FINESTRA SULLA GERMANIA è una rubrica rivolta agli italiani che vivono in Germania e a coloro che sono interessati a questo paese, raccontato in modo oggettivo, senza schieramenti, riconoscendone per quanto possibile pregi e difetti. Il tutto con un linguaggio semplice, ma diretto.