«Racconto la vita con la lingua bastarda della poesia digitale»

[© theunquietlibrarian / CC BY-NC 2.0]
[© theunquietlibrarian / CC BY-NC 2.0]
[© theunquietlibrarian / CC BY-NC 2.0]
theunquietlibrarian / CC BY-NC 2.0]

di Valerio Bassan

altra cosa che mi importa
è strapparmi il cuore
tirarlo contro il sole
e andarmelo a riprendere più bello

Lorenzomonfreg è originario di Genova, ma vive da qualche anno a Berlino, dove lavora come Content Marketing Manager. La poesia è sempre stata, per lui, il prisma attraverso cui scomporre e ammirare la luce del mondo. Sotto l’effetto di Ungaretti, Lord Byron, Dylan Thomas, Alvaro Mutis e Rimbaud, Lorenzomonfreg ha dato oggi alle stampe il suo primo libro di poesia, che in realtà è un e-book: si chiama La Lingua Bastarda ed è stato pubblicato dalla casa editrice toscana goWare.

Dietro al libro c’è un lavoro di costruzione notevole. Nella versione iBook “La Lingua Bastarda” contiene una serie di link che collegano versi e parole di poesie differenti, creando un intreccio che spiazza il lettore ma, al contempo, gli permette di perdersi e scoprire percorsi linguistici alternativi, seguendo il suo istinto. Un esperimento interessante che permette all’opera di autogenerarsi davanti agli occhi del fruitore.

Il tuo libro si apre con l’epifania ungarettiana che abbiamo letto all’inizio dell’articolo, intitolata “Altra cosa che mi importa”. È un manifesto?
Sì e no. Il concetto di fuga in avanti è solo una delle possibili chiavi di lettura del mio libro. Personalmente, ho sempre trovato il vero gusto dell’esistenza nella ricerca, nell’avanzamento, nell’apprendimento. Come tutti, anch’io amo la comodità. Ma è una sensazione che dura cinque minuti. Poi l’urgenza del movimento prende il sopravvento, la mia inquietudine ha sempre la precedenza.

Ci racconti la genesi de “La Lingua Bastarda”?
Un anno fa mi sono reso conto che stavo scrivendo cose, contenuti pseudo-giornalistici, per cui non avevo un grande interesse. Quindi ho creato un blog per raccogliere i file e foglietti di poesia che avevo scritto negli ultimi tre anni. Più file che foglietti, ad essere sincero. Comunque. Li ho raccolti, li ho stampati e li ho disposti alla rinfusa sul pavimento. In quel momento ho realizzato che le poesie avevano già un filo conduttore che le univa, così ho deciso di creare un’opera dove queste connessioni fossero esplicitate anche attraverso la tecnologia. Quindi ho cominciato a scrivere altri pezzi per completare la mappatura che avevo in mente, unendo tramite ipertesto immagini e parole ricorrenti.

la_lingua_bastardaAttraverso la poesia esplori il cambiamento antropologico e linguistico generato dall’era di internet. Tu, occupandoti di Content Marketing, lavori all’interno di questo processo e ne rappresenti uno degli ingranaggi.
Sì, un ingranaggio, visto che devo guadagnarmi da vivere. Lavorare nei contenuti mercenari anche a livello strategico ti fa capire un sacco di cose, ti getta nella mischia. Ti toglie la presunzione di purezza, che è una delle cose che più ha sfracellato le palle all’umanità, Questo passaggio, cui abbiamo il privilegio di assistere, ha creato benefici e svantaggi, creando una nuova industria al prezzo della scomparsa di diverse industrie vecchie. Il cambiamento è anche culturale: si pensi all’umanesimo, che non riesce a stare al passo coi tempi. Io mi sono sempre interessato al contenuto: ad un certo punto, però, mi sono reso conto di come, quando si trasforma in puro marketing, la creativitàvenga sacrificata sull’altare dell’efficacia specifica. Così ho cercato di astrarmi dal meccanismo e concentrarmi sul meccanismo stesso.

Quando hai iniziato a scrivere poesie?
A otto anni, quando il web era agli esordi. Poi non ho più smesso e non credo che smetterò.

Quello della poesia è una passione o un lavoro?
Per me la poesia è, in realtà, solo un modo diverso di andare e di camminare. Quello del poeta non deve essere un lavoro, mai. Creare contenuti è un lavoro, far diventare alcuni di questi contenuti poesia è una meta. Oggi un poeta che fa solo il poeta si attorciglia su se stesso e non riesce più avere la materia prima che è vitale per scrivere. La poesia ha senso soprattutto quando è un grimaldello per il nostro andare per il mondo. Il fatto che ci siano persone di ogni tipo che continuano a scrivere avendo come meta la poesia, e ne conosco un po’ di queste persone davvero in gamba, questo fatto è qualcosa di potente.

Oggi siamo di fronte all’avanzata tecnocratica delle immagini, che sempre più spesso fagocitano la parola. La poesia della parola si arrenderà mai alla poesia dell’immagine, secondo te?
No, non credo. Non si può fare poesia per immagini, si può fare arte per immagini. Poesia significa utilizzare le parole e il loro potere creativo. Sono le parole che curano, sono le parole che ammalano. Solo le parole sanno mordere in profondità, nella carne viva. Il cambiamento tecnologico, in compenso, ha portato ad un naturale cambiamento di linguaggio.

Cosa è per te la “lingua bastarda”?
È una lingua buona, come buono è il senso che io attribuisco a quell’aggettivo. Come nei cani, il bastardo è sempre più intelligente e più scaltro; non è un cagnolino di razza, viziato e imborghesito. Non è altrettanto bello, e per questo non ha problemi a prendere un po’ di qua e un po’ di là, arrangiandosi e scoprendo cose nuove. Il bastardo è spesso anche randagio, e anche questo è un buon attributo, perché i randagi cercando la compagnia e la collaborazione di altri randagi, si fanno forza a vicenda. La collaborazione secondo me è fondamentale nella creazione della bellezza. Oggi la parola è meno pura, ma può essere ancora bella.

La Lingua Bastarda – 67 poesie
di Lorenzomonfreg
goWare, 2013
2,99 euro
clicca qui per acquistare