Ribelli e asociali, i Dracula moderni secondo Jim Jarmusch

Un frame del film
Un frame del film
Un frame del film

di Elisa Cuter
(@elisacuter)

Arriva anche in Germania l’ultimo film di Jim Jarmusch Only Lovers Left Alive, presentato quest’anno a Cannes e in questi giorni in anteprima stampa a Berlino. L’uscita è prevista il giorno di Natale, una scelta distributiva che promette di offrire a un pubblico esigente un’alternativa godibile e fiabesca agli immancabili cinepanettoni e classici Disney.

Un pubblico che il regista vezzeggia già dalla prima inquadratura: un disco (Trapped by a thing called Love di Denise Lasalle) gira lentamente su un 7 pollici Westbound. Questa è solo la prima di una serie infinita di strizzatine d’occhio al pubblico “colto”, chiamato continuamente a riconoscere i titoli dei libri, i ritratti, le musiche, i quadri di cui il film sciorina un elenco infinito.

Ruotano come il disco anche i due protagonisti: Adam (Tom Hiddleston), che vive rinchiuso nella sua casa di una Detroit ormai spettrale e abbandonata, circondato da chitarre d’epoca con le quali compone la sua musica, ed Eve (Tilda Swinton), che si muove come un fantasma nella notte di una Tangeri esotica e romantica. I due, che si amano da sempre, si ricongiungono quando Eve, preoccupata dalle sue intenzioni suicide, decide di raggiungere Adam a Detroit.

Il regista li inquadra dall’alto, anche se è difficile credere che esista uno sguardo più distante e superiore del loro: i due vivono isolati dalla società per scelta e per necessità, perché sono vampiri. E attraverso le caratteristiche dei vampiri si può ricostruire il film, che provando a calare la leggenda nella contemporaneità confeziona una fiaba dark che ambisce al ruolo di metafora filosofico-sociale sulla realtà di oggi.

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In questo ricorda l’esperimento (forse più riuscito) di Ferrara con The Addiction, e anche qui troviamo infatti il sangue umano inteso come qualcosa di più di una semplice fonte di nutrimento. Il sangue è inebriante, una vera e propria droga: si arriva a tutto pur di procurarsene, e come dimostra la sorella di Eve, Ava (Mia Wasilowska), a volte i mezzi “puliti” come quelli  che adottano Adam ed Eve – che si riforniscono corrompendo gli addetti alle analisi negli ospedali -, non bastano più.

L’altra caratteristica-chiave dei vampiri è, notoriamente, l’abitudine a vivere di notte. Basta questo a farne degli outsider, basta questa inversione del ciclo sonno-veglia più volte esplicitata a restituire l’immagine punk a cui Jarmusch è da sempre affezionato (“it’s almost dawn, let’s go to sleep”, suona come una constatazione più da giovani ribelli che da vampiri).

Del vivere al di fuori della società però fa parte anche la dimensione aristocratica della condizione del vampiro: la distanza dal mondo reale dei due non è vissuta con sofferenza, ma con compiacimento. È ricercata consapevolmente, ostentata ed esibita negli occhiali da sole e nei guanti che portano ogni volta che escono dai loro rifugi.

Una necessità, ma anche e soprattutto un marchio, un vezzo anacronistico. E questo si lega a ciò che a Jarmusch interessa più di ogni altro aspetto dei moderni Dracula che sceglie di mettere in scena: vale a dire la dimensione dell’immortalità. Adam ed Eve hanno attraversato (insieme) tutte le epoche, e ne vivono ancora immersi.

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La riflessione di Jarmusch sulla temporalità astorica, esplicitata dalla convivenza nelle abitazioni dei due di antichi cimeli, modernariato e tecnologia moderna, ricorda l’assoluta contemporaneità di Internet, un luogo privo di storia, in cui ogni dimensione storica è contemporaneamente accessibile e contemporaneamente presente.

Jarmusch mette in bocca ai suoi eroi i propri gusti e le sue personali idiosincrasie (“London is no good”), ma la collezione ridondante che ne emerge risulta autoreferenziale (oltre che consumistico, come dimostra la sua collezione di chitarre): la parete ricoperta di ritratti (da Christopher Marlowe a Nikola Tesla, da Baudelaire a Buster Keaton) in casa di Adam sembra la pagina di Facebook di un adolescente, volta a costruire, attraverso un pantheon ingenuo e postmoderno, la propria identità.

Come dice Ava, che del resto rappresenta il lato meno addomesticato, più selvaggio ma non per questo meno assimilato, del vampirismo, i due non sono che “condiscenting snobs”, non certo immuni dal narcisismo della società attuale: anche se come sostiene Adam essa è ormai composta da zombies, non è prendendone le distanze che ci si salverà.

Jarmusch sembra consapevole dei limiti dei suoi personaggi (“I don’t have heroes”, fa dire ad Adam, mentre Eva riflette sul fatto che l’ossessione per se stessi di Adam “is a waste of living”), eppure ne è affascinato. E inevitabilmente anche lo spettatore non può restare indifferente di fronte alla loro velleitaria, decadente, apocalittica, ma anche romantica e in ultima analisi violenta (come dimostra il finale) resistenza a un mondo che, come  come uno zombie, è ormai morto e non lo sa.

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