Levante: «Io e le mie canzoni, a Berlino per la prima volta»

Levante credits Fabrizio Fenucci
Levante [© Fabrizio Fanucci]
di Valerio Bassan

Levante è un’emigrante con la chitarra di cartone e una valigia piena di canzoni, in cerca della sua America. Nata in provincia di Catania, è stata portata a Torino dai «tumulti della vita» attraverso «un viaggio doloroso», come racconta lei stessa.

Ora la cantautrice siciliana – che ha conquistato l’estate 2013 grazie al primo singolo “Alfonso” – aggiunge una nuova cartolina al suo viaggio, arrivando ai piedi del Fernsehturm di Berlino. Città che ancora non conosce e in cui si esibirà per la prima volta il prossimo 25 ottobre, presso Libreria Mondolibro di Torstraße (qui l’evento Facebook, biglietti 6,50 euro).

Classe 1987 e ispirata da Carmen Consoli, Janis Joplin e Tori Amos, Levante (al secolo Claudia Lagona) porterà in città i brani del suo acclamato disco d’esordio Manuale Distruzione, insieme ad una buona dose di autoironia e di femminilità tutta italiana.

Levante, prima volta a Berlino da musicista. È anche la prima da visitatrice oppure no? Hai dei ricordi legati a questa città? Cosa ti aspetti?
Prima volta a Berlino sia da musicista che da visitatrice, sempre che io riesca a scindere le due cose. Non vedo l’ora onestamente. È una città che desidero visitare da tanto tempo ma senza mai averne avuto la possibilità. Mi aspetto grandi idee da Berlino, tanto movimento, tanta creatività. Sono sicura ne rimarrò piacevolmente colpita.

A proposito di prime volte: “Manuale Distruzione” è stato giudicato “Migliore opera prima” al Medimex. Qual è l’ingrediente segreto che, secondo te, ha contribuito a fare sì che il disco fosse così apprezzato?
Io non so bene se esiste un ingrediente, non credo ci siano delle regole quando crei qualcosa, che sia un disco o un quadro. Faccio musica da tantissimo tempo ma negli anni in cui ho composto “Manuale Distruzione” è avvenuta una crescita personale e musicale dentro di me che mi ha fatto riscoprire la bellezza della semplicità e dell’onestà. Questo disco è molto semplice e sincero, forse è arrivato questo a chi lo ha premiato come Miglior Opera Prima.

Hai iniziato a scrivere i brani che compongono il disco ben cinque anni prima della sua uscita. Come hai fatto a reggere un’attesa così lunga? I brani non ti hanno stancato ancora prima dell’uscita dell’album?
Sì, è davvero stata un’attesa estenuante. Ho sofferto molto negli anni in cui “Manuale” non riusciva a vedere la luce, c’era sempre un ostacolo, un errore di percorso, uno stop troppo lungo tutte le volte. Il segreto è stato non ascoltarlo quasi mai. Ho conservato le mie canzoni come se fossero diamanti preziosi senza mai indossarli quotidianamente, altrimenti avrei messo a repentaglio il loro vero valore.

Sei partita con una piccola ma ottima etichetta indipendente, la INRI. Che consiglio dai ai musicisti emergenti che ne stanno cercando una?
Ai musicisti in cerca di una casa discografica consiglio di non avere fretta. A volte bisogna sapere attendere o addirittura declinare certe offerte, anche quando possono sembrarci le uniche possibili. La musica, se vera e bella, viene a galla e trova sempre orecchie in grado di apprezzarla.

Ha ancora senso, oggi, cercare un’etichetta per pubblicare la propria musica, oppure si può tranquillamente saltare questo passaggio e pubblicare direttamente attraverso i propri canali web?
Si può ovviamente saltare il tramite “etichetta discografica” ma sicuramente la strada sarà più tortuosa. Avere qualcuno che si occupi della burocrazia, dei contratti e di tutto ciò che non è musica, è comunque importante. Trovo presuntuoso credere di poter fare tutto da soli, ci sono ruoli che devono essere rivestiti da altri e per quanto oggi un musicista debba essere anche manager di se stesso, non deve dimenticare che il suo primo (ed unico) obiettivo è fare musica.

Anche tu sei un’emigrante, come noi italo-berlinesi. Cosa ti ha spinto a cambiare aria e pensi di avere trovato altrove quello che cercavi? È stata dura?
Credo che il viaggio, per quanto doloroso, sia valso la pena. Ho lasciato la mia terra per motivi familiari e a Torino, insieme a mia madre, ho cercato una possibilità di riscatto, una seconda opportunità. È avvenuto. È stata dura… ma non si chiamerebbe vita, diversamente.

Canti in italiano, ma hai mai pensato di vivere per un periodo all’estero? Se sì, dove ti piacerebbe vivere?
Sogno New York. Non la sogno con l’obiettivo di fare musica lì, ma è comunque una città che vorrei poter vivere per alcuni anni.

Qual è la canzone cui sei più legata e perché?
C’è un brano di Barry White dal titolo “You are my first, my last, my everything” che amo alla follia perché mi riporta indietro nel tempo, dentro al salone della mia vecchia casa in cui, in mezzo a mamma e papà, ballavo questa canzone. Cosa darei per ritornare lì.

Se ti chiedessi di consigliarci un gran disco uscito in questo 2014 che non possiamo non ascoltare, cosa ci suggeriresti?
Il mio suggerimento è LP1 di FKA Twigs. Buon ascolto.

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